T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 25-01-2011, n. 416 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il gravame in epigrafe la ricorrente impugna il provvedimento (ordinanza n. 138/2008) spedito dal Comune di Giugliano e recante un ordine di sospensione di lottizzazione abusiva.

Chiede, altresì, in via subordinata, la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita della proprietà per effetto dell’omessa effettuazione della doverosa attività di vigilanza e controllo sul territorio e per l’omessa adozione dei provvedimenti ex art. 18 commi 6 e 7 del d.p.r. 380/2001 nel momento in cui sono stati trasmessi gli atti all’Amministrazione.

Espone, invero, di aver acquistato, in data 9.11.2000, un’abitazione unifamiliare, sita in Giugliano alla via Rannola, censita in catasto al fol. 80 p.lla 687, dell’estensione di 801 mq circa, oggetto di un’istanza di condono edilizio.

Deduce, a sostegno della spiegata domanda di impugnazione, le seguenti osservazioni censoree:

1) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, che avrebbe precluso l’acquisibilità di apporti partecipativi circa la pendenza di domande di condono ovvero la non attualità della contestazione;

2) la ricorrente avrebbero acquistato un fabbricato, e non un’area, a distanza di diversi anni dalla data della presunta lottizzazione (1993), di talchè non potrebbe dubitarsi della sua buona fede, nemmeno contestata dall’Autorità procedente;

3) l’ordine di sospensione risulterebbe malamente emesso dopo l’ultimazione delle costruzioni, sicchè non vi sarebbe né attualità né concretezza nel disegno lottizzatorio ipotizzato;

4) difetto di motivazione;

5) il provvedimento non terrebbe conto della pendente domanda di condono, nemmeno menzionata;

6) il provvedimento sarebbe contraddittorio nella parte in cui reca anche un ordine di demolizione.

Con atto recante motivi aggiunti, depositato il 2.4.2009, la ricorrente ha, poi, attratto nel fuoco della contestazione anche il provvedimento n. 3809 del 26.1.2009, di diniego dell’istanza di condono.

A tali fini, ha articolato, in via aggiuntiva, le seguenti osservazioni censoree:

1) violazione dell’art. 10 della legge n. 241/1990 a cagione dell’omessa valutazione della nota di parte ricorrente depositata nell’ambito del procedimento definito con il gravato atto di diniego;

2) sarebbero decorsi i termini di legge per la formazione del silenzio – assenso sulla domanda di condono;

3) contrariamente a quanto ritenuto dal Comune di Giugliano sarebbe consentita la sanatoria di un immobile in un comprensorio abusivamente lottizzato;

4) il Comune avrebbe negato il condono nonostante la possibilità di adottare piani di recupero e l’impegno della ricorrente a compartecipare ai relativi oneri di urbanizzazione.

Il Comune di Giugliano non si è costituito in giudizio.

All’udienza del 25.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, è infondato e, pertanto, va respinto.

Preliminarmente, mette conto osservare che il precitato mezzo riporta all’attenzione del Collegio questioni, in buona parte, già di recente scrutinate in altri coevi procedimenti (cfr. ex multis TAR Campania, Napoli, Seconda Sezione, n°1613, 1614 del 25.3.2010, nn°10983 e 10984 del 31.5.2010, 16703, 16704 del 13.7.2010, nn°17263, 17264 del 27.8.2010), relativi ad attività di lottizzazione abusiva consumate sul medesimo territorio e che involgono, talvolta, la legittimità della stessa ordinanza n. 138/08 (cfr. ex multis TAR CAMPANIA, Napoli, Seconda Sezione, n. 16528 dell’1.7.2010), oggetto del presente gravame.

Non essendovi ragione per discostarsi dagli orientamenti già espressi, verranno riproposte, di seguito, le medesime argomentazioni già poste a fondamento dei richiamati "decisa", salvo le integrazioni che si renderanno necessarie in relazione ad eventuali, ulteriori questioni sollevate nel presente giudizio e non ancora delibate dalla Sezione.

Si deve al riguardo ricordare che l’articolo 30 del T.U. sull’edilizia – che riproduce le disposizioni contenute nel previgente articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 – distingue due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio. La prima, cd. lottizzazione materiale (o reale), ricorre "quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione".

La seconda, lottizzazione cd. formale, negoziale ovvero cartolare, si delinea "quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio".

Ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, la lottizzazione abusiva materiale ricorre quindi nel caso di realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica e edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente da leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione, mentre la lottizzazione abusiva formale o cartolare si verifica quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne siano già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita (o altri equipollenti) del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quale la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, la ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, e per gli altri elementi riferiti agli acquirenti, evidenzino in modo non equivoco la destinazione a uso edificatorio, creando così una variazione in senso accrescitivo tanto del numero dei lotti quanto di quello dei soggetti titolari dei diritti sugli stessi.

