Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-02-2011, n. 4641 Solidarietà e soggetti passivi; Solidarietà tributaria; Tributi locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 7.3.2006 è stato notificato a M.A. e M. F. un ricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 21.1.2005), che ha rigettato l’impugnazione dell’Ufficio del Registro contro la sentenza della CTR di Piacenza che aveva accolto l’appello della parte contribuente (e perciò implicitamente reietto l’appello incidentale proposto dall’Ufficio) avverso la sentenza della locale CTP che a sua volta – aveva solo parzialmente accolto il ricorso della parte contribuente (con esclusione di quanto da detta parte contribuente pagato "dopo il giudicato") avverso avviso di liquidazione dell’imposta complementare.

Il 13 aprile 2006 è stato notificato al Ministero delle Finanze ed all’Agenzia ricorrenti il controricorso della parte contribuente.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 12.1.2011, in cui il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con avviso di accertamento notificato (il 3.11.1987) a tutti i coeredi di M.E.L., l’Ufficio del Registro di Piacenza aveva rettificato la denuncia di successione presentata a seguito del decesso di quest’ultima, avviso che era stato impugnato dal solo erede M.A.G., essendo divenuto detto avviso inoppugnabile nei confronti delle odierne controricorrenti. A queste ultime l’Ufficio aveva notificato (in data 3.10.1988) avviso di liquidazione che era stato impugnato dalla medesime odierne controricorrenti mediante ricorso contenente la sola deduzione della pendenza del giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento promosso dal coerede. In ragione della prospettata esecutorietà dell’avviso nei confronti delle eredi non impugnanti, queste ultime avevano provveduto al pagamento di parte dell’imposta (in data 1.12.1988) ed avevano pattuito con l’Ufficio (in data 13.2.1989) la rateizzazione della residua parte, poi puntualmente pagata. Nel corso del giudizio di primo grado le ricorrenti avevano poi prodotto attestazione del passaggio in giudicato della sentenza n. 379 di data 1.9.1990 con cui era stata accolta l’impugnazione proposta dal coerede, sicchè la CTP di Piacenza aveva accolto i ricorsi anche delle due odierne controricorrenti, sia pure limitatamente alle somme non ancora pagate portate dall’avviso di liquidazione. L’appello delle odierne controricorrenti era stato poi accolto dalla Commissione Tributaria Regionale, che aveva dichiarato non dovute tutte le somme, pagate e non pagate, oggetto dell’avviso di liquidazione ed il ricorso dell’Ufficio avverso la pronuncia di secondo grado (iscritto al n. 9456/1997 del Ruolo della CTC) era stato integralmente respinto dalla Commissione Tributaria Centrale.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTC, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che nel secondo grado di giudizio si era formato giudicato interno in ordine alla "applicabilità in astratto" nella specie di causa – dell’art. 1306 cod. civ. – invocato dalle ricorrenti di primo grado onde ottenere l’estensione del giudicato favorevole al coerede – poichè l’Ufficio, appellante incidentale in quel grado di giudizio, non aveva dedotto la questione della inapplicabilità della norma in questione. Quanto all’eccepita preclusione derivante dal fatto che le contribuenti avevano già in parte pagato l’imposta controversa, la Commissione Centrale aveva evidenziato che il limite della non rimborsabilità delle somme già corrisposte (derivante dall’interpretazione giurisprudenzialmente affermatasi degli effetti derivanti dall’applicazione della disciplina dell’art. 1306 cod. civ.) può valere per il solo caso del pagamento spontaneamente eseguito prima del passaggio in giudicato della sentenza di cui si chiede l’estensione degli effetti, ma non anche per i pagamenti effettuati al fine di non sottostare all’esecuzione forzosa, come risultava essere avvenuto nella specie di causa vuoi in ragione della non contestata motivazione della sentenza di secondo grado, vuoi in ragione dell’atto notarile 13.2.1982 in cui si attestava l’avvenuto pagamento dell’imposta con riserva di ripetizione.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa nella misura di circa Euro 50.000,00, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione – occorrendo – anche in termini di decisione della controversia nel merito.
Motivi della decisione

5. Il motivo d’impugnazione.

Il primo ed unico (ma complesso) motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: "Violazione e falsa applicazione dell’art. 1306 c.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, artt. 15, 22 ed in generale delle norme processuali sull’interesse all’impugnazione e la formazione del giudicato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4".

La parte ricorrente muove dall’assunto che, alla luce dell’esito del giudizio di primo grado, essa parte ricorrente "non poteva certo proporre l’impugnazione deducendo l’insussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 1306 c.c.", siccome detta inapplicabilità era stata già sancita dalla sentenza. Ciò escludeva che si fosse formato il "giudicato", peraltro su una questione (quale quella di "applicabilità astratta"), del tutto restia alla formazione di un accertamento.

D’altronde sarebbe stato onere della Commissione Centrale – alla luce della dedotta violazione dell’art. 1306 cod. civ., con richiamo alla sentenza n. 7053/91 della Corte di Cassazione – verificare la sussistenza dei presupposti concreti della sua applicabilità, anche in considerazione del fatto che al momento della proposizione del ricorso di primo grado era mancante il presupposto della sussistenza di una "sentenza più favorevole" passata in giudicato.

