T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 36 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza n. 411 del 14 dicembre 2000 il Dirigente del settore urbanistica e assetto del territorio del comune di Gaeta ingiungeva al ricorrente la demolizione della seguenti opere edilizie, in quanto realizzate senza titolo e in area soggetta a vincolo paesaggistico: "manufatti in lamiera e legno di diverse dimensioni e tipologie in numero pari a 5, localizzati sulla parte destra della particella di terreno, la cui esatta definizione e misurazione è qui non menzionabile per impossibilità di accedere all’interno del lotto".

Il signor V. proponeva allora il ricorso all’esame con cui denunciava l’illegittimità dell’ingiunzione alla demolizione, denunciando l’omissione di ogni garanzia procedimentale e la non necessità di un titolo edilizio risalendo la realizzazione delle opere sanzionate a epoca nella quale esso non era richiesto.

2. Con motivi aggiunti depositati in data 5 luglio 2001 il ricorrente, dopo aver fatto presente di aver richiesto relativamente al suolo e a immobili ivi insistenti un cd. accertamento di conformità ex articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (in particolare in allegato ai motivi aggiunti vi è la sola istanza senza allegati che menziona "lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione di un vecchio deposito agricolo e per la realizzazione di un portico antistante"), impugnava il silenzio che sull’istanza si era venuto a formare, essendo inutilmente decorsi i sessanta giorni previsti dalla disposizione citata per la definizione del procedimento di sanatoria.

Con sentenza non definitiva n. 842 del 20 ottobre 2001 la sezione dichiarava l’improcedibiltà dei motivi aggiunti coi quali era denunciata l’illegittimità del silenzio serbato sulla domanda di accertamento di conformità.

3. In data 30 ottobre 2002 il ricorrente proponeva ulteriori motivi aggiunti coi quali impugnava il provvedimento con il quale – in data 11 luglio 2001 – il comune aveva respinto con atto esplicito la sua domanda di accertamento di conformità; precisamente con il provvedimento era stata negata l’autorizzazione paesisticoambientale e disposta, ex articolo 164 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, la rimessione allo stato pristino e quindi la demolizione di tutte le opere esistenti sul lotto (sia quelle per le quali era stato richiesto l’accertamento di conformità che gli altri manufatti); di conseguenza, era anche negato l’accertamento di conformità in quanto le "opere risultano in contrasto con le prescrizioni urbanistiche di cui all’articolo 41 del vigente P.R.G. del comune".

Denunciava il ricorrente che relativamente al n.o. paesaggistico era stata illegittimamente omessa l’acquisizione del parere della commissione edilizia integrata da un esperto in materia ambientale secondo quanto disposto dalla legge regionale 19 dicembre 1995 n. 59 e che comunque tale determinazione era viziata da eccesso di potere; di conseguenza il diniego di sanatoria era viziato da illegittimità derivata.

Con ordinanza n. 812 del 8 novembre 2001 la sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare ritenendo che la censura avente a oggetto l’omissione del parere della commissione edilizia integrata presentasse profili di fondatezza.

4. Nel frattempo però – precisamente in data 19 ottobre 2001 – il comune aveva adottato una seconda determinazione avente a oggetto il diniego dell’accertamento di conformità in conseguenza del diniego di autorizzazione paesisticoambientale per cui il ricorrente era costretto a proporre motivi aggiunti, depositati 28 dicembre 2001, coi quali riproponeva – in via di illegittimità derivata – le medesime censure già contenute nei motivi aggiunti depositati il precedente 30 ottobre 2002.

La relativa istanza di tutela cautelare era respinta con ordinanza n. 83 del 25 gennaio 2002.

5. In data 25 giugno 2002 il signor V. proponeva ulteriori motivi aggiunti coi quali impugnava, coi relativi atti presupposti, il provvedimento del dirigente del settore assetto del territorio e ambiente che: a) annullava la precedente determinazione del 11 luglio 2001 (già impugnata a mezzo di motivi aggiunti e sospesa dalla sezione); b) negava – aderendo al parere dell’organismo tecnico preposto alla formulazione dei pareri in materia paesaggisticoambientale (nel frattempo istituito) il n.o. sulla istanza di accertamento di conformità e prescriveva la demolizione delle opere (quelle di cui al progetto nonché gli altri manufatti insistenti sul lotto) ex articolo 164 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490.