La formulazione dell’art. 30, del D.P.R. n. 380 del 2001 consente quindi di affermare che può integrare un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opera in concreto idonea a stravolgere l’assetto del territorio preesistente ed a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, pertanto, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione del territorio (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un nuovo e non previsto carico urbanistico.

Il concetto di "opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia" dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera "funzionale" alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione, al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio e uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibile con le esigenze di finanza pubblica (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 9 ottobre 2009, n. 9859).

Per quanto concerne il frazionamento cartolare si è poi precisato che, sebbene l’accertamento dei presupposti di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 380 comporti la ricostruzione di un quadro indiziario sulla scorta degli elementi indicati nella norma, dalla quale sia possibile desumere in maniera non equivoca la destinazione a scopo edificatorio degli atti posti in essere dalle parti, è tuttavia sufficiente che lo scopo edificatorio emerga anche solo da alcuni degli indizi o, anche da un solo indizio (Consiglio Stato, sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2004; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 5 novembre 2009, n. 10872).

Applicando tali principi al caso di specie risulta evidente, dall’esame degli atti di causa, che nell’area di proprietà della ricorrente (e degli altri soggetti interessati dal provvedimento impugnato) è stata realizzata una vasta lottizzazione abusiva sia cartolare che materiale.

Come risulta infatti dagli accertamenti compiuti dal Comune, richiamati nel provvedimento impugnato, un ampio fondo del foglio 80 (con destinazione E1 agricola), originariamente di proprietà della signora Laura Pane, è stato oggetto di frazionamento e i relativi lotti sono stati alienati a diversi soggetti e sono stati oggetto di numerosi interventi edilizi realizzati in assenza di qualsiasi titolo abilitativo (e sanzionati con diverse ordinanze di demolizione).

Ritiene pertanto il Collegio che il Comune di Giugliano in Campania ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, evidenziando che sulla suindicata porzione di territorio sono stati compiuti, nel corso degli anni, il frazionamento di un più ampio fondo in più lotti e la compravendita di questi ultimi, e sono state anche realizzate attività materiali indubbiamente idonee ad attuare una trasformazione urbanistica ed edilizia in violazione delle prescrizioni del P.R.G. che prevedevano la destinazione agricola dell’area.

Il disegno lottizzatorio emerge chiaramente, ove si considerino unitariamente, nel loro sviluppo cronologico, le circostanze fattuali poste a base dell’iter logico seguito dall’organo emanante, come esplicitate nell’atto in discussione e confermate dagli atti depositati in giudizio.

E tutte le indicate circostanze, unitariamente intese, sono tali da evidenziare congruamente il disegno lottizzatorio abusivo non solo nella sua forma negoziale ma anche in quella materiale.

Sussistono, infatti, univoci indici rivelatori da cui emerge l’illecito scopo edificatorio, risultando accertato per tabulas che all’atto di suddivisione dell’area in lotti di dimensione inferiore al minimo prescritto dal P.R.G. è seguita la stipula di atti di trasferimento della loro proprietà a terzi e, successivamente, anche la costruzione in breve tempo di numerose opere abusive.

Infondate risultano in conseguenza le censure con le quali la ricorrente ha lamentato l’erronea applicazione nella fattispecie delle disposizioni contenute nell’art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001.

Deve peraltro aggiungersi, in relazione alla lamentata incongruenza per la spedizione di un ordine di sospensione a distanza di anni dagli atti di frazionamento e quando i lavori (almeno sul fondo di proprietà attorea) erano in realtà già ultimati da tempo, che la fattispecie di lottizzazione abusiva riflette un illecito a carattere permanente di talchè la misura sanzionatoria prevista dalla disciplina di settore – oltre che dovuta – deve ritenersi, per definizione, sempre attuale.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, il provvedimento ex art. 30 del d.p.r. 380/2001 non esaurisce, infatti, la sua valenza su un piano esclusivamente cautelare (con effetti meramente conservativi in funzione strumentale rispetto ad ulteriori, successive determinazioni) ma – nell’economia complessiva della disciplina di settore – riflette la chiara attitudine a porsi (salvo revoche) anche come provvedimento idoneo a regolare, in via definitiva, l’assetto di interessi e, dunque, i rapporti tra le parti.

D’altro canto, la prospettiva d’indagine privilegiata dalla ricorrente, circa i limiti temporali di rilevanza (e di sanzionabilità) del fenomeno lottizzatorio, appare riduttivamente circoscritta alle trasformazioni intervenute sul proprio lotto e non è, viceversa, calibrata, in una necessaria visione di insieme, sulla dimensione complessiva del fenomeno che involge vaste aree, diversi destinatari e si sviluppa progressivamente nel corso del tempo.

Parimenti priva di pregio si rivela la doglianza con la quale la parte ricorrente lamenta un’ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380, avendo acquistato – a suo dire – in buona fede l’immobile in questione senza concorrere alla consumazione della fattispecie illecita della lottizzazione abusiva.

