T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 24-01-2011, n. 693 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Ardea in data 15 febbraio 2005 e depositato il successivo 11 marzo, espone parte ricorrente di avere realizzato un manufatto destinato a prima ed unica abitazione del suo nucleo familiare, avendo sempre svolto attività circense e quindi essendo sprovvista di una stabile dimora. Soggiunge di avere presentato in data 21 marzo 2005 istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, tuttora pendente.

Avverso l’ingiunzione meglio in epigrafe indicata deduce:

1. violazione degli articoli 27 e 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

2. violazione dell’art. 7, comma 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 come modificato dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Conclude chiedendo la sospensione del provvedimento impugnato e l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, ha contestato ogni doglianza ed ha rassegnato opposte conclusioni.

Alla Camera di Consiglio del 4 aprile 2005 è stata accolta la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato sulla base della considerazione dell’avvenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Il ricorso è stato infine trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 21 dicembre 2010.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso l’interessata si oppone all’ordinanza con la quale il Comune di Ardea le ha ingiunto la sospensione dei lavori e la demolizione del seguente manufatto: "posa in opera di gabbie in ferro atte alla realizzazione di cordoli di fondamenta circoscriventi una superficie di mq. 177 circa, la predisposizione di n. 7 attacchi in ferro per la realizzazione di pilastri. Internamente all’area la posa in opera di iglu in plastica per l’isolamento da terra del piano terra del piano di calpestio. Il tutto privo di getto del cemento armato. Al momento del sopralluogo del 9 novembre 2004 la prosecuzione dei lavori consisteva nell’aver realizzato il piano di calpestio racchiudente una superficie di mq. 177 circa, alto cm. 30 circa, con solaio e cemento armato; sullo stesso la realizzazione di un piano terra in blocchi di prorogo di mq. 150 circa, alto m. 3,12 circa, coperto con solaio e cemento armato. Dell’intera superficie mq. 25 circa, adibiti a veranda coperta. Il manufatto risulta allo stato grezzo privo di tramezzature.", senza avere provveduto al deposito degli elaborati relativi alle zone sismiche e, ovviamente, senza permesso a costruire.

2. L’interessata lamenta che l’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che l’Amministrazione prima adotti l’ordine di sospensione dei lavori, al quale faccia poi seguire entro i 45 giorni successivi i provvedimenti definitivi, mentre nel caso in esame sono risultate adottate contestualmente la sospensione dei lavori e l’ingiunzione a demolire, con conseguente violazione del disposto normativo. Inoltre l’ingiunzione contiene pure un preavviso di acquisizione dell’area quale effetto automatico alla scadenza del termine per la demolizione, effetto che tuttavia l’art. 31 del decreto presidenziale non prevede. In fatto pure rappresenta che i beni sono sottoposti a sequestro penale dal 16 ottobre 2004 e che pertanto non potrebbe adoperarsi per la loro demolizione.

Con la seconda doglianza fa valere che l’ingiunzione sarebbe affetta da nullità in quanto del tutto sprovvista di qualsivoglia riferimento a quegli elementi che consentono una precisa e dettagliata individuazione dell’opera asseritamente abusiva, attraverso i dati catastali e di quelli risultanti dalla conservatoria dei registri immobiliari.

3. Le censure non possono essere condivise, secondo quanto pure del tutto correttamente contestato da parte dell’Amministrazione comunale.

La circostanza che il provvedimento rechi contestualmente la sospensione dei lavori e l’ordine di demolire il manufatto non lo inficia, dal momento che, come osserva una avveduta giurisprudenza sulla materia, "l’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 riconosce all’Amministrazione Comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutte le attività urbanisticoedilizie del territorio,… e impone l’obbligo, per il dirigente, di adottare immediatamente provvedimenti definitivi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio realizzato, mediante l’esercizio di un poteredovere del tutto vincolato dell’organo comunale, senza margini di discrezionalità, diretto a reprimere gli abusi edilizi accertati." (TAR Campania, sezione IV, 9 aprile 2010, n. 1884).

Tale considerazione comporta che al momento in cui è verificato l’abuso, l’ufficio che ha la competenza alla vigilanza urbanistico – edilizia deve adottare i provvedimenti repressivi previsti dall’art. 27 del menzionato decreto presidenziale, laddove i quarantacinque giorni, da detta norma indicati, costituiscono il termine finale entro il quale va adottato anche il provvedimento demolitorio, ben potendo il Comune non lasciarlo spirare completamente, imponendo l’ordine di demolizione in un momento immediatamente successivo alla sospensione dei lavori o anche contestualmente.

Ma non possono essere condivisi né l’aspetto della prima doglianza né la seconda censura, laddove l’interessata fa valere che l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede quale effetto automatico della mancata demolizione l’acquisizione al patrimonio del bene abusivo e della relativa area di sedime, effetto vieppiù non conseguibile per la circostanza che nell’ordinanza manca anche l’esatta individuazione delle aree.

Le prospettazioni appaiono smentite in fatto, in base alla descrizione dell’abuso che si è riportata sopra proprio allo scopo di avere l’esatta contezza delle dimensioni e del tipo di realizzazione effettuata dalla ricorrente completamente senza permesso a costruire e pari cioè a mq. 177 circa.

Al riguardo e sotto il profilo procedurale deve comunque essere contestata la ricostruzione normativa effettuata nel motivo di ricorso ora enunciato, poiché in ogni caso, ancorché l’ingiunzione impugnata rechi la comminatoria della acquisizione al patrimonio del bene e della relativa area di sedime, riproducendo la léttera della norma, è da rilevare che a tale adempimento il Comune potrà procedere soltanto previo accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, che allo stato non appare adottato.

Ma va pure contestata la circostanza che la ricorrente adduce di non poter operare la demolizione dell’immobile e che quindi l’ordine di demolizione e la comminata acquisizione al patrimonio sarebbero perciò ancor più illegittimi, in quanto il manufatto è sotto sequestro dal 16 ottobre 2004. Infatti come chiarito dalla sezione in altre analoghe circostanze: "L’esistenza del sequestro penale non influisce sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, potendo il destinatario richiedere al giudice penale il dissequestro al fine di ottemperare alla prescrizione demolitoria." (TAR Lazio, sezione I quater, 9 febbraio 2010, n. 1785), mentre non risulta che parte ricorrente si sia adoperata in tal senso.

Ed anche l’altra considerazione, secondo cui la ricorrente, in data 21 marzo 2005, ha presentato la domanda di accertamento di conformità ex art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 attuale art. 36 del d.P.R. n. 380, n. 2001, più volte citato, non consente di trarne le conseguenze che pure sono state tratte – seppure alla sommaria delibazione tipica della sede cautelare e nella pendenza del termine per la formazione del silenzio rifiuto – e che cioè tale presentazione sospenda il procedimento demolitorio, in quanto come già osservato nella vigenza della norma per prima citata: "A seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47, non perde efficacia l’ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono edilizio;" (TAR Lazio, Latina, 19 dicembre 2000, n. 885).

4. Per le superiori considerazioni il ricorso va respinto.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna la ricorrente G.I. al pagamento di Euro 1.000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore del Comune di Ardea.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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