Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-11-2010) 27-01-2011, n. 3008

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava quella in data 12.02.2007 del Tribunale di Roma, appellata, fra l’altro, da I.B., con la quale il medesimo era stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione per il reato di cui agli artt. 110, 56 e 385 c.p., per avere concorso con G.M. e altro detenuto allo scavo di un tunnel di cm. 60 nel muro prospiciente la cella che occupavano nel carcere di Regina Coeli e all’occultamento del foro di entrata con i letti e con un pezzo di cartone. Rilevava in particolare la Corte di merito che l’attività compiuta nella cella, di cui il G. si era assunta l’esclusiva responsabilità, implicava, per il contesto e le operazioni del suo svolgimento, la partecipazione anche del B.. La stessa era poi senz’altro idonea allo scopo fissato, al di là dei rischi collegati alle successive condotte necessarie per condurre a termine l’evasione.

Propone ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo che:

1) – l’apertura del tunnel, conducendo a un cortile destinato al passeggio degli altri detenuti, dal quale poi si sarebbe dovuto superare un reticolato e scavalcare un muro di cinta, era del tutto inidonea a produrre il risultato dell’evasione, onde il fatto andava riqualificato come danneggiamento;

2) – l’esecuzione del lavoro da parte del G., che se n’è assunta l’esclusiva responsabilità, non richiedeva l’apporto di alcun "palo", e la mera connivenza non può integrare responsabilità concorsuale;

3) – è ingiustificata e non adeguatamente motivata la misura della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Per quanto concerne, invero, il primo motivo, non può che condividersi quanto osservato dalla Corte di merito in ordine alla idoneità della condotta ascritta a produrre il voluto risultato di evasione, non potendosi all’evidenza configurare una oggettiva e assoluta impossibilità del suo conseguimento in relazione alle operazioni, certamente complesse e anche rischiose, ma non irrealizzabili (come dimostrano le cronache di analoghi episodi realmente avvenuti), del superamento del reticolato e del muro di cinta, che sì sarebbero dovute porre in essere (ovviamente nel momento ritenuto più propizio), una volta raggiunta clandestinamente l’uscita dalla cella. Relativamente al secondo motivo di ricorso, con lo stesso si contesta in sostanza la valutazione che i giudici di merito hanno compiuto, senza manifesta illogicità, circa la complessità delle attività poste in essere all’interno della cella (scavo prolungato nel muro attraverso barre di metallo tolte dalle finestre, copertura periodica del foro con i letti a castello e un cartone), tale da comportare la sicura partecipazione al fatto, quanto meno a livello di "sorveglianza", anche del ricorrente.

In ordine, infine, alla misura della pena, il ricorso reca considerazioni valutative, inidonee a evidenziare profili di manifesta illogicità della motivazione resa dalla Corte di merito, che ha, in particolare, dato ragionevolmente rilievo alla laboriosità del piano progettato per realizzare la sperata fuga dall’istituto carcerario.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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