Nel costrutto giuridico attoreo assumerebbe, anzitutto, rilievo assorbente la circostanza della mancanza, al momento dell’acquisto, di un provvedimento di sospensione ex art. 30 del d.p.r. 380/2001 trascritto nei registri immobiliari.

In siffatta evenienza i terzi acquirenti maturerebbero un legittimo affidamento sull’assenza di ragioni ostative alla commerciabilità del bene.

Ed, invero, secondo la parte ricorrente, il provvedimento ex art. 30 del d.p.r. 380/2001, in ragione della sua natura tipicamente cautelare, potrebbe essere spedito solo immediatamente dopo l’intervenuto frazionamento delle aree.

Ciò si evincerebbe anche dalla stessa collocazione (al comma VII dell’art. 30 cit.) della disposizione in argomento, immediatamente dopo la previsione (di cui al comma VI dell’art. 30 cit.) secondo cui "I pubblici ufficiali che ricevono o autenticano atti aventi per oggetto il trasferimento, anche senza frazionamento catastale, di appezzamenti di terreno di superficie inferiore a diecimila metri quadrati devono trasmettere, entro trenta giorni dalla data di registrazione, copia dell’atto da loro ricevuto o autenticato al dirigente o responsabile del competente ufficio del comune ove è sito l’immobile"(tale comma è stato, però, abrogato dall’art. 1, D.P.R. 9 novembre 2005, n. 304).

La non predicabilità delle misure repressive previste dalla disciplina di settore dovrebbe, poi, essere vieppiù affermata nei casi – com’è quello di specie – in cui la contestazione di lottizzazione abusiva sopravvenga a distanza di molti anni dall’acquisto.

A sostegno delle conclusioni rassegnate la parte ricorrente richiama, infine, le valutazioni espresse dal Giudice ordinario nella sede cautelare penale dove (proprio in relazione a contestazioni di lottizzazione abusiva consumate nel Comune di Giugliano alla via Rannola) l’apprezzamento della buona fede dei terzi acquirenti ha condotto all’annullamento dei decreti di sequestro preventivo.

La censura, pur ben argomentata e di grande interesse, anche in relazione ai più recenti orientamenti della giurisprudenza penale (che hanno fatto seguito alla pronunce della CEDU del 30 agosto 2007 e del 20 gennaio 2009) in tema di confisca delle opere oggetto di lottizzazione, disposta ai sensi dell’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001, non può essere accolta.

Anzitutto, è appena il caso di precisare che le funzioni di vigilanza e di controllo si ricollegano a finalità generali di tutela del territorio nell’interesse della collettività (di qui la posizione del Comune come soggetto danneggiato) e da esse non è possibile evincere, con la pretesa automaticità, uno specifico obbligo di garanzia a carico dell’Autorità competente ed a diretto vantaggio del terzo acquirente.

Alcun affidamento, nei termini prospettati nel gravame, può, dunque, conseguire per effetto della (sola) mancanza, al momento della stipula dell’atto di compravendita, di un provvedimento di sospensione ex art. 30 del d.p.r. 380/2001 trascritto nei registri immobiliari.

Resta, dunque, onere del potenziale acquirente accertare, al momento dell’acquisto ed usando la normale diligenza (tanto più in un contesto territoriale come quello nel quale si è determinata la vicenda in esame), la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile oggetto dell’atto di alienazione.

D’altro canto, l’impostazione attorea non sembra adeguatamente considerare che non è la vendita del lotto frazionato, in sé, ad integrare gli estremi della fattispecie illecita, ma la sua oggettiva preordinazione a scopi edificatori.

Ne discende che la semplice comunicazione al Comune del singolo atto di compravendita (e ciò indipendentemente dall’intervenuta abrogazione del comma VI dell’art. 30 in cui impinge il costrutto giuridico di parte ricorrente) non potrebbe, comunque, di per sé, giustificare le iniziative repressive previste dalla disposizione sopra richiamata.

Ritiene, poi, questo TAR che, nella fattispecie, non possa darsi rilievo alla asserita buona fede della parte ricorrente e che, quindi, manchino i presupposti per una positiva valutazione dell’incidenza anche nel giudizio amministrativo dei principi di recente affermati in tema di confisca.

Anzitutto, non può essere obliterata la diversa prospettiva che governa, in questa sede, la valutazione delle condotte: non viene qui in rilievo l’applicazione di una sanzione penale, che impinge necessariamente in una pregresso comportamento antidoveroso del soggetto destinatario, bensì una misura amministrativa dettata in funzione riparatoria rispetto alla lesione di una delicata funzione pubblica cui si correla la cura puntuale di delicati interessi della collettività.