Quanto poi ai pagamenti già effettuati, non sarebbe stata prospettabile una richiesta di rimborso sia per l’assenza di un giudicato e sia per la "modalità operativa dell’art. 1306 cod. civ.", senza che potesse avere alcun rilievo l’atteggiamento soggettivo e bastando il puro fatto materiale dell’avvenuto pagamento. Ed insomma, non sarebbe prospettabile l’azione di ripetizione in ragione di "una circostanza che legittima esclusivamente la possibilità di paralizzare la pretesa del creditore in via di eccezione". a) Il profilo di censura che la parte ricorrente fonda sulla asserita violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, artt. 15 e 22 (ed altre norme genericamente richiamate come quelle su "l’interesse all’impugnazione" ed altro), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 è del tutto inammissibile.

E’ infatti costante l’indirizzo di questa Corte secondo cui: "Il ricorso per cassazione che contenga mere enunciazioni di violazioni di legge o di vizi di motivazione, senza consentire, nemmeno attraverso una sua lettura globale, di individuare il collegamento di tali enunciazioni con la sentenza impugnata e le argomentazioni che la sostengono, nè quindi di cogliere le ragioni per le quali se ne chieda l’annullamento, non soddisfa i requisiti di contenuto fissati dall’art. 366 c.p.c., n. 4, e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile" (Cass. Sez. 50, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002).

Nella specie qui in considerazione la parte ricorrente non chiarisce in che modo le norme sopra richiamate sarebbero da mettersi in relazione con gli asseriti vizi in procedendo commessi dalla Commissione Centrale, sicchè non vi è dubbio che la censura non può trovare alcun esame "di merito".

Anche per altro verso il profilo di censura in parola appare inammissibile, per difetto del carattere di autosufficienza, non avendo la parte ricorrente specificamente trascritto i passi dell’atto di appello nei quali sarebbe stata censurata la sentenza di primo grado in base alla dedotta insussistenza dei presupposti di applicazione dell’art. 1306 cod. civ., in relazione al capo della decisione con cui il primo giudice ha ritenuto di accogliere (sia pure solo in parte) la domanda delle allora ricorrenti. D’altronde, è la stessa parte oggi ricorrente che nel proprio atto introduttivo riferisce che "l’Ufficio non poteva certo proporre impugnazione deducendo l’insussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 1306 c.c. …", ciò che induce a supporre che l’omessa trascrizione delle domande trovi corrispondenza con il difetto di un’espressa impugnazione della sentenza di primo grado sul punto oggi oggetto di doglianza.

Con riguardo alla riferibilità del requisito di autosufficienza del ricorso anche ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 basterà menzionare qui il precedente orientamento di questa Corte: "Se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere – dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere – dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale" (Sez. 5, Sentenza n. 1170 de 23/01/2004).

Non vi può essere quindi alcun esame da parte di questa Corte sulla prospettata questione afferente il passaggio in giudicato (quale ritenuto dalla sentenza qui impugnata) della decisione di primo grado in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’estensione "indiretta" del giudicato formatosi in altro processo, appunto perchè la parte ricorrente – che ne era onerata – non ha fornito gli elementi per consentire che detto esame possa essere espletato. b) Quanto al residuo profilo del motivo di censura, centrato sull’asserita violazione dell’art. 1306 cod. civ. (e proposto per primo nella rubrica ma posposto negli argomenti), esso è concentrato nell’assunto secondo cui la disciplina dettata dalla predetta norma non consente il rimborso di somme già pagate, indipendentemente dal difetto di spontaneità del pagamento.

Senonchè, la più recente giurisprudenza di questa Corte (che non vi è ragione di disattendere) ha ritenuto che la facoltà di avvalersi del disposto dell’art. 1306 c.c., comma 2 non è esclusa qualora il coobbligato abbia provveduto al pagamento dell’imposta (non spontaneamente a richiesta dell’ufficio finanziario, per l’intera somma portata dall’avviso di liquidazione, ma) in forza dell’obbligo nascente dall’iscrizione provvisoria di un terzo dell’imposta, in ottemperanza al disposto del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 56 quale condizione "ex lege" per la presentazione del ricorso al giudice tributario avverso l’atto impositivo al fine di conseguirne l’annullamento, altrimenti precluso, in via giurisdizionale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12014 del 22/05/2006; in termini anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7334 del 2008).

Si tratta di situazione che si verifica ogni volta in cui il pagamento non avvenga per spontanea adesione alla pretesa tributaria, ma al solo fine di evitare l’azione esecutiva che deriva dal titolo di cui l’Amministrazione dispone (come si è verificato anche nel caso preso in esame dalla recente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4531 del 2009): che ciò si sia verificato anche nella specie di causa – in cui, in particolare, il pagamento è stato effettuato solo dopo l’impugnazione dell’avviso di liquidazione e con espressa riserva (formulata nell’atto di dilazione, sottoscritto per accettazione dal rappresentante dell’Ufficio del Registro) di ripetizione delle somme all’esito del contenzioso – è reso manifesto dalla circostanza che la parte ricorrente non ha censurato il punto della decisione di merito in cui – come si è detto in narrativa- si evidenzia che il fatto storico del pagamento con riserva di ripetizione risulta documentalmente comprovato in causa.

Anche per questo secondo aspetto, quindi, la censura di parte ricorrente si palesa infondata e da disattendersi.

La regolazione delle spese di lite è informata al criterio della soccombenza.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle Finanze e compensa tra le parti le relative spese di lite.

Rigetta il ricorso dell’Agenzia. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di questo grado di giudizio, liquidate in Euro 2.200,00 per onorario oltre Euro 200,00 per spese ed oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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