T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 25-01-2011, n. 415 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, S.C. impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe e, in virtù di numerose censure sinteticamente esposte nella motivazione in diritto, ne chiedeva l’annullamento, nonchè, in via incidentale, la sospensione dell’efficacia.

1.2. Si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze che chiedeva il rigetto del ricorso.

1.3. Con ordinanza del 28.07.2010, il Tribunale respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia.

1.4. In data 24.11.2010, il ricorrente depositava memoria in cui, pur a seguito delle articolate osservazioni di cui alla citata ordinanza di reiezione della richiesta sospensiva, ribadiva in sostanza le argomentazioni svolte nell’originario ricorso.

1.5. All’esito dell’udienza di trattazione del 15.12.2010, il Collegio tratteneva la causa in decisione.
Motivi della decisione

2.1. Con la determinazione impugnata del 27.03.2010, il Comandante interregionale della Guardia di Finanza per l’Italia Meridionale comminava al ricorrente, già sospeso dall’impiego con determinazione del 31.05.2008, la grave sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione.

2.2. A tanto si giungeva a seguito della condanna riportata dal ricorrente alla reclusione di anni uno per il reato di cui all’art. 3 della legge n. 1383/1941 (collusione con estranei per frodare la finanza; cfr. le Sentenze del Tribunale militare di Napoli, depositata il 29/04/2008, della Corte di Appello militare di Roma, divenuta irrevocabile il 09.07.2009, a seguito della Sentenza di reiezione del ricorso emessa in pari data dalla Corte di Cassazione riportate agli allegati 8, 10 e 11 prod. P.A.) e della valutazione complessiva del comportamento del ricorrente anche con riferimento all’attività svolta nell’ambito di una diversa verifica a carico della R. s.r.l..

2.3. In particolare, il ricorrente pativa la descritta condanna poiché, nel corso dell’attività di verifica nei confronti della A. s.r.l. poneva in essere diversi comportamenti omissivi e irregolari: faceva risultare acquisite fatture che in realtà non lo erano; ometteva di segnalare che alcune fatture non erano annotate nella copia del registro IVA delle vendite; ometteva di segnalare delle rilevanti irregolarità quanto al registro dei beni ammortizzabili; non rilevava il mancato deposito dei registri contabili presso l’Agenzia delle Entrate di Eboli accettando senza osservazioni la relativa (falsa) dichiarazione del rappresentante della società sottoposta a verifica; predisponeva e sottoscriveva il modello statistico di chiusura dell’attività di verifica con la dicitura "REGOLARE’ nonostante che l’attività di verifica fosse stata sospesa; intratteneva rapporti con il rappresentante legale della società verificata, M.M., anche successivamente al controllo svolto, persino consigliando di dire "a coso di preparare sempre le carte nel caso in cui qualcuno prenda in mano la situazione" e di "prender tempo… perché… più tempo prendiamo e meglio andiamo" (conversazione intercettata svoltasi in data 06.03.2006, cfr. Sentenza di Appello della Corte di Appello militare di Roma). La Sentenza di primo grado richiamata nel provvedimento rileva altresì l’anomalia del comportamento del ricorrente che ha effettuato le verifiche apparentemente in solitudine nonostante sia "previsto che per acquisire la documentazione in una società è necessaria la presenza di una pattuglia di almeno due militari". La lettura della Sentenza di Appello, pure richiamata dal provvedimento, parimenti, evidenzia che il ricorrente non ha acquisito alcuni documenti relativi all’anno 2005, anno pure sottoposto a verifica, e che, appunto, ha intrattenuto numerosi e regolari contatti con il M..

2.4. Il provvedimento impugnato, peraltro, mostra di considerare negativamente anche altre condotte che, pur contestate come reato in sede di rinvio a giudizio, non sono state come tali apprezzate dal Giudice che, quindi, lo ha assolto ma non senza stigmatizzare duramente la scorrettezza dei comportamenti in questione sul piano deontologico. Infatti, nei documentati contatti con GUARRACINO Romualdo, rappresentante legale di altra società sottoposta a verifica, la R. s.r.l., il mar. S. svolgeva "certamente… attività di consulenza utile a frodare la finanza" ponendo in essere un comportamento che, come rilevato nel medesimo provvedimento impugnato, è giudicato "riprovevole" dalla stessa A.G. che ha ritenuto insussistente il reato (cfr. Sentenza del Tribunale militare di Napoli del 29.04.2008).

3.1. La prima delle quattro censure svolte avverso il provvedimento impugnato riguarda la violazione degli artt. 6574 della L. 31.07.1954 n. 599 e degli artt. 1 e 6 della L. 260/1957.