Com’è noto, la Corte europea (con sentenza 10 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia) ha ritenuto che, in caso di lottizzazione abusiva, la misura della confisca, applicata ad imputati assolti per mancanza dello elemento psicologico del reato, fosse in contrasto con l’art.7 della Convenzione (che proibisce ogni pena senza preventiva legge) e con l’art.1 del suo primo Protocollo (che tutela la proprietà privata) e si traducesse, pertanto, in una sanzione arbitraria.

Viceversa, la dimensione funzionale in cui si colloca il provvedimento previsto dall’art. 30 del d.p.r. 380/2001 non è quella tipicamente retributiva della sanzione penale: la misura ivi prevista assolve, infatti, ad una funzione prettamente ripristinatoria, e si pone a presidio dell’indefettibile esigenza di assicurare un ordinato sviluppo del territorio attraverso la salvaguardia del potere di pianificazione urbanistica dell’Ente a ciò preposto.

Nella suddetta prospettiva, una volta integratasi la fattispecie illecita, il potere sanzionatorio dell’Ente non può essere condizionato da successive vicende di trasferimento del bene, maturate per atti inter vivos o iure successionis, che potrebbero, altrimenti, comportare – ove invece ritenute idonee ad elidere la potestà sanzionatoria amministrativa – l’integrale vanificazione della tutela.

Ciò nondimeno, alle medesime conclusioni si perviene anche a voler privilegiare una diversa prospettiva d’indagine che, in aderenza ai più recenti arresti della giurisprudenza penale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ritenga necessario, per quanto concerne la posizione del terzo acquirente del bene, verificare se costui fosse in buona fede o fosse edotto della illegittima trasformazione del territorio oppure se versasse in una situazione di colpevole inconsapevolezza per non avere effettuato le necessarie e richieste verifiche.

Anche nella suddetta prospettiva si deve, infatti, rilevare che, se è vero che la parte ricorrente ha acquistato l’immobile oggetto del provvedimento in questione dopo diversi anni dall’avvio della lottizzazione nella sua fase cartolare, tuttavia aveva il dovere di accertare, usando la normale diligenza (anche in un contesto territoriale come quello nel quale si è determinata la vicenda in esame), la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile oggetto dell’atto di alienazione. E doveva quindi rilevare (come ha rilevato) che l’immobile era stato realizzato abusivamente (ancorchè oggetto di una domanda di condono edilizio) in un’area che il PRG del Comune aveva destinato a zona agricola.

E doveva anche rilevare che tutta l’area (che ella stessa definisce completamente urbanizzata) era stata in realtà urbanizzata abusivamente ed era quindi sorta in assenza di un disegno organico che consentisse un proporzionato sviluppo delle opere infrastrutturali.

Non avendo la parte ricorrente dato rilievo a tali elementi (oggettivamente rilevabili), la sua posizione davanti all’azione repressiva dell’amministrazione degli abusi edilizi non può ricevere tutela sulla base di una affermata buona fede.

Deve infatti ritenersi un dovere, per chi intende acquistare un immobile, accertare la regolarità urbanistica ed edilizia dello stesso (e in tale attività l’acquirente ha il diritto di chiedere aiuto ai soggetti che hanno maggiore competenza tecnica in materia e che lo assistono nell’acquisto, come i notai e le agenzie immobiliari che hanno a loro volta il dovere di portare a conoscenza degli interessati gli eventuali elementi ostativi alla conclusione dell’acquisto (o che ne sconsigliano la conclusione).

D’altro canto, nessuna elemento consente di affermare che un’indagine sia stata svolta dalla parte ricorrente che ha – viceversa – eluso gli indefettibili doveri di puntuale informazione e di preventiva conoscenza in ordine ai presupposti del proprio acquisto: né sul punto è possibile accreditare alcun affidamento in relazione al contenuto dell’atto di compravendita.

La stessa piana lettura del regolamento convenzionale di interessi evidenzia, infatti, come alcuna attestazione sulla praticabilità dell’operazione risulta direttamente riferibile al Notaio: nell’atto viene semplicemente rappresentata l’illegittimità dell’edificazione ed attestata (dalla stessa parte venditrice) la pendenza di una domanda di condono.

Dunque, alcuna particolare cautela è stata spesa per verificare la concreta compatibilità dell’opera e della sua destinazione residenziale con l’assetto urbanistico dell’area (agricola), pur immediatamente ricostruibile sulla base di un semplice certificato di destinazione urbanistica.

Se poi si ritiene, in simili frangenti, di poter procedere egualmente all’acquisto si rischia, come è accaduto nella fattispecie, di incorrere nelle sanzioni che l’ordinamento prevede per le attività abusive e di queste l’acquirente non può lamentarsi.

In definitiva, nel caso di specie, ritiene questa Sezione che, per le ragioni esposte, non possa darsi rilievo alla affermata buona fede della ricorrente e che non sussiste alcun difetto di motivazione circa l’interesse pubblico alla repressione dell’attività abusiva e circa la mancata comparazione con l’interesse privato sacrificato, in relazione al tempo decorso, atteso il carattere doveroso e vincolato della potestà esercitata, in presenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie della lottizzazione abusiva e trattandosi di una situazione in cui rileva, da punto di vista urbanistico, la sussistenza di un abuso che è oggettivo e ha natura permanente (in termini: T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 15 marzo 2010, n. 1452).

