Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-01-2011) 28-01-2011, n. 3157 Esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Venezia – decidendo sull’esito dell’affidamento in prova cui M. L.F. era stato sottoposto dal 22.6.2007 al 21.10.2008 in espiazione della pena per una condanna per bancarotta fraudolenta e calunnia – dichiarava non interamente estinta la pena e ancora da scontare, in quanto da ritenere non validamente espiati, due mesi di reclusione.

A ragione osservava che il M., nonostante fosse coniugato con persona titolare di beni di grande valore, non aveva in alcun modo adempiuto alla obbligazione fondamentale di risarcire i danni prodotti dal reato (la sua attività risarcitoria non essendo andata oltre alcune donazioni di modesto valore all’istituto San Vincenzo e il condannato per sfuggire ai suoi doveri aveva sempre cercato di dimostrare che se il curatore avesse liquidato in maniera più appropriata i beni confluiti nella massa, tutti i creditori sarebbero stati soddisfatti), cosa che, unitamente alle violazioni alle prescrizioni commesse durante la misura (due volte non aveva aperto la porta ai Carabinieri, una volta aveva prolungato di due giorni la permanenza presso la fattoria della moglie adducendo motivi di salute) che pure non ne avevano determinato la sospensione, comportava una valutazione negativa dell’esito della prova.

2. Ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore avvocato Michele Pedoja, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato denunziando:

2.1. – manifesta illogicità e contraddittorietà anche esterna della motivazione per travisamento dei fatti in ordine alle condizioni patrimoniali del condannato; nessun elemento suffragava l’affermazione del Tribunale che la moglie del ricorrente fosse titolare di beni di grande valore, la signora R. non aveva alcuna proprietà immobiliare, era stata amministratrice di una società che possedeva un immobile di valore ma lo stesso era stato oggetto di esecuzione immobiliare e risultava acquistato da altra società appartenente a soggetti differenti; i terreni boschivi della società Securpark fallita (e dal cui fallimento era scaturita la condanna per bancarotta) erano stati inoltre venduti al prezzo, di L. 42 milioni, affatto incongruo e inferiore a quello stimato secondo la perizia prodotta, sicchè se solo il curatore li avesse venduti al valore effettivo non vi sarebbero stati creditori insoddisfatti; con il fallimento, inoltre, i coniugi M. erano stati privati sia del patrimonio sia della capacità di produrre redditi e le dichiarazioni prodotte dimostravano che il ricorrente non aveva percepito alcun reddito; il Magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto per altro porre il condannato nella condizione di comprendere quali obblighi risarcitori era tenuto ad adempiere tenuto conto delle sue possibilità economiche;

2.2. – carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in relazione alle asserite violazioni delle prescrizioni imposte; il magistrato di sorveglianza aveva manifestato soltanto dei "dubbi" in ordine alla osservanza delle prescrizioni e all’espletamento di attività riparatoria, nonostante la documentazione prodotta dalla difesa dimostrasse il contrario, il Tribunale aveva immotivatamente tramutato i dubbi in certezze; omettendo inoltre la doverosa valutazione globale dell’intero periodo di prova per valutare il risultato di recupero sociale.
Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.

1.1. La deduzione – centrale nell’economia del ricorso – che, se il curatore avesse realizzato altri importi dalla vendita dei beni della società non vi sarebbero stati creditori da soddisfare, appare inammissibile. Posto che il condannato aveva l’obbligo di risarcire il danno e che tale obbligo risultava sia dalla sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta (se ne da atto anche nella sentenza di questa Corte n. 38137 del 2006) sia dalle prescrizioni imposte allo stesso in sede di affidamento al servizio sociale, la deduzione è improponibile in questa sede perchè pretende di contrastare da un lato il giudicato di condanna, dall’altro i contenuti del provvedimento d’ammissione all’affidamento in prova in relazione ad aspetti che si sarebbero dovuti, semmai, far valere in sede d’impugnazione avverso quel provvedimento.

1.2. Le osservazioni in merito alla formale situazione di impossidenza della moglie del ricorrente e alla assenza di suoi redditi, afferiscono al merito, ma, soprattutto, non colgono l’unico aspetto rilevante ai fini della adeguatezza della valutazione negativa del periodo di prova, che consiste nel rilievo che il condannato, oltre a non avere effettuato alcun risarcimento, non risulta avere documentato alcuno sforzo in tal senso, non risulta avere compiuto alcuna attività che dimostrasse una sua volontà di adempiere almeno in parte e nei limiti delle sue concrete possibilità agli obblighi scaturenti dalla condanna, non ha posto in essere alcuna attività riparatoria sostitutiva e lato senso risarcitoria, durante il periodo di affidamento.

1.3. Infine l’affermazione secondo cui la condanna per bancarotta avrebbe completamente privato il condannato della "capacità" di produrre qualsivoglia reddito è tanto generica quanto intrinsecamente inverosimile, non risultando che l’imputato soffra di menomazioni che gli impediscano di lavorare.

1.4. Manifestamente infondata è da ultimo la censura che cade sulla valutazione globale del periodo di prova: non solo tale valutazione è stata in concreto compiuta, ma ha prodotto il risultato di ritenere non espiati soltanto due mesi di reclusione a fronte di un periodo di ben 16 mesi.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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