Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-11-2010) 27-01-2011, n. 2988

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Ancona, giudicava:

B.M.:

perchè imputata del reato di truffa, ex art. 640 c.p. perchè acquistava una catena d’oro traendo in inganno il titolare della gioielleria "Wargas Sisti srl" circa la validità del pagamento che, invece, veniva effettuato con assegno postale intestato al suo convivente;

e per il quale l’imputata non era abilitata alla firma;

fatti accertati in (OMISSIS);

al termine del giudizio l’imputata veniva condannata alla pena indicata in sentenza;

La B. proponeva gravame ma la Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 11.03.2010, respingeva i motivi e confermava la decisione impugnata;

Ricorre per Cassazione B.M., deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1) – La ricorrente censura la decisione impugnata per illogicità, avendo omesso di considerare che la sua buona fede, poichè era convinta di poter utilizzare il conto corrente del suo convivente e la mancanza di dolo era resa evidente dalla circostanza che aveva declinato le sue generalità nonchè un valido documento di identità;

– la sentenza era da censurare anche per avere ricavato la riprova dell’elemento intenzionale del reato dal comportamento del convivente, osservando che quest’ultimo non aveva inteso coprire l’importo dell’assegno; si trattava di una motivazione illogica perchè non poteva ricavare elementi a carico dell’imputata dalla condotta di un terzo estraneo ai fatti;

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

In tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti. Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255.

La sentenza impugnata ha sottolineato, quanto alla prova del dolo, che il divieto di utilizzare il conto corrente altrui, anche se di persona convivente, risponde ad una nozione di comune ed universale conoscenza, sicchè non poteva essere ignota alla ricorrente;

inoltre, l’elemento soggettivo del reato emergeva anche dal comportamento dell’imputata, che, una volta verificata l’irregolarità dell’operazione, non si era attivata per un tardivo pagamento – anche a mezzo del convivente, titolare del conto – ovvero per la restituzione della catena;

da tali sintomatici comportamenti la Corte di appello ha tratto, in maniera del tutto congrua, la conferma della mala fede dell’imputata;

mala fede che, a parere della Corte di appello, non veniva esclusa dalla considerazione che la B. aveva esibito un documento di identità valido poichè tale comportamento costituiva nient’altro che l’espediente attraverso il quale era stato raggirato il negoziante, indotto in tal modo in errore circa l’affidabilità dell’imputata;

Si tratta di una motivazione congrua perchè aderente alle emergenze processuali ed immune da illogicità evidenti in quanto rispondente ai criteri di comune conoscenza ed esperienza; risulta perciò incensurabile in questa sede, ove la Corte di Cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 16 gennaio 2006. n. 11395.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità- al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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