Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-09-2010) 27-01-2011, n. 2998 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.I.P. presso il Tribunale di Torino, con ordinanza in data 14 settembre 2009, riteneva sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico di C.I.B., O.L.G. e V.G., in relazione al delitto di associazione per delinquere, nonchè a molteplici delitti di truffa, falso e per il C. anche di circonvenzione di incapace. Lo stesso G.I.P., peraltro, rigettava la richiesta del P.M. di applicazione di misure cautelari personali, ritenendo insussistenti le esigenze cautelari, evidenziando, in particolare, che i reati contestati risultavano commessi fino all'(OMISSIS) e che l’attività illecita era cessata. A seguito di impugnazione del p.m., il Tribunale di Torino, ritenendo sussistenti le esigenze cautelari consistenti nel pericolo di recidivanza specifica e, per quanto riguarda il C., anche quello di inquinamento probatorio, applicava nei confronti di C. e O.L. la misura cautelare della custodia in carcere e nei confronti di V. la misura degli arresti domiciliari, escludendo, peraltro, con riferimento a ciascuno dei predetti, alcuni reati fine dell’associazione per delinquere.

Secondo la contestazione, C., O.L. e C. G. (per il quale ultimo era confermata l’insussistenza di esigenze cautelari), in quanto operanti nel campo dell’intermediazione creditizia ed immobiliare e V., in quanto estimatore di Immobili, B.P. (per la quale era confermata l’insussistenza di esigenze cautelari), in quanto direttrice di un’agenzia della Banca Popolare di Milano, si sarebbero associati, fra il giugno del 2007 e l’aprile del 2008, per commettere una serie indeterminata di falsi e truffe in danno dell’istituto bancario: i primi due trovavano soggetti privi di risorse e li convincevano ad acquistare formalmente un immobile ed a stipulare un contratto di mutuo con la BPM; la richiesta era corredata da documentazione falsa sulla solvibilità del mutuatario e da una perizia di V. che sopravvalutava il valore dell’immobile oggetto dell’acquisto.

Propongono ricorso per Cassazione i difensori degli indagati.

Il difensore di C. deduce:

1) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alle esigenze cautelari connesse alla reiterazione di reati della stessa specie.

Il ricorrente afferma che l’ordinanza impugnata si fonda sulla erronea considerazione che l’oggetto della ditta con la quale opera attualmente il C. prevede l’operatività nel settore del servizio alle imprese di consulenza nell’ambito finanziario, mentre, in realtà, l’attività effettivamente svolta dall’indagato sarebbe quella di manovale muratore; d’altro canto, per stessa affermazione del p.m., l’attività illecita sarebbe da tempo cessata per l’intervento dell’A.G. e il procedimento riguarda episodi di erogazione illecita di mutui risalenti nel tempo (febbraio – aprile 2008).

Il ricorrente rileva anche la contraddittorietà dell’ordinanza che ha escluso il pericolo di recidivanza della B. proprio sul fatto che la stessa abbia continuato a svolgere la propria attività all’interno della banca.

2) mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alle esigenze cautelari connesse al pericolo di inquinamento probatorio.

La esigenza cautelare, che si fonda sulle pressioni che alcune fonti orali riferiscono di avere ricevuto dal C. prima di essere sentiti dall’organo inquirente, sarebbe astratta e indeterminata, poichè le indagini sono concluse, l’inquinamento probatorio si sarebbe verificato da oltre due anni e, comunque, si sarebbe rivelato inidoneo ad influire negativamente sulla genuinità della prova, infine, l’impianto accusatorio si fonderebbe su acquisizioni documentali.

3) mancanza o illogicità della motivazione in ordine alla inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari o comunque di altra misura.

La motivazione sul punto sarebbe illogica, apodittica e contraddittoria.

Il difensore di O.L. deduce: erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 272 c.p.p., ss. circa la ritenuta sussistenza di elementi idonei ad integrare i presupposti di cui all’art. 274 c.p.p., nonchè manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Erroneamente l’ordinanza impugnata avrebbe ritenuto che l’indagato risulti operare nel medesimo ramo commerciale, poichè la società Olg Consulting s.a.s. dell’ O. non opera più in quanto cancellata e, comunque, lo stesso p.m. ha dato atto che l’attività illecita è cessata dall’aprile 2008, sicchè sarebbe infondata anche l’affermazione del Tribunale della libertà circa la mancanza di resipiscenza da parte dell’indagato. Il ricorrente lamenta anche che l’ordinanza impugnata non abbia spiegato le ragioni per le quali unica misura idonea sia quella della custodia in carcere.

Il difensore di V. deduce:

1) vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto, sotto il profilo oggettivo, la condotta dell’indagato non potrebbe ritenersi illecita, ben potendosi trattare al più di stime, senza alcun valore certificativo, non corrette ed operate prò mutuatario, per le quali percepiva un compenso modesto e adeguato ai consueti parametri dell’attività; sotto il profilo soggettivo, non venne mai informato del complesso meccanismo dissimulatorio.

2) vizio di motivazione e violazione di legge sulle esigenze cautelari.

Il ricorrente rileva che l’indagato non svolgeva la funzione di tecnico fiduciario dell’istituto bancario iscritto in apposito elenco e le sue stime venivano effettuate su richiesta e per conto del richiedente il mutuo, la sua, quindi, era una mera valutazione di parte. Il Tribunale, pertanto, sarebbe incorso in un travisamento del fatto, ritenendo di far discendere dal termine "perito" una particolare fidefacenza dell’operato del V..