Il ricorrente denunciava l’illegittimità della delibera istitutiva dell’organismo tecnico che aveva espresso il parere sulla sua istanza, l’incompetenza di tale organo e, in via subordinata, l’illegittimità del provvedimento di negazione del n.o. e di ingiunzione al ripristino per difetto di istruttoria e presupposti.

Con ordinanza n. 560 del 12 luglio 2002 la sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare.

6. Nel frattempo però il comune di Gaeta, con provvedimento datato 12 giugno 2002 respingeva, sulla base del parere 9 aprile 2002 e del rilievo che la sanatoria avrebbe riguardato volumi eccedenti rispetto a quelli legittimamente realizzabili sul lotto, l’istanza di accertamento di conformità.

Seguivano ulteriori motivi aggiunti depositati in data 8 ottobre 2002, coi quali il signor V. denunciava l’illegittimità del diniego del 12 giugno 2002, denunciando il vizio di illegittimità derivata nonché il difetto di motivazione e l’omessa acquisizione del parere della c.e.c.

7. Il comune di Gaeta si è costituito in giudizio e resiste al ricorso.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente si rileva che non è applicabile alla fattispecie il noto principio giurisprudenziale secondo cui la proposizione di istanza di sanatoria (accertamento di conformità o condono) rende improcedibile il ricorso proposto avverso l’ingiunzione a demolire in quanto, anche nel caso in cui l’amministrazione si determini negativamente sulla domanda di sanatoria, essa è tenuta a rideterminarsi in ordine ai presupposti della demolizione.

L’applicazione del principio in questione infatti presuppone che la domanda di sanatoria si riferisca alle stesse opere di cui sia stata ingiunta la demolizione.

Nella fattispecie è lo stesso ricorrente a negare che tale corrispondenza vi sia e quindi il ricorso principale resta procedibile.

2. E" poi necessario premettere che l’area su cui insistono le opere cui si riferisce la controversia è incontestatamente un’area soggetta a vincolo paesaggistico sin dal 1956 ( d.m. 17 maggio 1956); essa – secondo quanto si legge negli atti impugnati – è classificata nel P.R.G. del comune come zona agricola in cui ai sensi dell’articolo 41 delle n.t.a. sarebbe consentita la sola realizzazione di impianti con IF di 0,05 mc/mq; in più si trova a meno di 300 metri dal mare e a meno di 150 dall’argine del torrente Longato; di conseguenza a tale area si applica il piano territoriale paesistico approvato con legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 che, per le aree a meno di 300 metri dal mare, ammette un IF di 0,01 mc/mq compreso l’esistente, mentre, per le aree comprese nella zona di rispetto dei corsi d’acqua, prevede un regime di inedificabilità assoluta.

Da quanto precede, stante l’attuale regime di sostanziale inedificabilità dell’area e di limitata possibilità di semplice mantenimento degli immobili preesistenti, risulta evidente l’importanza dell’epoca di realizzazione delle opere (sia del deposito con porticato per il quale è stato richiesto l’accertamento di conformità che degli altri manufatti oggetto dell’ingiunzione a demolire originariamente impugnata).

La tesi del comune è che i manufatti in questione sono stati realizzati dopo il 8 luglio 1967; in particolare nella determinazione del 11 luglio 2001 (poi ritirata) si afferma che le opere non esistevano nel 1984 dato che non risultano da una aerofotogrammetria risalente a tale anno; di conseguenza il comune aveva ritenuto che i manufatti in questione fossero stati realizzati abusivamente dopo il 1984; nel successivo provvedimento con cui, annullata la determinazione del 11 luglio 2001, è stata nuovamente negata l’autorizzazione paesaggistica e ingiunta la demolizione ex articolo 164 del d.lg. n. 29 ottobre 1999, n. 490 si afferma che gli immobili non risultano nemmeno da una ripresa aerea risalente al 8 novembre 1967; di conseguenza, il comune ha ritenuto che la dichiarazione del ricorrente in ordine all’epoca di realizzazione dei manufatti fosse falsa e che le opere fossero incompatibili con l’attuale normativa paesisticoambientale relativa all’area (oltre che con la disposizione dell’articolo 41 delle n.t.a. del P.R.G., dato che questa consentirebbe la realizzazione sul fondo del signor V. di circa 32 mc a fronte degli oltre 160 esistenti).