Resta fermo peraltro che la tutela dei terzi acquirenti di buona fede, estranei alla materiale consumazione dell’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante (e dei soggetti che, come il notaio rogante e l’agenzia di mediazione, hanno consentito l’alienazione).

Né, considerata l’evidenza della situazione accertata, può avere rilievo la censura (sollevata con il primo motivo di ricorso) con cui si lamenta la violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990 per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Non ignora il Collegio che parte della giurisprudenza amministrativa, citata anche dal ricorrente, ha ritenuto necessaria la comunicazione di avvio del procedimento in una lottizzazione avendo evidenziato che il procedimento di verifica degli elementi che caratterizzano la lottizzazione abusiva richiede un accertamento complesso di circostanze di fatto, non contraddistinte da significati unidirezionali, basato su molteplici elementi, al quale i soggetti interessati possono, con le loro osservazioni critiche e deduzioni in punto di fatto, utilmente cooperare, facendo eventualmente anche rilevare circostanze ed elementi tali da indurre la p.a. stessa ad orientarsi diversamente (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 23 febbraio 2000, n. 948; 29 gennaio 2004, n. 296; 11 maggio 2004, n. 2953; T.A.R. Campania Napoli, Sezione IV, 10 novembre 2006, n. 9458).

Il suesposto indirizzo può tuttavia trovare applicazione, anche alla luce delle novità normative introdotte con la legge 11 febbraio 2005 n.15, solo laddove tale fase procedimentale può essere di qualche utilità (per i soggetti interessati e per l’amministrazione) non avendo invece ragion d’essere una specifica attività procedimentale quando le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio, a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell’amministrazione.

E’ noto che l’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 14 della l. n.15 del 2005, ha espressamente sancito che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" e che "il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".

Di recente anche il Consiglio di Stato (Sez. IV n. 2004 del 31 marzo 2009) ha affermato che, in tema di lottizzazione abusiva, l’individuazione della relativa fattispecie presuppone di regola, stante la complessità e la obiettiva difficoltà di tali indagini, la partecipazione dei soggetti interessati al relativo procedimento, al fine di consentire ai medesimi la proposizione delle opportune osservazioni e deduzioni, ad eccezione del caso in cui sussista la certezza assoluta della finalità edificatoria della lottizzazione in cui sarebbe, quindi, del tutto superfluo ed irrilevante l’apporto conoscitivo e documentale della parte privata.

Orbene, nella fattispecie in esame, le circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione amministrativa, come sopra descritte, sono chiare e non risultano in sostanza contestate dalla parte ricorrente (che ha ammesso che l’area è interamente urbanizzata ed è pacifico che tale urbanizzazione è stata realizzata in contrasto con la destinazione urbanistica agricola dell’area) né lo stesso ricorrente ha potuto dimostrare la concreta utilità di una sua partecipazione al procedimento, sicché la misura repressiva adottata assumeva carattere dovuto e contenuto vincolato in relazione ai presupposti accertati.

Si deve pertanto ritenere che, nella vicenda in esame, una specifica comunicazione dell’avvio del procedimento era oggettivamente superflua poiché il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (in termini, in giudizi aventi oggetto fattispecie analoghe, le già citate sentenze di questa Sezione dal n. 1613 al n. 1617 e dal n. 1619 al n. 1621 del 25 marzo 2010). E ciò anche rispetto alla dedotta pendenza di una domanda di condono sulla cui irrilevanza ci si soffermerà in seguito.

Priva di pregio è, infatti, anche la censura che attribuisce alla circostanza dell’avvenuta presentazione di una domanda di condono edilizio (per l’immobile realizzato abusivamente) una valenza preclusiva rispetto all’esercizio del potere di repressione dei registrati abusi (la domanda, peraltro, è stata respinta con il provvedimento di diniego n. 3809 del 26.1.2009, gravato con motivi aggiunti che saranno scrutinati in prosieguo).

In disparte le implicazioni di ordine processuale connesse alla intervenuta reiezione della domanda di condono, la censura è, comunque, infondata.

In primo luogo perché non è con la presentazione della domanda di condono edilizio (come pure talvolta erroneamente si ritiene) che si determina la regolarizzazione di un abuso edilizio ma la regolarizzazione può aversi solo con il provvedimento (anche tacito, quando ne sussistono i presupposti) con il quale viene accolta la domanda proposta.

In secondo luogo perché nella fattispecie comunque la domanda di condono riguarda solo l’abuso realizzato sul suolo della ricorrente mentre il provvedimento sanzionatorio adottato dal Comune ha riguardato una intera lottizzazione abusiva realizzata su numerosi lotti.