3.2. Si lamenta, in particolare, l’incompetenza territoriale del Comando interregionale dell’Italia meridionale a irrogare la sanzione. L’art. 65 della L. 599/1954, applicabile ai sottufficiali della Guardia di Finanza ai sensi dell’art. 1 della L. 260/1957 stabilisce che "l’inchiesta formale è disposta dal comandante di corpo d’armata o dal comandante di squadra navale o dal comandante di unità corrispondente dell’Aeronautica o dal comandante militare (…) da cui il sottufficiale dipende per ragioni di impiego".

3.3. Ebbene, il ricorrente rileva che, sin dal marzo 2007, prestava servizio presso il Reparto logistico amministrativo della Lombardia di stanza a Milano e che, di conseguenza, nessuna competenza in materia poteva riconoscersi al Comandante Regionale della G.d.F. della Campania, che ha iniziato il procedimento disciplinare, e al Comandante Interregionale per l’Italia Meridionale che lo ha concluso.

3.4. L’argomento non ha pregio.

3.5. La consapevole scelta dell’Amministrazione nel senso di trasferire la competenza dal Comando Regionale Lombardia al Comando della Campania individuato "per ragioni di residenza", è, infatti, corretta (cfr. nota 0015718/09 del 06/07/2009 del Comando Regionale Lombardia, all. n. 17 prod. P.A.).

3.6. La norma richiamata è palese nel radicare la competenza in capo al Comando da cui il militare dipende "per ragioni di impiego". Al momento dell’inizio del procedimento disciplinare avvenuto con l’atto di contestazione degli addebiti in data 30.09.2009, peraltro, il ricorrente era stato sospeso precauzionalmente dall’impiego ai sensi dell’art. 19 della medesima L. 599/1954 (decorrenza dal 31.05.2008, cfr. all. 7 prod. P.A.).

3.7. Ebbene, ritiene il collegio che qualora il rapporto di impiego sia sospeso debba operare il criterio residuale di cui al medesimo art. 65 secondo periodo secondo cui: "qualora manchi tale dipendenza, l’inchiesta formale è disposta dal comandante militare territoriale (…) nella cui giurisdizione il sottufficiale risiede".

3.8. In tal senso, depone un argomento di carattere testuale per la ricorrenza della medesima terminologia in entrambe le norme contemplate (l’art. 19 che regola la sospensione precauzionale e l’art. 65 che regola la competenza in ambito disciplinare). Il citato art. 19 della L. 599/1954 regola, appunto, la sospensione dall’"impiego" così come l’art. 65 regola la competenza in ragione dell’effettiva sussistenza o della mancanza della "dipendenza per ragioni di impiego". Non può, in proposito, non rilevarsi che la sospensione dall’impiego integri il presupposto dell’attuale "mancanza" della "dipendenza per ragioni di impiego" dal che consegue il radicamento della competenza in capo al Comando "di residenza".

3.9. Non meno persuasivamente, peraltro, bisogna osservare che la "ratio" dello spostamento di competenza dal Comando di impiego a quello di residenza (art. 65 secondo periodo cit.), nel caso in cui manchi il rapporto di dipendenza, è quella di favorire la difesa del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare, radicandolo nella sede più prossima a quella dove l’incolpato sia effettivamente domiciliato. Nel caso in cui, quindi, il dipendente sia sospeso dall’impiego, è conforme alla "ratio" della normativa esaminata, il radicamento della competenza in capo al Comando ove il dipendente risiede, in quanto è ragionevole supporre che il sottufficiale che non presti effettivamente servizio, perché sospeso, faccia ritorno e dimori nel proprio luogo di residenza.

4.1. La seconda censura è, invece, relativa all’incompetenza del Comandante interregionale ad adottare la sanzione a favore del Ministro o, in subordine, a favore del Comandante generale.

4.2. Anche questa censura va disattesa.

4.3. Deve, infatti, osservarsi che, a partire dalla cd. privatizzazione del pubblico impiego, operata originariamente con il D.lvo 29/1993, poi trasfuso nel vigente testo unico del pubblico impiego d.lgs. 165/2001, nella prospettiva della razionalizzazione della dirigenza pubblica, il legislatore ha introdotto il principio della netta separazione della sfera di competenza tra organi elettivi di governo e dirigenti burocratici con attribuzione ai primi dei poteri di indirizzo politico e di controllo e con affidamento ai secondi dell’attività amministrativa di concreta realizzazione degli obiettivi così individuati. Orbene, rientrando l’atto impugnato (sanzione disciplinare) nella funzione di gestione concreta della cosa pubblica, osserva il Collegio, è conforme a legge l’attribuzione del potere al dirigente generale in luogo del Ministro dovendosi ritenere implicitamente abrogata "in parte qua" la norma che radicava in capo al Ministro la competenza all’adozione di siffatto provvedimento (in tal senso, Consiglio di stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2844, T.A.R. Toscana Sez. I Sent. n. 2085 – 10 maggio 2006, T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 06 marzo 2003, n. 266).

