Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-12-2010) 27-01-2011, n. 3043

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rraro Susanna in sostituzione dell’avv. Biffa.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, ha dichiarato l’estinzione per prescrizione del delitto di cui all’art. 490 c.p. ascritto a S.G., delitto del quale era stato ritenuto responsabile con la sentenza in data 17 aprile 2008 del locale Tribunale.

Al prevenuto era ascritto, in qualità di direttore pro tempore della sede I.N.A.I.L. di Taranto, di aver soppresso o occultato tutta la documentazione professionale di SE.Co., dipendente dell’I.L.V.A. di Taranto, concernente il preteso ricorrere dei presupposti di legge per il riconoscimento dei benefici previdenziali spettanti in relazione alla sua esposizione per motivi di lavoro al rischio amianto.

Ricorre per cassazione il prevenuto, con riferimento alla conferma delle statuizioni civili della sentenza di primo grado, deducendo violazione di legge e difetto di motivazione non avendo la Corte di merito tenuto conto di alcuni dei rilievi formulati nell’atto di appello sulla natura commissiva e non omissiva del delitto ed avendo confermato la responsabilità agli effetti civili sul rilievo della mancanza di prove evidenti dell’innocenza, senza considerare le critiche formulate nell’impugnazione.

Ha depositato memoria il 1 dicembre 2010 il ricorrente con cui sottolinea diversi errori in cui sarebbe incorso il giudice di merito nella ricostruzione dei fatti ed accredita il fatto che l’eventuale occultamento del fascicolo del SE. sarebbe avvenuto nel (OMISSIS) e non nel (OMISSIS), con conseguente prescrizione avvenuta in epoca precedente a quella riscontrata dal giudice d’appello; in ogni caso rileva come nel computo dei periodi di sospensione della prescrizione il giudice di merito abbia commesso errori ed erronee valutazioni di efficacia sospensiva dei rinvii, con la conseguenza che il delitto si dovrebbe considerare come già prescritto al momento dell’emissione della sentenza di primo grado.

Il ricorso è inammissibile perchè del tutto generico, a fronte di una sentenza del giudice d’appello che ritiene correttamente individuata la consumazione del delitto nel momento in cui, su sollecitazione della Procura della Repubblica a trasmettere l’intero fascicolo del SE., il prevenuto aveva comunicato l’inesistenza del detto fascicolo, mentre in seguito lo stesso era stato rinvenuto chiuso in un armadio situato nell’ufficio del direttore S. ed era stato sequestrato dalla polizia giudiziaria.

Il giudice d’appello ha rilevato in modo corretto e completo che l’occultamento del fascicolo, tenuto nascosto nell’armadio della direzione (il primo giudice aveva anche rammentato come fosse noto nell’ambito dell’ufficio il fatto che il voluminoso fascicolo del SE. si trovasse nella disponibilità del direttore), unitamente alla comunicazione negativa, diretta da parte del S. alla Procura della Repubblica, circa la presenza in ufficio della documentazione indicata dal SE., aveva determinato l’indisponibilità assoluta del fascicolo per un periodo apprezzabile di tempo, con ciò integrando l’ipotesi di reato contestata.

A fronte di una tale motivazione, articolata e del tutto plausibile, il ricorso non supera il livello della genericità.