Sul punto il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza, anche in sede penale, in ordine all’esclusione della lottizzazione abusiva – sia essa materiale, negoziale o mista – dall’ambito di applicazione della disciplina del condono (cfr. T.A.R. Campania, II Sezione, 22 ottobre 2005 n.20535; IV Sezione, 10 novembre 2006 n.9458; T.A.R. Sicilia, Catania, I Sezione, 29 giugno 2004 n.1750: T.A.R. Sicilia, Palermo, I Sezione, 8 luglio 2002 n.1926; Consiglio di Stato, V Sezione, 15 luglio 1998 n.1041; Corte di Cassazione, III Sezione penale, 21 gennaio 2010 n.9446; 21 novembre 2007 n.9982; 5 giugno 2003 n.24319, 20 dicembre 2002 n.8557 e 20 marzo 1998 n.5352). Ed invero, va ribadito anche in questa sede che tutti i provvedimenti in materia di sanatoria edilizia operano nell’ambito di uno schema procedimentale che prevede interventi, adempimenti e termini specificamente modellati sulla fattispecie della costruzione priva di titolo abilitativo, che non può essere trasposta sic et simpliciter alla diversa fattispecie delle costruzioni e delle altre opere realizzate in comprensori abusivamente frazionati, attesa la particolare rilevanza del vulnus arrecato al corretto assetto urbanistico del territorio. Ed infatti, gli interessi alla cui tutela i relativi procedimenti sono destinati – quello relativo alla contestata lottizzazione ed i procedimenti pendenti in presenza di domande di sanatoria – sono del tutto distinti, poiché il procedimento di lottizzazione è riferibile alla tutela e conservazione delle destinazioni pubblicisticamente impresse dagli strumenti urbanistici ad un determinato terreno, che non tollerano di essere vanificate per illecite finalità di edificazione, mentre gli altri sono destinati a far conseguire la sanatoria a singole opere necessitanti di idoneo titolo abilitativo per la loro realizzazione.

In tale ottica, si è costantemente ritenuto che i manufatti abusivamente eseguiti nell’ambito dell’attività lottizzatoria possono essere recuperati alla legalità solo in presenza delle condizioni che legittimano l’approvazione di un piano di lottizzazione, attraverso il meccanismo previsto dagli artt.29 e 35, comma 13, della L. n.47 del 1985, quindi, previa adozione di una variante allo strumento urbanistico generale.

Né – peraltro – sussisteva in capo al Comune di Giugliano in Campania un obbligo di procedere in tal senso come più volte chiarito in giurisprudenza (cfr., per tutte, T.A.R. Campania, Sezione II, 2 marzo 2010 n.1257; Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2001 n.4078 e 3 ottobre 2001 n.5207).

In definitiva, alla stregua delle osservazioni svolte, la censura non può trovare accoglimento.

Nemmeno può essere condivisa l’osservazione censorea con cui parte ricorrente lamenta l’impropria commistione degli schemi legali della sospensione di attività di lottizzazione (art. 30 del d.p.r. 380/2001) e di demolizione di opere abusivamente realizzate (art.31 del d.p.r. 380/2001).

Sul punto, è sufficiente notare come questa stessa Sezione – nei precedenti richiamati in premessa – ha già riconosciuto come opzione valida la spedizione di un atto a contenuto plurimo che contenga il contenuto minimo essenziale di entrambe le statuizioni; nella circostanza il Tribunale ha espressamente affermato che "l’ingiunzione a demolire non può essere esclusa dalla pendenza del procedimento volto a reprimere una fattispecie lottizzatoria abusiva, rappresentando al contrario un quid pluris necessario nell’ipotesi di lottizzazione materiale con stadio avanzato di realizzazione di immobili abusivi" (così ad esempio T.A.R. Campania, sez. II, del 25.3.2010, nn. da 1613 a 1620; id., 3l.5.2010, nn, 10983 e 10984).

Sotto diverso profilo, va poi aggiunto che non vi è incompatibilità tra le suindicate misure repressive, atteso che la riduzione in pristino dello stato dei luoghi costituisce un effetto tipico (unitamente all’acquisizione dell’area) anche della previsione repressiva della lottizzazione materiale, com’è fatto palese dalla piana lettura dell’art. 30 cit.

Con motivi aggiunti la ricorrente ha, poi, impugnato il provvedimento n. 3809 del 26.1.2009 con il quale il Dirigente del Settore Assetto del Territorio del Comune di Giugliano in Campania ha respinto la domanda di condono.

Il Comune ha respinto la domanda considerato che nell’area dove insiste l’immobile è stata accertata una lottizzazione abusiva.

Anzitutto, sono state esposte nell’avversato provvedimento reiettivo le ragioni ostative idonee a resistere alle deduzioni attoree, sicchè alcun vulnus vi è stato alle garanzie di partecipazione al procedimento occorrendo, piuttosto, verificare, nel merito, la coerenza di tali argomentazioni con la disciplina di settore.