4.4.1. Il ricorrente, inoltre, come si è accennato, censura in via subordinata, l’asserita incompetenza del Comandante interregionale a favore del Comandante generale per l’illegittimità della determinazione n. 98695 del 26/03/2005 con cui il Comandante generale ha delegato ai Comandanti interregionali l’adozione dei provvedimenti disciplinari di stato. Sul punto, deve, invece, osservarsi che il rapporto tra il Comando generale e quello interregionale corrisponde a quello tra dirigenti generali e dirigenti regolato dagli artt. 16 e 17 del T.U. del pubblico impiego ( d.lgs. 165/2001).

4.4.2. L’art. 2 del D.P.R. 2911999 n. 34 (regolamento recante norme per la determinazione della struttura ordinativa del Corpo della Guardia di finanza) stabilisce, in proposito, che "1. Il Corpo della Guardia di finanza è ordinato su: a) comando generale; b) comandi e organi di esecuzione del servizio; (…) 2. I comandi e gli organi di esecuzione del servizio sono a loro volta distinti in: a) comandi territoriali: con competenza interregionale, regionale e provinciale (…)"; è evidente che il Comando generale si atteggi a ufficio dirigenziale generale nei confronti dei comandi interregionali.

4.4.3. La descritta ricostruzione dimostra l’applicabilità degli artt. 16 e 17 del T.U. pubblico impiego alla Guardia di Finanza, per espressa precisazione operata dalla medesima legge (art. 16 co. 1) laddove rende applicabile la relativa disciplina a tutti gli uffici dirigenziali generali "comunque denominati". Le norme citate prevedono espressamente che i dirigenti generali "adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi (…) rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti" (art. 16 co. 1 lett. d) e, in maniera corrispondente, che i dirigenti "svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali" (art. 17 co. 1 lett. c). Non v’è dubbio, peraltro, che nell’ambito del particolare ordinamento della Guardia di Finanza, rientrante nel cd. pubblico impiego non privatizzato, i provvedimenti disciplinari abbiano natura di provvedimenti amministrativi, per cui, come si è visto, le norme appena riportate prevedono un generale potere di delega da parte degli uffici dirigenziali sovra ordinati nei confronti di quelli sotto ordinati.

4.4.4. Per l’applicabilità degli artt. 16 e 17 D.lgs. 165/2001, deve, quindi, ritenersi legittima la determinazione n. 98635/2005 con cui il Comandante generale della Guardia di Finanza ha delegato ai Comandanti interregionali la competenza all’adozione delle sanzioni disciplinari di stato e conseguentemente l’adozione della sanzione "de quo" da parte del Comandante Interregionale dell’Italia meridionale.

5.1. La terza censura riguarda la pretesa violazione del termine perentorio di conclusione del procedimento disciplinare fissato a norma dell’art. 5 co. 4 L. 97/2001 in 180 giorni dall’inizio dello stesso.

5.2. La censura in esame si fonda su un duplice errore di interpretazione.

5.3. In primo luogo, infatti, il ricorrente considera che l’inizio del procedimento disciplinare sia avvenuto "…in data antecedente al 28 settembre 2009, data in cui il Comandante Regionale della Campania ha ordinato un’inchiesta formale…", prospettazione che, invece, non può essere accolta in quanto l’inizio del procedimento disciplinare coincide con la contestazione degli addebiti "essendo questo il primo atto che viene portato a conoscenza del dipendente, il quale in tal modo viene messo in condizione di approntare le relative difese" (Consiglio Stato, sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2533). La contestazione degli addebiti, nel caso di specie, è avvenuta in data 30.09.2009 (cfr. all. 13 prod. P.A.) e il procedimento disciplinare, come rilevato dalla stesa difesa erariale, è stato concluso con il provvedimento impugnato del 27.03.2010, dopo 178 giorni e quindi entro i termini di legge.

5.4. Tale conclusione è ulteriormente contestata da parte ricorrente che sostiene che, anche ai sensi, dell’art. 21 bis della L. 241/1990, il momento di conclusione del procedimento dovrebbe essere quello in cui viene portato a conoscenza dell’interessato (il che è avvenuto in data 09.04.2010). Questa ricostruzione si basa su un ulteriore errore interpretativo in quanto, da un lato il termine di cui all’art. 21 bis L. cit. non è un termine di perfezionamento ma solo di efficacia, dall’altro nel caso in cui la legge non preveda espressamente che entro un dato termine l’atto debba essere anche notificato, trova applicazione la regola generale per cui il rispetto del termine va verificato con riferimento alla data di emanazione dell’atto (Consiglio Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392; Consiglio di stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2844; T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 29 novembre 2008, n. 918).