La tesi del ricorrente è che i manufatti oggetto dell’originaria ingiunzione a demolire sarebbero di antichissima origine, in quanto realizzati in epoca in cui non era richiesto alcun titolo edilizio; a sostegno di questo assunto è stato depositato l’atto di acquisto (risalente al 6 giugno 1996) in cui i venditori dichiarano che sul fondo esistono "costruzioni in lamiera con base di cemento a carattere precario" realizzate prima del 1° settembre 1967. Nell’istanza di accertamento di conformità si afferma che il "vecchio deposito agricolo" oggetto di lavori di manutenzione risale a prima del 1950.

3. Con ordinanza n. 4 del 21 gennaio 2010 la sezione ha disposto un’istruttoria, che è stata in parte eseguita.

Successivamente si è costituito il comune che ha depositato parte di quanto richiesto con l’istruttoria e altri documenti.

Dall’istruttoria è anzitutto risultato che sul suolo in contestazione esistono attualmente tre manufatti con struttura portante in ferro e pareti in pannelli di lamiera rifinita in legno, aventi una consistenza rispettivamente di circa 65, 12 e 6 mq. (non è indicata l’altezza).

Dagli altri documenti risulta che: a) il procedimento è andato avanti; è stato depositato un provvedimento del 14 gennaio 2004 (che menziona tra l’altro un parere della c.e.i. del 15 maggio 2003), con cui il comune di Gaeta ha richiesto alla regione Lazio il parere paesaggistico (nel presupposto che alla regione spettasse la relativa competenza trattandosi di opere realizzate in difetto della preventiva autorizzazione paesaggistica); b) il ricorrente ha richiesto, relativamente al fabbricato di cui al citato parere del 15 maggio 2003, il condono edilizio ex articolo 32, comma 27, lett. d), del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e legge regionale 8 novembre 2004, n. 12; c) è inoltre pendente presso la sede di Roma un altro ricorso proposto dal ricorrente avverso la determinazione del comune del 14 gennaio 2004 sopra citata (ricorso n. 2815 del 2004 R.G.).

Con ordinanza n. 43 del 16 giugno 2010 la sezione ha disposto un’ulteriore istruttoria; il comune di Gaeta ha quindi trasmesso parte della documentazione richiesta in segreteria il 9 novembre 2010. E" poi risultato che il ricorso pendente a Roma sopra citato è stato definito con sentenza dichiarativa della sopravvenuta carenza d’interesse stante la pendenza di una domanda di condono edilizio.

4. In mancanza di elementi che facciano ritenere che sia in qualche modo venuto meno l’interesse del ricorrente alla decisione (a causa del proseguimento dell’iter ovvero della proposizione della domanda di condono, che non è ben chiaro a quale manufatto si riferisca, anche se probabilmente si tratta dell’unico fabbricato che, secondo i rilievi aerofotogrammetrici in possesso del comune, è stato realizzato in epoca anteriore al 1997) il ricorso resta procedibile.

5. Nel merito il ricorso principale è infondato.

L’omissione dell’avviso di procedimento, infatti, non può condurre all’annullamento dell’atto impugnato potendosi fare applicazione alla fattispecie del principio dell’articolo 21octies, II comma, prima parte della legge 7 agosto 1990, n. 241 (applicazione, in ragione del suo carattere di norma processuale, consentita anche a procedimenti giurisdizionali relativi a atti emanati in epoca anteriore alla sua introduzione; cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 17 settembre 2008, n. 4114); l’ingiunzione alla demolizione è infatti atto vincolato e l’avviso e la partecipazione del ricorrente non avrebbero modificato l’esito del procedimento.

La tesi del ricorrente secondo cui i manufatti di cui è stata ingiunta la demolizione risalirebbero a epoca anteriore al 1950 non è fondata.

Anzitutto nessun argomento a favore di essa può trarsi dalla dichiarazione inserita nell’atto di vendita nel 1996; è infatti chiaro che tale dichiarazione era in un certo senso un atto necessitato in quanto, stante l’assoluta assenza di titoli edilizi a supporto della legittimità di tali edificazioni, l’unico modo che avevano i venditori per rendere possibile la vendita era dichiarare che i manufatti risalivassero a epoca anteriore al 1° settembre 1967; in assenza il notaio non avrebbe potuto ricevere l’atto.

