Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-02-2011, n. 4627 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con avviso notificato nel 2000 la Agenzia della Entrate di Como, Ufficio IVA, rettificava in aumento l’ammontare della imposta portata in detrazione da Rfidix s.r.l. per l’anno 1996 sul rilievo che la stessa aveva applicato nella relativa dichiarazione annuale la percentuale di indetraibilità del 90% solo ad una parte dell’IVA pagata sugli acquisti, e non sull’intero ammontare degli stessi, contravvenendo al disposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 ed applicava le relative sanzioni.

La società impugnava l’avviso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Como, sostenendone la illegittimità e nel merito la infondatezza.

La Commissione accoglieva parzialmente il ricorso, determinando l’IVA detraibile in misura peraltro assai inferiore a quella esposta dalla contribuente, ed annullava le sanzioni ai sensi del D.L. n. 472 del 1997, art. 6.

Appellava la società, e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 26/15/05, in data 7-2-05, depositata in data 1-3-2005, respingeva il gravame confermando la sentenza impugnata.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società con quattro motivi.

Resiste la Agenzia con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo la società deduce violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 della L. n. 241 del 1990, art. 6 e L. n. 212 del 2000, art. 6, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene che l’accertamento dell’Ufficio si è fondato solo sulla lettura della dichiarazione IVA del contribuente senza esperire una istruttoria, che ad avviso della ricorrente è richiesta in ogni caso a pena di nullità in quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 che autorizza l’accertamento in assenza di istruttoria, è stato implicitamente abrogato per incompatibilità con il disposto di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 6 nè il difetto sarebbe suscettibile di sanatoria.

Con il secondo motivo deduce violazione di norma di legge in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56.

Sostiene che la motivazione dell’avviso sarebbe carente in quanto la giustificazione della ripresa, ritenuta sufficiente dalla Commissione Regionale, pare meramente apparente non riportando i motivi per i quali la dichiarazione del contribuente era da ritenersi inesatta.

Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto la commissione avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla assoggettabilità o meno ad IVA dei canoni di locazione di immobili, ritenuti erroneamente estranei all’oggetto del decidere, limitato alle questioni trattate nell’avviso impugnato, laddove il tema di indagine doveva estendesi ai presupposti di fatto della applicazione dell’IVA alle operazioni poste in essere dalla società onde valutare se fossero imponibili o meno e quindi se la valutazione dell’Ufficio sulla percentuale di indetraibilità della imposta fosse o meno corretta.

Con il quarto motivo deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19.

Espone che la Commissione ha ritenuto che, poichè ai sensi dell’art. 19 citato non erano computabili al fine della determinazione della quota di indeducibilità della imposta le operazioni esenti indicate dai numeri da uno a nove dell’art. 10 dello stesso D.P.R. che non formano oggetto della attività propria della impresa o sono accessorie ad operazioni imponibili, le locazioni di immobili gestite dalla società non rientravano in tale novero in quanto l’oggetto sociale della medesima comprendeva la "gestione e locazione degli immobili".

Sostiene che tale dato era insufficiente in quanto occorreva avere riguardo alla attività in concreto svolta dalla società e non al mero dato statutario, per cui le locazioni dovevano intendersi come operazioni meramente occasionali od accessorie ad operazioni imponibili.

L’Ufficio in controricorso sostiene la inammissibilità e la infondatezza della argomentazioni della ricorrente.

Il primo motivo è infondato. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 prevede espressamente la ipotesi in cui la infedeltà della dichiarazione emerga direttamente dal contenuto di essa, ed in lai caso l’Ufficio è autorizzato ad effettuare la rettifica senza alcun altro adempimento istruttorio.

La L. n. 241 del 1990, art. 6 nulla ha immutato in proposito, anzi è del tutto sovrapponibile alla disposizione in parola, in quanto impone in via generale l’accertamento dei fatti mediante il compimento degli atti all’uopo necessari, per cui, ove non sia necessario alcun atto ulteriore al semplice esame dell’operato del contribuente, non si fa luogo ad atti istruttori che nella specie sarebbero inutili anche ai fini del diritto di difesa del soggetto interessato.

Tale è la situazione prospettata dall’Ufficio nell’accertamento ed in tali termini è stata recepita dalla sentenza impugnata.

Non sussiste quindi alcuna violazione di legge e d’altro canto deve rilevarsi che, al di là della allegazione della necessità di un requisito meramente formale (inesistente nella fattispecie, come si è detto) la ricorrente non ha evidenziato alcuna lesione concreta al proprio diritto di difesa nè la necessità di particolari atti istruttori in relazione alla fattispecie considerata.

Il secondo motivo è parimenti infondato.

La Commissione ha ritenuto che la motivazione dell’avviso di rettifica è sufficiente in quanto " riporta l’errore riscontato in dichiarazione e le inesatte dichiarazioni su cui si fonda la rettifica".

La ricorrente assume che l’Ufficio avrebbe dovuto riportare anche le motivazioni per cui la dichiarazione era stata ritenuta inesatta.

L’assunto non è condivisibile. Il principio consolidato che l’atto di accertamento, in quanto atto autoritativo contenente la pretesa tributaria, deve enunciare gli elementi necessari a consentire al contribuente di rendersi conto del titolo e del contenuto della pretesa, onde consentirgli di valutare la opportunità di esperire la impugnazione giudiziale; nell’ambito della quale la Amministrazione è tenuta a passare dalla allegazione della pretesa alla prova della medesima, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto (V. Cass. n. 9129 del 2006).

Poichè non è controverso che l’atto abbia tali caratteristiche, e che successivamente il contraddittorio tra le parti in sede contenziosa si sia realizzato in modo pieno, la censura è infondata.

Il terzo motivo è inammissibile.

Il motivo non espone ragioni per cui la motivazione della sentenza sia carente o contraddittoria per proprie interne incongruenze o lacune, bensì procede ad una esposizione di elementi di fatto che asserisce essere stati non esaminati o male valutati, richiedendo in sostanza una rivalutazione degli elementi di prova assunti in giudizio inammissibile in questa sede di legittimità: senza contare che le stesse allegazioni, tra loro non collegate, da un lato mancano di autosufficienza per mancata riproduzione od allegazione degli atti richiamati, dall’altro risultano in sè difficilmente comprensibili in ordine alla rilevanza specifica loro attribuita dalla ricorrente.

Il quarto motivo è parimenti inammissibile.

Infatti, viene assunto come violazione di legge ( D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19) l’assunto della Commissione che le locazioni poste in essere dalla contribuente non potevano ritenersi accessorie od occasionali in quanto la attività di locazione rientrava nella "gestione e locazione di immobili" oggetto di previsione statutaria, laddove ad avviso della ricorrente il dato statutario è insufficiente dovendo farsi riferimento alla attività in concreto svolta dalla contribuente.

E’ agevole osservare che l’art. 19 citato non indica alcuno specifico e cogente criterio di prova in proposito, per cui la questione riguarda un accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito ed insindacabile in questa sede ove (come nella specie) congruamente motivato, e non una violazione di legge, nella specie insussistente.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese a favore della Agenzia che liquida in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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