Per quanto concerne la circostanza, sulla quale l’ordinanza impugnata fonda il pericolo di recidivanza, che l’indagato continui ad operare nello stesso campo professionale, il ricorrente lamenta che il prospettato pericolo verrebbe ancorato a parametri astratti o meglio ipotetici e, inoltre, contraddittori rispetto alle diverse valutazioni espresse con riguardo all’indagata B..
Motivi della decisione

I motivi dei ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

Per quanto concerne il ricorrente C., l’ordinanza impugnata ha chiarito che il pericolo di recidivanza è collegato alla circostanza che l’indagato continui ad operare nel medesimo settore commerciale nel quale si sono svolte le attività criminose di cui alle contestazioni. L’affermazione difensiva secondo la quale, in realtà, il C. svolgerebbe l’attività di manovale muratore non può essere presa in considerazione in questa sede di legittimità, in quanto le valutazioni sul punto dell’ordinanza impugnata si basano su di un apprezzamento di merito della documentazione prodotta dalla difesa.

La doglianza difensiva concernente il tempo trascorso dalla commissione del reato è infondato, poichè "il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. e)" (Sez. 4, 26 giugno 2007, n. 6717, Rocchetti, rv. 239019) e l’ordinanza impugnata ha sul punto fornito una specifica motivazione, sottolineando i plurimi precedenti specifici che gravano sull’indagato e gli autonomi addebiti che lo riguardano, ritenuti indici della sua capacità criminale e della attualità e concretezza del pericolo che possa perpetrare nuovi illeciti, operando l’indagato nel medesimo ramo commerciale in cui si sono sviluppati gli illeciti contestati nel presente procedimento. Nessun rilievo può avere, poi, il riferimento alla asserita identità di posizione della B., per la quale è stato escluso il pericolo di recidivanza, posto che le posizioni dei singoli indagati non sono comparabili e l’ordinanza impugnata formula una specifica e distinta motivazione in relazione a ciascun indagato.

Il motivo di ricorso concernente il pericolo di inquinamento probatorio deve essere rigettato, in primo luogo, perchè l’affermazione difensiva che "l’impianto accusatorio si fonderebbe su acquisizioni documentali" è del tutto apodittica e non trova riscontro nel testo dell’ordinanza impugnata, in secondo luogo, perchè, secondo un principio già affermato da questa Suprema Corte, "in tema di misure cautelari personali, la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio va effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, a nulla rilevando il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero risultino già concluse, atteso che l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all’atto della chiusura delle indagini preliminari" (Sez. 6, 11 febbraio 2010, n. 13896, Cipriani, rv. 246684).

Infine, il motivo di ricorso concernente la proporzionalità della misura applicata è del tutto generico e non consente di individuare i punti della decisione censurati, a fronte di una decisione sul punto adeguatamente e logicamente sviluppata.

Per quanto concerne il ricorrente O.L., la affermazione difensiva che l’indagato non operi più nel medesimo ramo commerciale in cui si sono sviluppati gli illeciti contestati non può essere presa in considerazione in questa sede di legittimità, in quanto contrasta con il diverso apprezzamento di merito sul punto espresso dal Tribunale.

La doglianza difensiva concernente il tempo trascorso dalla commissione del reato è infondato, per gli stessi motivi già esposti con riferimento all’indagato C., considerato che sul punto l’ordinanza impugnata ha ampiamente argomentato con riferimento alla gravità dei fatti, all’intensità del dolo e all’assenza di qualsiasi forma di resipiscenza o di presa di distanza dai gravi illeciti per i quali si procede.

Infine, l’ordinanza impugnata si è motivatamente e con argomentazioni logiche espressa anche sulla adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere, osservando come l’indagato "non abbia preso alcuna distanza dai fatti per i quali si procede ed abbia dimostrato di sapersi servire di sodali e collaboratori in grado di condurre in porto anche nel suo interesse i suoi progetti criminosi".

Per quanto riguarda il ricorrente V., il primo motivo di ricorso concernente la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza non può ritenersi consentito, trattandosi di questione sollevata per la prima volta in questa sede di legittimità, posto che, come rileva l’ordinanza impugnata, "nessuna delle difese ha contestato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine a tutti gli addebiti per i quali si procede".

Il motivo di ricorso con il quale si denuncia vizio di motivazione e violazione di legge non può essere accolto, poichè l’ordinanza impugnata ha chiarito che "se le perizie estimative di V. non fossero servite a nulla non si vede perchè egli sia stato coinvolto nel sodalizio criminoso nè perchè proprio la veste di perito estimatore egli abbia in tale sodalizio ricoperto: in realtà le perizie dell’indagato in parola, a quanto è dato di riscontrare, avevano una funzione essenziale nel meccanismo criminale oggetto di accertamento". Per quanto concerne il pericolo di recidivanza, il Tribunale ribadisce la convinzione già espressa con riferimento agli altri indagati, secondo la quale il suddetto pericolo è concreto ed attuale, in quanto il V. continua ad operare nel medesimo ramo commerciale in cui si sono sviluppati gli illeciti contestati nel presente procedimento e non ha preso alcuna distanza dai fatti per i quali si procede.

Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati con la conseguenza della condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso, con riguardo a C.I.B. e O.L.G., al direttore dell’istituto penitenziario, affinchè provveda a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., per C. I.B. e O.L.G..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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