Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-02-2011, n. 4904 Cosa in custodia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 31 ottobre 2005 la Corte di appello di Trento confermava la sentenza del 23 novembre 2004 con la quale il tribunale di quella città aveva respinto la domanda di P.S. volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di una caduta nella piscina gestita dalla CAT Compagnia Alberghiera Trentina s.r.l. nell’albergo (OMISSIS).

Avverso siffatta decisione insorge la soccombente con il presente ricorso, affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso la CAT Compagnia Alberghiera Trentina s.r.l..

La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione

In estrema sintesi, con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’"Atto di Intesa tra Stato e Regioni relativo agli aspetti igienico-sanitari concernenti la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso natatorio", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 1992, per avere la Corte territoriale limitato la definizione di "spazi percorribili a piedi nudi", di cui al punto 1.5 dell’Allegato 1 dell’Intesa, solo a quegli spazi perimetrali esterni ed intorno alla vasca, escludendo che anche i gradini della scaletta di accesso alla piscina debbano presentare superficie antisdrucciolevole.

Osserva il Collegio che di tale "Atto" non si rinviene traccia nella sentenza impugnata, la quale argomenta in ordine alla domanda risarcitoria sotto il profilo delle norme di cui all’art. 2051 c.c., interpretando la domanda di P.S., che era scivolata cadendo in acqua mentre si serviva della scaletta di accesso alla piscina, che non era ricoperta materiale antisdrucciolevole.

Sotto questo profilo, su cui si incentra gran parte del motivo, la censura appare inammissibile.

Tuttavia, essa va esaminato, allorchè la decisione di merito viene criticata nella parte in cui ha escluso il nesso causale tra la cosa e l’evento e non ha tenuto presente che la parte convenuta, in assenza di qualsiasi elemento di prova sul fortuito o sull’imprevedibile, non poteva essere assolta da responsabilità.

Di vero, contrariamente all’assunte della ricorrente, il giudice dell’appello – dopo aver chiarito che la scala di accesso era conforme alle prescrizioni vigenti ed aver affermato che le normative UNI del febbraio 2001, precedenti all’evento, non dettavano regole in ordine alla superficie dei gradini delle scale, ma si preoccupavano, piuttosto, della orma dei gradini e della presenza di corrimano solidi lungo la scala – ha escluso ogni responsabilità del custode anche sulla base della ricostruzione operata nel processo.

La Corte tridentina, infatti, ha accertato, anzitutto, che i gradini presentavano una cd. "mandorlatura" (perfettamente visibile ed idonea a garantire su di essa un appoggio sicuro dei piedi) e che solo al punto centrale dei gradini stessi, per alcuni centimetri, il metallo era liscio.

Ha spiegato, poi, che detta parte centrale era quella sulla quale i piedi dell’utente non avrebbero dovuto poggiare e che la discesa in acqua doveva essere effettuata correttamente con le estremità inferiori ad una distanza tra esse almeno pari alla larghezza del bacino (tanto da non calcare la parte liscia dei gradini) e sorreggendosi con entrambe le mani sui due sostegni laterali della scala.

Ha aggiunto, quindi, che se la ricorrente a dette prescrizioni di normale prudenza si fosse attenuta, l’evento di danno non si sarebbe verificato e che questo, perciò, era da fare risalire ad un utilizzo anomalo della cosa, non conforme al modello tecnico dell’impianto, costruito nel rispetto della normativa in vigore.

Sulla scorta delle svolte considerazioni il giudice del merito ha escluso l’applicabilità della norma di cui all’art. 2051 cod. civ. e la statuizione è corretta, a mente della regula iuris, pacifica esegesi di questa Corte di legittimità (Cass., n. 20334/2004: Cass., n. 13337/2000; Cass., n. 5796/98; Cass., n. 9568/97), secondo cui l’imprudenza del danneggiato, che abbia riportato un danno a seguito di impropria utilizzazione della cosa, integra il caso fortuito per gli effetti di cui alla norma in questione.

Il ricorso, pertanto, è rigettato e la ricorrente è condannata le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200 per spese generali, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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