Anche le prospettazioni sulla responsabilità formulate nella memoria del 1 dicembre 2010 appaiono inammissibili in quanto volte ad introdurre elementi di valutazione del fatto che non sono consentite nella sede di legittimità. La Corte ne esamina esclusivamente i riflessi sulla ritenuta prescrizione del reato in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado, laddove il ricorrente pretende di individuare il momento consumativo del reato in epoca ((OMISSIS)) anteriore a quello della comunicazione negativa alla Procura della Repubblica (1999). Ma anche tali prospettazioni si appalesano come manifestamente infondate. Assodato che la posizione SE. fosse nota all’Istituto già nel 1997 e che il funzionario addetto all’iscrizione delle diverse posizioni nell’archivio informatico, in fase di formazione all’epoca, non l’avesse iscritto per materiale mancanza del fascicolo, con la conseguenza della non rintracciabilità della relativa posizione negli archivi informatici in epoca successiva, del tutto privo di fondamento è ritenere che fin dal 1997, con la mancata trasmissione del fascicolo SE. al funzionario addetto all’informatizzazione, il S. avesse occultato il medesimo, posto che quella di implementazione dell’archivio informatico era mera attività organizzativa interna all’Istituto, relativa a pratica nota nell’Ufficio, mentre l’effettivo occultamento della medesima con effetti esterni si era manifestato quando (il 15 ottobre 1999, come correttamente ritenuto dai giudici del merito) era stata fornita al Pubblico Ministero richiedente l’attestazione di inesistenza di fascicoli I.N.A.I.L. relativi al dipendente I.L.V.A. SE.Co., laddove la pratica era invece conservata nascosta nell’armadio dell’ufficio del direttore. Manifestamente infondata è anche la prospettazione di una prescrizione che sarebbe maturata in ogni caso in data anteriore a quella della pronuncia, il 17 aprile 2008, della sentenza di primo grado, per effetto di un preteso erroneo calcolo delle sospensioni della prescrizione verificatesi nel corso del dibattimento davanti ala Tribunale.

L’accesso ai verbali di dibattimento consentito alla Corte dalla natura dell’eccezione ha dimostrato che si sono verificati periodi di sospensione della prescrizione, che hanno comportato, secondo i criteri di calcolo più favorevoli di cui alla L. n. 251 del 2005, un totale di giorni 500 di sospensione, con maturazione del termine di prescrizione in data 27 agosto 2008, successiva alla pronuncia della sentenza del Tribunale.

Invero una prima sospensione si è verificata tra il 24 marzo ed il 26 maggio 2005 per l’assoluto impedimento dell’imputato a comparire a causa di una malattia diagnosticata l’8 marzo e con prognosi fino al 17 aprile 2005, che ha comportato una sospensione di giorni 63 (calcolati sull’effettiva dilazione del dibattimento, inferiore al limite di legge dei giorni 60 dalla cessazione, il 17 aprile, dell’impedimento); una seconda sospensione del dibattimento si è avuta, per giorni 114, dal 20 settembre 2005 al 12 gennaio 2006 a causa di richiesta di rinvio formulata dalle parti, calcolabile per intero; una terza sospensione, di giorni 189, è intervenuta per l’astensione dalle udienze dei difensori, da calcolarsi per intero;

ulteriore sospensione per giorni 84, s’è verificata, per rinvio a richiesta difensiva, tra il 18 ottobre 2007 ed il 10 gennaio 2008, da calcolarsi per intero; altra sospensione, per 44 giorni, si è avuta tra il 23 gennaio ed il 7 marzo 2008, determinata dall’astensione dalle udienze dei difensori; l’ultima sospensione della prescrizione è intervenuta, per giorni 6, tra l’11 aprile ed il 17 aprile 2008, a causa della richiesta presentata dal difensore di rinvio del proprio intervento nella discussione finale del processo. In conclusione, la prescrizione del reato, che sarebbe maturata il 15 aprile 2007, si è invece verificata, per la sospensione di giorni 500, solo il 27 agosto 2008, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, che aveva affermato la penale responsabilità del prevenuto e l’aveva condannato al risarcimento dei danni a favore della p.c., con ciò rendendo del tutto legittima la pronuncia della Corte d’appello che, accertata e dichiarata la prescrizione del reato intervenuta nelle more del giudizio di secondo grado, ha confermato le disposizioni civili della sentenza impugnata. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00=, oltre alla rifusione alla parte civile delle spese e compensi di questo grado di giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00= ed alla rifusione alla parte civile delle spese e compensi di questo grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 1.800,00=, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *