Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-12-2010) 27-01-2011, n. 3037

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica di Palermo avverso la sentenza della Corte di appello in data 6 luglio 2009 con la quale, in totale riforma di quella di condanna di primo grado, è stato assolto M.G. dal reato di partecipazione ad associazione mafiosa, per non avere commesso il fatto.

Il M. era stato infatti ritenuto responsabile, in primo grado, di avere preso parte alla associazione mafiosa diretta da R. S., B. e B.G., S.A. e C.C., avendo dato un apprezzabile contributo alla associazione con la condotta di regista occulto della gestione degli appalti del Consorzio Alto e Medio Belice: la condotta, in particolare, era consistita, secondo la ipotesi della accusa, nel realizzare una turnazione pilotata nella aggiudicazione delle gare di appalto a favore di imprenditori legati al "cartello" di Cosa Nostra.

Il M., cioè, indicava il contenuto delle buste di appoggio a coloro che avevano manifestato disponibilità a favorire un esito pilotato delle gare di appalto, riscuotendo poi, presso l’impresa di volta in volta vincitrice, la somma dovuta a titolo di tangente per soddisfare le richieste dei politici e di Cosa Nostra. La Corte, pur ritenendo accertata una sicura compromissione del M. nella turbativa delle gare secondo lo schema descritto – reato, quello ex art. 353 c.p., capo C), per il quale il giudice di primo grado aveva già provveduto a dichiarare la prescrizione tuttavia dissentiva dalla conclusione raggiunta dal primo giudice circa la inquadrabilità della attività stessa quale espressione, all’epoca cui si riferiva la contestazione, di uno dei programmi della associazione dei corleonesi.

Infatti i giudici dell’appello motivavano la conclusione secondo cui "l’associazione mafiosa Cosa Nostra sarebbe rimasta estranea al metodo spartitorio degli appalti -attuato mediante la turnazione programmata con reciproca concessione di pass ovvero offerte di appoggio, concordate tra gli imprenditori – sino al 1986-1987, epoca in cui S.A. propose ed ottenne l’intervento diretto del sodalizio mafioso nella assegnazione e nella gestione degli appalti con il c.d. sistema del "tavolino" consistente in un accordo trilatero mafia-imprenditori-politici cui sovrintendeva lo stesso S." (pag.5 sent. impugn.).

A tal fine la Corte valorizzava il tenore di dichiarazioni conformi dei collaboratori L., Ba. e C..

Passava poi ad esaminare le dichiarazioni di Me.Le., giudicate profondamente dubbie e zeppe di contraddizioni, quelle accusatorie di S. e B. che riteneva smentite obiettivamente ed anche non positivamente valutabili nella loro attendibilità obiettiva.

Infine valutava il residuo degli elementi indiziari o probatori ritendendo, in conclusione, che il materiale probatorio non fornisse alcuna seria dimostrazione che il comportamento tenuto dal M., pur penalmente rilevante, fosse però da porre in relazione alla affectio societatis con Cosa Nostra.

Deduce il PG;

il vizio di motivazione per non avere, la Corte, posto in valutazione anche tutti gli elementi ritenuti fondanti dal giudice di primo grado, in riferimento alla contestazione di appartenenza a Cosa Nostra, mossa al M. per i fatti oggetto del processo.

La Corte, secondo l’impugnate, aveva tralasciato innanzitutto gli esiti di altri processi (sentenze del Tribunale di Palermo del 1994 e del 1997 acquisite ex art. 238 bis c.p.p.), nei quali era stato appurato che il M. rivestiva una posizione analoga a quella di S.A. con riferimento alla ingerenza di Cosa Nostra nella aggiudicazione degli appalti.

In particolare S. – ossia l’esponente mafioso che aveva ereditato il metodo dei pass proprio dal M. – aveva attribuito a costui un ruolo funzionale agli interessi dei corleonesi spiegando che il suo compito era quello di favorire, col metodo dei pass, l’aggiudicazione dell’appalto da parte della impresa di volta in volta designata da Cosa Nostra.

La Corte, in altri termini, ad avviso dell’impugnante, si sarebbe limitata a valorizzare una parte delle dichiarazioni del S.- quelle cioè più utili alla tesi della difesa-scorporandole però dal complessivo significato delle propalazioni medesime, il cui apparente contrasto avrebbe quantomeno dovuto formare oggetto di specifica disamina.

Il PG rileva poi la manifesta illogicità dell’avere considerato elemento a discarico la scarsa entità degli appalti conseguiti dal M., senza averne considerato però la rilevanza patrimoniale.

Le dichiarazioni di B., infine, sarebbero state considerate parimenti in una parte poco significativa, rispetto a quella, invece trascurata dalla Corte, e relativa alla aperta attribuzione al M. di un ruolo rilevante all’interno di Cosa nostra, proprio con riferimento al pilotaggio degli appalti.

Lo stesso vizio di unilateralità riguarderebbe l’analisi delle dichiarazioni di Ba. e Me..

Il ricorso è inammissibile.

Non è qui in discussione il principio di diritto avocato dal Pg a conclusione del proprio ricorso e cioè quello, invero espresso anche dalle Sezioni unite della Cassazione, secondo cui, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Rv. 231679). Non deve però, d’altro canto dimenticarsi quello che è il perimetro del sindacato della Cassazione come delineato dal legislatore nell’art. 606 c.p.p. e come risulta da una elaborazione ormai consolidata della stessa giurisprudenza. Deve cioè sottolinearsi, oltretutto con specifica attinenza al tema del sindacato della Cassazione sulla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che non è consentito al giudice di legittimità un controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perchè un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, ma gli è conferito solo il compito di verificare l’adeguatezza e la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in se stessi e nel loro reciproco collegamento.

Il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non può di venire cioè giudice del contenuto della prova, trattandosi di un compito estraneo a quello istituzionalmente affidatogli (v. tra le molte, Rv. 213444; Rv.

231302). Orbene, proprio contro tale perimetro sembra infrangersi la pure articolata critica del PG alla motivazione del provvedimento impugnato.

Il PG, infatti, lamenta una sorta di "censura" che la Corte di merito avrebbe operato su talune delle affermazioni, in particolare, quelle di due collaboratori e chiamanti in correità, S. e B., particolarmente significativi anche per la posizione di vertice da essi ricoperta all’interno del sodalizio Cosa nostra. Ma risulta evidente come tal genere di critica miri ad investire il potere di selezione degli elementi di prova che è proprio del giudice del merito – ovviamente all’interno di un argomentare che deve rimanere completo e logico – e non può andare disgiunta dall’effetto che sarebbe destinata a suscitare, che è quello di determinare il giudice della legittimità ad un apprezzamento autonomo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, evenienza questa ultima non consentita, come detto. Infatti non si evidenzia nella motivazione della sentenza della Corte territoriale quel genere di vizi che, pure formalmente denunciati dall’impugnante, legittimerebbero un ricorso ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e che non possono che consistere in una lacuna motivazionale su un punto decisivo o in una manifesta illogicità nella argomentazione.

La Corte di merito, infatti, ha fissato, come era nei suoi poteri di prudente apprezzamento dei risultati di prova, una autonoma scala gerarchica dei risultati dibattimentali aventi valenza significativa, ritenendo già fortemente sintomatici della estraneità del M. al sodalizio mafioso Cosa nostra, le dichiarazioni in tal senso chiare e convergenti dei collaboranti L., Ba. e C.. Ne ha cioè posto in risalto la sovrapponibilità quanto alla affermazione che il M. aveva svolto un ruolo assolutamente imprenditoriale coinvolgendo le imprese nel metodo della turnazione preventivamente determinata ed ha, la stessa Corte, ricostruito la condotta di costui come contestuale e parallela ad un autonomo interesse mafioso che pure si esprimeva ma come richiesta di pizzo "etero diretta" rispetto alle iniziative del M.. Secondo il racconto dei collaboranti, ritenuto accreditabile dalla Corte con giudizio che presenta una sua logica e plausibilità, Cosa nostra si impose quale interlocutore imprescindibile nella aggiudicazione e nella gestione degli appalti, solo in un periodo successivo e servendosi della figura imponente di S..

La Corte non ha mancato di valutare in tutti i suoi aspetti le dichiarazioni di tali collaboranti, facendosi carico anche di talune contraddizioni che avrebbero potuto risultare dal confronto di esse (e segnatamente di parte di quelle del Ba.) con le conclusioni raggiunte ed ha offerto una serie di considerazioni di segno contrario, basate su elementi obiettivi, capaci di inquadrare con profitto il complesso delle affermazioni di detto collaborante, soggette come è noto anche ad apprezzamento frazionato.

Il PG impugnante, invero, non considera la consistenza di tal genere di elementi probatori nella cornice del ragionamento seguito dalla Corte di merito e da tale mancata considerazione scaturisce un primo evidente segnale del fatto che la effettiva valenza del ricorso sta nella critica alla ricostruzione della vicenda così come operata dal giudice del merito piuttosto che nella censura al tipo di costrutto logico seguito.

La conferma di tale analisi si ha quando si osserva che la Corte di merito ha preso in considerazione le dichiarazioni dei collaboranti indicati dal PG, M.L., S.A. e D.M. B., non certo dunque tralasciati come sostenuto nel ricorso.

Ebbene è presente nella sentenza impugnata la illustrazione delle ragioni per le quali il detto giudice del merito non ha condiviso le conclusioni del primo giudice avendo individuato e dato conto delle ragioni della ritenuta inattendibilità dei collaboranti, ovviamente con riferimento a quanto di interesse per il processo. Con riferimento a Me. ha posto in evidenza una serie di cambiamenti di versione sulle circostanze coinvolgenti il ruolo del Mo. e contraddizioni nella sue rievocazioni oltre a contrasti con particolari del racconto dello stesso S. e con emergenze obiettive (pag. 10).

Con riferimento alle dichiarazioni del S. e del B., la Corte è andata alla ricerca, come era nei suoi poteri, di taluni elementi di riscontro che, però, ha trovato come negativi per la loro credibilità (pag. 11).

Sul punto, invero, il PG evidenzia la criticabilità della scelta delle dichiarazioni prese in considerazione ma, così procedendo, rivela un intendimento che, come detto, è quello di volere incidere proprio sul potere di selezione del materiale probatorio, evenienza che è consentita nei gradi di merito ma non nella sede di legittimità. E ciò per la evidente ragione che la dichiarazione del collaboratore può contenere anche dei passaggi apparentemente forti e univoci a carico di taluno ma se non supera, nel processo e con riferimento alla prova da acquisire, il previo vaglio di credibilità che il giudice è chiamato ad operare sulla base di un ragionamento da esibire, non può venire, in sè, in considerazione nella valutazione di completezza e logicità della motivazione stessa, che la Cassazione è chiamata ad operare. Per tale ragione il ricorso del PG deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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