Tanto premesso, ritiene il Collegio che le censure di parte ricorrente siano infondate.

La peculiarità della fattispecie in argomento rende evidentemente non predicabile l’istituto del silenzio assenso, dal momento che i manufatti abusivamente eseguiti nell’ambito dell’attività lottizzatoria possono essere recuperati alla legalità solo in presenza delle condizioni che legittimano l’approvazione di un piano di lottizzazione, attraverso il meccanismo previsto dagli artt.29 e 35, comma 13, della L. n.47 del 1985, quindi, previa adozione di una variante allo strumento urbanistico generale.

Non sussisteva, inoltre, in capo al Comune di Giugliano in Campania un obbligo di procedere in tal senso come più volte chiarito in giurisprudenza (cfr., per tutte, T.A.R. Campania, Sezione II, 2 marzo 2010 n.1257; Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 luglio 2001 n.4078 e 3 ottobre 2001 n.5207).

Anche sul punto in questione la Sezione, di recente, e sempre in riferimento ad analoghe vicende relative al territorio del Comune di Giugliano, ha ribadito tale assunto con le argomentazioni di seguito riproposte (cfr. Tar Campania, Napoli sentenza n. 17263 del 27.8.2010).

Si è, invero, evidenziato che la ratio della norma non è quella di imporre alle regioni ed alle amministrazioni comunali, in sede di adozione ed approvazione delle varianti generali agli strumenti urbanistici, l’obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini di recupero bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall’ordinamento urbanistico, demandando alle regioni la disciplina di dettaglio, che in Campania non risulta adottata.

Neppure vale il terzo comma del citato art. 29, laddove sancisce, in via transitoria, che "Decorso il termine di novanta giorni, di cui al primo comma, e fino alla emanazione delle leggi regionali, gli insediamenti avvenuti in tutto o in parte abusivamente (…) possono formare oggetto di apposite varianti agli strumenti urbanistici al fine del loro recupero urbanistico, nel rispetto comunque dei principi di cui al primo comma e delle previsioni di cui alle lettere e), f) e g) del precedente secondo comma". In tal caso, infatti, come si evince dal chiaro tenore letterale della norma – che pure al quarto comma, nell’individuare i soggetti legittimati a proporre l’iniziativa, precisa che questi "possono" e non "devono" presentare le relative proposte – le amministrazioni interessate hanno una mera facoltà e non l’obbligo di contemplare all’interno delle varianti generali gli insediamenti abusivi.

Invero, la situazione in esame va tenuta nettamente distinta da quelle nelle quali, invece, la giurisprudenza configura come doverosa l’attività di pianificazione urbanistica. In particolare, nel caso di cd. zone bianche – divenute tali, ad esempio, per la decadenza di vincoli espropriativi – si ritiene sussistente in capo all’ente locale un vero e proprio obbligo di provvedere alla riclassificazione urbanistica delle aree ormai prive di disciplina, per cui avverso il silenziorifiuto del comune è esperibile il rimedio giurisdizionale previsto dall’art.21 bis della legge n.1034 del 1971, come successivamente modificata ed integrata (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sezione I, 8 luglio 2008 n.1312; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione I, 1 luglio 2008 n.2040). A tale fattispecie non è, invece, assimilabile l’odierna vertenza, atteso che nel caso in esame la porzione di territorio interessata è tuttora fornita di disciplina urbanistica, essendo classificata come "zona E/1 agricola normale" del vigente piano regolatore, con le limitazioni all’attività costruttiva ivi stabilite.

Né può ipotizzarsi che l’obbligo di provvedere ad una variante discenda dalla L.R. Campania n.16 del 2004. Vero è che l’art.23, comma 3, della citata legge regionale stabilisce che:" Il Puc individua la perimetrazione degli insediamenti abusivi esistenti al 31 dicembre 1993 e oggetto di sanatoria ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, e ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, al fine di: a) realizzare un’adeguata urbanizzazione primaria e secondaria; b) rispettare gli interessi di carattere storico, artistico, archeologico, paesaggisticoambientale ed idrogeologico; c) realizzare un razionale inserimento territoriale ed urbano degli insediamenti". Tuttavia, l’art.44 della medesima legge regionale, al fine di garantire il rispetto dei diversi livelli in cui si attua la pianificazione urbanistica – e fatti salvi i poteri sostitutivi in caso di inadempienza, secondo le modalità di cui all’art.39 – stabilisce, ai primi due commi, quanto segue: "1. Le province adottano il Ptcp entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del Ptr.

I comuni adottano, entro due anni dall’entrata in vigore del Ptcp, il Puc e il Ruec".

E’ noto che in Campania il Piano territoriale regionale (Ptr) è stato approvato con legge regionale n.13 del 10 novembre 2008 e che la formazione del Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) è ancora in itinere, per cui al momento non è neppure iniziato a decorrere il termine biennale per l’adozione del Puc da parte dei comuni.

