Cass. civ. Sez. I, Sent., 25-02-2011, n. 4703 Separazione giudiziale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 22.2/15.10 2002, pronunciava la separazione personale del coniugi C.R. e C. C. addebitandola al marito, affidava alla madre il figlio minore, assegnava alla medesima la casa coniugale, peraltro di sua esclusiva proprietà, e poneva a carico del C. l’obbligo di corrispondere alla moglie mensilmente l’importo di 1807,59 Euro per il suo mantenimento e di Euro 1032,91 per il mantenimento del figlio a lei affidato, con decorrenza dall’1.7.1995 e rivalutazione annuale secondo indici ISTAT a decorrere dall’anno successivo.

Avverso la citata sentenza proponeva appello il C., con ricorso depositato in data 18.1.03, insistendo per la pronuncia della separazione senza addebito e per la riduzione del contributo economico posto a suo carico per il mantenimento della moglie e del figlio. A sostegno del gravame il ricorrente deduceva che le risultanze del giudizio di primo grado erano del tutto insufficienti a giustificare la pronuncia di addebito nei suoi confronti, non essendo stata adeguatamente provata alcuna violazione del dovere di fedeltà prima del suo allontanamento dalla casa coniugale ed essendo al contratio emerso che già prima di detto allontanamento vi era tra i coniugi una situazione di grave crisi. L’appellante deduceva, inoltre, l’eccessività degli oneri economici posti a suo carico dalla sentenza impugnata, nella determinazione dei quali il giudice di prima istanza non avrebbe correttamente valutato, da un canto, l’incidenza sul pregresso tenore di vita della famiglia e del costante contributo economico che sotto varie forme proveniva dal genitori della Cu. e, d’altro canto, la drastica riduzione del suoi redditi successiva alla separazione e da questa causata, essendogli venuto meno l’appoggio del suocero anche nell’espletamento della sua attività di intermediazione immobiliare. Inoltre, non sarebbe stata adeguatamente considerata la reale capacità economica della Cu. che poteva contare sull’appoggio della famiglia di origine, godeva di una solida situazione patrimoniale, nonchè di opportunità di lavoro tali da garantirle autonomia economica.

Cu.Ci., costituitasi in giudizio, chiedeva la conferma della pronuncia di addebito della separazione al marito, evidenziandone la correttezza con riguardo alle risultanze dell’istruttoria espletata nel primo grado di giudizio, e chiedeva, in via incidentate, l’aumento degli importi stabiliti per il mantenimento suo e del figlio minore a lei affidato, assumendone la inadeguatezza con riguardo alle reali condizioni economiche del C., il quale avrebbe anche dopo la separazione continuato la redditizia attività in precedenza svolta, occultandone i proventi.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 3529/06, rigettava l’appello incidentale e, in accoglimento parziale di quello principale modificava le modalità di visita da parte del padre del figlio minore.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il C. sulla base di due motivi cui resiste con controricorso la Cu..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il C. censura la sentenza impugnata laddove ha riconosciuto ad esso ricorrente l’addebitabilità della separazione.

Con il secondo motivo contesta la determinazione dell’assegno posto a suo carico.

Il primo motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha fondato la pronuncia d’addebito sul fatto che il C. abbandonò il domicilio coniugale nell’estate del 1994 per andare a convivere con altra donna e che non ebbe remore a manifestare pubblicamente tale relazione ritenendo così che tale circostanza sia stata la causa della rottura dell’unione coniugale.

Per altro verso, la Corte d’appello ha rilevato che nessuna prova adeguata era stata fornita circa l’esistenza di una preesistente insanabile frattura tra i coniugi e, a tal fine, ha osservato che le scarne risultanze testimoniali sul punto avevano attestato alcuni dissapori legati sostanzialmente a ragioni economiche ma che da esse nulla concretamente emergeva circa l’esistenza di una effettiva crisi coniugale.

Le censure che il ricorrente muove a tale motivazione, basate sulla riproposizione di alcune testimonianze rese nel corso del giudizio di merito, tendono in realtà a proporre una diversa interpretazione degli elementi probatori in questione, in tale modo investendo inammissibilmente il merito della decisione del giudice di secondo grado.

Venendo all’esame del secondo motivo, si osserva che al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

II motivo in esame non contiene una adeguata formulazione di quesiti di diritto in ordine alle questioni sollevate ed è pertanto inammissibile.

Per quanto concerne, infatti, le censure relative alla violazione di legge, il quesito si limita a prospettare in modo del tutto astratto un principio di diritto senza alcun riferimento alla fattispecie concreta, contrariamente all’orientamento ripetutamente espresso da questa Corte secondo cui il principio di diritto contenuto quesito deve essere comunque ancorato alla fattispecie oggetto del giudizio.

Per quanto concerne le censure che investono il vizio motivazionale, manca ogni sintesi del fatto controverso e delle ragioni per cui la motivazione sarebbe contraddittoria o insufficiente. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo, in favore della Cu..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 4000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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