Il comune ha d’altro lato depositato in giudizio la ripresa aerea del 1967 da cui risulta chiaramente che a quell’epoca l’area era libera da edificazioni.

6. Si può quindi passare ai motivi aggiunti depositati il 30 ottobre 2001.

Essi sono divenuti improcedibili in quanto la determinazione che ne formava oggetto – già sospesa in sede cautelare dalla sezione – è stata poi ritirata in autotutela dal comune con il provvedimento del 9 aprile 2002 avverso il quale il signor V. ha proposto motivi aggiunti.

7. Si può quindi passare all’esame dei motivi aggiunti depositati il 28 dicembre 2001.

Con questi motivi aggiunti il signor V. impugna il provvedimento del 19 ottobre 2001 con cui il comune ha respinto la sua domanda di accertamento di conformità nel presupposto che il progetto non è conforme "al vigente articolo 41 delle n.t.a. e alla vigente normativa urbanisticoambientale".

Benchè il comune abbia poi adottato in data 12 giugno 2002 un nuovo provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità del 5 marzo 2001, il precedente diniego del 19 ottobre 2001 non risulta essere stato formalmente ritirato, per cui i motivi aggiunti restano procedibili.

Essi sono infondati.

E infatti è incontestato che i manufatti del ricorrente, indipendentemente da ogni considerazione in punto di consistenza e volume, ricadono in fascia di rispetto di un’acqua pubblica soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta a norma della legge regionale n. 24 del 1998; poiché l’accertamento di conformità, che è atto vincolato e non discrezionale, presuppone la conformità delle opere alla normativa urbanisticoedilizia esistente (non solo al tempo della realizzazione ma anche) al tempo della domanda è chiaro che l’istanza del ricorrente, in quanto presentata il 5 marzo 2001 non era in alcun modo accoglibile e non poteva che essere respinta e ciò a prescindere dai vizi di carattere formale denunciati ai quali può applicarsi il principio dell’articolo 21octies della legge 7 agosto 1990, n. 241; a ciò deve poi aggiungersi che, stante la realizzazione dei fabbricati esistenti sul suolo del ricorrente in epoca sicuramente successiva al 1984 e l’assenza di un titolo legittimante la loro esistenza, non potrebbero mai essere legittimate opere di manutenzione e di ampliamento dei medesimi.

8. Considerazioni identiche valgono per i motivi aggiunti depositati in data 8 ottobre 2002 coi quali è impugnato l’ulteriore rigetto della istanza di accertamento di conformità del 5 marzo 2001 intervenuto il 12 giugno 2002.

Anche in questo caso non può che rimarcarsi che l’assenza di originaria legittimazione urbanistica dei manufatti esistenti sul suolo del ricorrente (sicuramente risalenti a epoca successiva al 1984 e pertanto richiedenti un titolo edilizio che non è mai stato richiesto) e la loro insistenza in area soggetta a tutela integrale in base al piano paesistico (e quindi in area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta) non poteva che determinare il rigetto della domanda di accertamento di conformità; il carattere vincolato di tale provvedimento implica l’applicazione dell’articolo 21octies citato con la conseguenza che i vizi di carattere formale denunciati non potrebbero comunque condurre all’annullamento dell’atto.

9. Resterebbero da considerare i motivi aggiunti depositati il 25 giugno 2002 e aventi a oggetto la determinazione del Dirigente del VII settore del 9 aprile 2002 che, annullata la precedente determinazione del 11 luglio 2001, ha nuovamente ingiunto la demolizione delle opere esistenti sul lotto del ricorrente ex articolo 164 del d.lg. n. 490 del 1999.

E" chiaro però che, stante la legittimità dell’originaria ingiunzione alla demolizione e del primo e del secondo diniego di accertamento di conformità, nessun vantaggio potrebbe il ricorrente ottenere da un eventuale annullamento di tale determinazione.

10. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto e respinti devono pure essere i motivi aggiunti proposti avverso i due dinieghi di accertamento di conformità; sono invece improcedibili i due atti recanti motivi aggiunti avverso le due determinazioni ex articolo 164 del d.lg. n. 490 del 1999.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, respinge il ricorso principale, respinge i motivi aggiunti depositati il 28 dicembre 2001 e il 12 ottobre 2001, dichiara improcedibili i motivi aggiunti depositati il 30 ottobre 2001 e il 25 giugno 2002.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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