Inoltre, a fronte, da un lato, dell’ampia discrezionalità che caratterizza le scelte pianificatorie, dall’altro, del carattere vincolato della potestà sanzionatoria dell’illecita trasformazione della porzione di territorio comunale in questione, di cui si è già detto, non può fondatamente considerarsi di per sé come illogica la scelta di non regolarizzare la mera situazione di fatto, come determinatasi a seguito di una disordinata e intensa attività di trasformazione del territorio, realizzata in spregio alle previsioni urbanistiche e con il concorso dalla colpevole inerzia perpetuata nel corso degli anni dagli organi preposti alla vigilanza sull’attività edilizia ed alla repressione degli abusi. Né la connotazione agricola della zona può ritenersi definitivamente compromessa dalle pur numerose costruzioni presenti in zona, considerato che un ordinato ed armonico assetto del territorio non può prescindere dall’esigenza di contenere l’espansione dell’aggregato urbano, salvaguardando la conservazione dei residui spazi verdi ancora integri o recuperabili all’originaria destinazione agricola attraverso il ripristino dello stato dei luoghi.

Infine, va respinta la pretesa risarcitoria azionata in via subordinata dalla parte ricorrente, con la quale ha chiesto la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita della proprietà per effetto dell’omessa effettuazione della doverosa attività di vigilanza e controllo sul territorio e per l’omessa adozione dei provvedimenti ex art. 18 commi 6 e 7 del d.p.r. 380/2001 nel momento in cui sono stati trasmessi gli atti di vendita frazionata.

A tal riguardo, va anzitutto rilevata la genericità delle allegazioni attoree in ordine alla descrizione degli elementi costitutivi della ipotizzata fattispecie di illecito, non essendo state sufficientemente delineati i meccanismi di interazione dinamica tra i ritardi e/o le omissioni addebitate all’Amministrazione ed il danno sofferto dal privato: sul punto, è sufficiente notare che il ritardo nell’emanazione di un provvedimento autoritativo si ricollega direttamente ad un momento ben preciso dell’esercizio del potere, che è governato da regole procedimentali, tra cui anche quella relativa al termine finale di adozione del provvedimento.

Di contro, le deduzioni della ricorrente si limitano ad affermare l’esistenza di un nesso di derivazione causale tra il potere (non esercitato) ed i danni di cui si chiede ristoro, senza inquadrare tali rivendicazioni in un’approfondita disamina delle concrete modalità di interazione dei due eventi.

D’altro canto, nemmeno può essere sottaciuto che le funzioni di vigilanza e di controllo si ricollegano a finalità generali di tutela del territorio nell’interesse della collettività (di qui la posizione del Comune come soggetto danneggiato) e da esse non è possibile evincere, con la pretesa automaticità, uno specifico obbligo di garanzia a carico dell’Autorità competente ed a diretto vantaggio del terzo acquirente.

Il danno lamentato trova, invero, la sua diretta fonte genetica nell’operazione negoziale di compravendita e solo, mediatamente ed occasionalmente, nella presunta inerzia dell’Amministrazione comunale, che, dunque, non si pone in rapporto di causalità diretta ed immediata con la perdita della proprietà.

E ciò, perché, i poteri di vigilanza – a cagione della dimensione pubblicistica che li connota – non esplicano una diretta valenza certificativa e di garanzia in ordine alla commerciabilità del bene, dovendo ritenersi pur sempre predicabile il dovere del potenziale acquirente di accertare, usando la normale diligenza (anche in un contesto territoriale come quello nel quale si è determinata la vicenda in esame), la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile oggetto dell’atto di alienazione.

E ciò viepiù nel caso di specie, atteso che le risultanze istruttorie non hanno consentito di convalidare il costrutto giuridico attoreo nella parte in cui accredita la totale estraneità della ricorrente rispetto alla fattispecie in contestazione e, pertanto, la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante leso da un illecito imputabile esclusivamente all’azione combinata, commissiva ed omissiva, dolosa e colposa di terzi, tra cui la stessa Autorità procedente.

Non può, invero, essere obliterato il coerente inserimento della condotta della ricorrente nella concatenazione di eventi (giuridici e materiali) che hanno contribuito, nel complessivo processo eziologico, alla realizzazione ovvero, quanto meno, alla stabilizzazione degli effetti di un’illecita trasformazione dell’area rispetto alla sua tipica destinazione urbanistica.

Anche in ragione di quanto detto, l’interesse sotteso alla predetta azione, volto sostanzialmente a conservare ovvero a monetizzare il prodotto di un’azione illecita deve evidentemente ritenersi privo di qualsivoglia tutela nell’ambito dell’ordinamento generale.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.

Nulla è dovuto per le spese di giudizio in ragione del fatto che il Comune di Giugliano non si è costituito in giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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