Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-11-2010) 27-01-2011, n. 2984 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Monza, giudicava:

D.G. e G.E.:

perchè imputati:

– del reato di rapina aggravata dall’uso di un taglierino ai danni della filiale di (OMISSIS) del Credito Artigiano, con la quale si impossessavano di Euro 204,67, nonchè del reato di porto del taglierino e di ricettazione dell’autovettura usata per la rapina;

fatti accertati in (OMISSIS);

e, concesse le attenuanti generiche, equivalenti solo per il G., ritenuta la continuazione tra i delitti, operata la riduzione per il rito, condannava:

– D. alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione ed Euro 1.000 di multa e:

– G. alla pena di anni 2 mesi 4 di reclusione ed Euro 600 di multa;

Gli imputati proponevano gravame e la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 16.06.2009, respingeva i motivi proposti e confermava la decisione di 1^ grado;

Ricorrono per Cassazione entrambi gli imputati, deducendo:

G.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1)- Il ricorrente censura la decisione impugnata per omessa ed illogica motivazione ed, in particolare, per non avere motivato riguardo alla nullità del riconoscimento fotografico operato dai testi presenti alla rapina, nullità dedotta dalla difesa in relazione all’individuazione che i testi avevano effettuato sulle foto segnaletiche degli imputati , ma dopo che – in maniera irritale – erano stati mostrati loro i fotogrammi del filmato della rapina;

– a parere del ricorrente, tale procedura era irregolare e poneva nel nulla l’attendibilità ed efficacia del riconoscimento fotografico;

2)- la sentenza era del pari da censurare per avere ritenuto valide le comparazioni delle impronte dattiloscopiche effettuate dalla Polizia scientifica che, però, non aveva proceduto al prelievo delle impronte direttamente sull’indagato -unico metodo idoneo, a parere del ricorrente – ma aveva utilizzato quelle presenti sul cartellino foto-segnaletico del medesimo, non fornito di altrettanta attendibilità;

3)- la motivazione era infine illogica e sostanzialmente omessa sui motivi di appello relativi: – alla eccessiva entità della pena ed: – al negato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate;

D.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1)- il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere negato la continuazione tra i reati oggetto del presente giudizio e quelli già giudicati dal Gup di Pesaro con la sentenza definitiva in data 10.11.2005;

– la motivazione adottata era illogica per non avere considerato che la vicinanza temporale tra le due rapine (di una sola settimana) e la ricettazione della vettura per compierle, costituivano elementi indicativi dell’unicità dell’ideazione di entrambe le rapine;

Chiedono pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi proposti da entrambi i ricorrenti sono totalmente infondati.

Invero i motivi propongono interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

In tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti; Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Quanto all’attendibilità del riconoscimento fotografico del ricorrente G. la sentenza impugnata motiva in maniera congrua, osservando che le discrepanze tra le varie dichiarazioni testimoniali sono irrilevanti perchè non attengono al nucleo fondamentale della prova, costituito dal riconoscimento fotografico degli imputati ad opera dei testi presenti al fatto e che, in ogni caso, anche tale dato probatorio, per quanto assai significativo, costituisce solo un riscontro all’esattezza ed attendibilità della comparazione dattiloscopica tra le impronte rilevate nell’istituto bancario e quelle memorizzate nei cartellini fotosegnaletici identificativi degli imputati;

si tratta di una motivazione congrua, perchè aderente alle emergenze fattuali ed immune da illogicità evidenti, sicchè risulta incensurabile in questa fase di legittimità, alla luce dei principi sopra richiamati.

Il ricorrente G. censura tale motivazione osservando che il metodo seguito dalla polizia scientifica per effettuare la comparazione delle impronte dattiloscopiche non sarebbe attendibile, ma si tratta di una valutazione alternativa delle metodologie seguite dalla Polizia scientifica e si scontra con la precisa motivazione della Corte di appello che, al contrario, ha ritenuto pienamente utilizzabile l’operato della PG perchè "condotto secondo i protocolli normalmente praticati dal Gabinetto regionale di Polizia Scientifica di Milano" (pag.7 motivaz. app.).

Si tratta di una motivazione incensurabile in questa sede ove la Corte di Cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 16 gennaio 2006, n. 11395.

Parimenti infondati appaiono i motivi proposti dal G. relativamente al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche;

al riguardo, la Corte di appello ha richiamato la gravità del fatto e la personalità dell’imputato ed ha fatto riferimento al carico pendente che vede il G. indagato per altra rapina, commessa dopo quella in esame;

si tratta di una motivazione che fa corretto riferimento ai criteri previsti dall’art. 133 c.p. il quale indica, oltre ai precedenti penali, anche quelli "giudiziari" come nella specie.

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, ovvero del giudizio di comparazione con altre circostanze, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, "a fortiori", anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione. (Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290.

Ugualmente infondati appaiono i motivi proposti dal ricorrente D. riguardo alla negata continuazione con analogo episodio, giudicato dal Gup presso il Tribunale di Pesaro, atteso che la motivazione della Corte territoriale appare immune da illogicità, laddove ha sottolineato che la vicinanza temporale tra i due episodi e la sostanziale identità della tipologia dei reati, non costituivano elementi sufficienti a fornire la prova di un’originaria ed unitaria ideazione dei due reati di rapina che, anzi, apparivano frutto di decisioni estemporanee e scollegate tra loro, attesa la grande distanza intercorrente:

– tra i luoghi delle due rapine ((OMISSIS)) e: – tra questi ultimi e la residenza dell’imputato.

Si tratta di una motivazione conforme ai principi espressi dalla Giurisprudenza di legittimità che ha sottolineato come l’elemento caratterizzante l’istituto della continuazione va ravvisato nell’unicità del disegno criminoso, inteso quale scopo unitario dei singoli reati, i quali si presentano come realizzazione di un programma delineato – sia pure a grandi linee – "ab initio" nella mente del soggetto: tale originaria preordinazione dei singoli episodi criminosi va intesa, quindi, nel senso che, da quando si commette la prima violazione, le altre devono essere già deliberate, per cui le singole manifestazioni della volontà violatrice della norma o delle norme esprimono l’attuazione, sia pur dilazionata nel tempo, di un unico disegno criminoso. Cassazione penale, sez. 5, 25 settembre 2009, n. 49476.

Per altro verso, è noto che l’identità del "modus operandi" non rileva a fini della continuazione, laddove sia espressione di una "scelta di vita" e non di un unitario e preordinato disegno criminoso. Cassazione penale, sez. 6, 25 settembre 2009, n. 49476.

Nè può censurarsi l’apprezzamento dei fatti, così come congruamente operato dalla Corte territoriale, atteso che in tema di continuazione, la valutazione circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito: essa è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretta da adeguata motivazione.

Cassazione penale, sez. 4, 13 giugno 2007, n. 25094.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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