6.1. La quarta e ultima censura riguarda il merito del provvedimento. Afferma il ricorrente che l’Amministrazione: avrebbe disatteso l’art. 653 c.p.p. nella parte in cui statuisce che la Sentenza penale di assoluzione fa stato nell’ambito del giudizio disciplinare "quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso" laddove ha ritenuto passibili di sanzione disciplinare le condotte poste in essere in relazione alla verifica fiscale patita dalla R. s.r.l.; ha applicato la più grave delle sanzioni senza motivare adeguatamente in merito all’adozione della stessa, anche in considerazione della mancata operatività di automatismi in tal senso per essere stata la condanna inferiore a tre anni di reclusione; non ha considerato il brillante stato di servizio dello S. né che le condotte siano state frutto esclusivo di negligenza e non abbiano arrecato alcun vantaggio al ricorrente.

6.2. Preliminarmente va ribadito l’orientamento, condiviso a più riprese da questa Sezione, secondo cui la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente ai fini dell’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento, senza che il giudice amministrativo possa sostituirsi agli organi dell’Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui tali organi sono pervenuti (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 14.12.2004 n. 7964; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 06 novembre 2006, n. 3901; T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 06 settembre 2010, n. 17311).

6.3. Ciò premesso, la valutazione operata dall’amministrazione appare del tutto immune da vizi logici o nella constatazione dei fatti. Le gravi condotte addebitate al ricorrente, infatti, sono accuratamente descritte nella corposa motivazione del provvedimento (cfr. il precedente par. 2), così come sono adeguatamente espresse le valutazioni poste alla base del giudizio di disvalore che ha indotto l’adozione della rimozione ("i fatti addebitati al militare denotano gravissime carenze, sia sotto i profilo morale che caratteriale… anche in considerazione che l’ispettore, in servizio da ben 22 anni, avrebbe dovuto essere in grado: – di percepire il carattere antigiuridico della condotta posta in essere; – ben consapevole che la stessa avrebbe integrato un rilevante illecito penale e disciplinare"). Il provvedimento, peraltro, evidenzia correttamente come le condotte collusive poste in essere dallo S. integrino un palese venir meno ai "doveri di fedeltà, lealtà e rettitudine" che dovrebbero "contraddistinguere l’operato degli appartenenti al Corpo più di ogni altro soggetto" e che i medesimi comportamenti abbiano arrecato grave disdoro all’immagine e al prestigio del Corpo medesimo.

6.4. Del tutto ragionevole, infatti, appare l’adozione della grave sanzione applicata nella misura in cui gli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza, cui l’ordinamento conferisce rilevanti poteri in tema di controllo della legalità e di verifica della correttezza fiscale del comportamento dei contribuenti, sono, perciò, tenuti all’osservanza di peculiari doveri di lealtà, dovendo evitare collusioni, cointeressenze e, persino, ingiustificati contatti con i soggetti sottoposti a verifica.

6.5. Va disatteso, inoltre, l’argomento che riguarda la considerazione in sede disciplinare delle condotte poste in essere in relazione all’attività di verifica cui è stata sottoposta la R. s.r.l., per cui lo S. è stato assolto in sede penale. Il Giudice militare, infatti, ha assolto il ricorrente "perchè il fatto non costituisce reato" (non "perché il fatto non sussiste" o "per non avere commesso il fatto", cfr. art. 530 c.p.p.) e a tale conclusione è giunto per la mancanza in capo al ricorrente del ruolo di "controllore" della società R.. La medesima società, infatti, era sottoposta a verifica da parte di altri militari, mentre il ricorrente, pur non essendo impegnato direttamente nella verifica, si prodigava "certamente" nell’offrire alla R. s.r.l. "un’attività di consulenza utile a frodare la finanza" (cfr. la citata Sentenza del Tribunale militare di Napoli pag. 14). Il descritto comportamento, accertato in sede penale, è senz’altro suscettibile di esser valutato come ulteriore manifestazione del venir meno ai precisi doveri deontologici a cui i militari sono tenuti, senza che assuma efficacia preclusiva di tale valutazione la mancata configurazione del reato. Basti ricordare, in proposito, che il medesimo Giudice penale ha definito "sicuramente riprovevole" il descritto comportamento, implicitamente riconoscendone la rilevanza sul piano deontologico.

6.6. Infine, non giova alla prospettazione del ricorrente rammentare i propri positivi precedenti di carriera, in quanto, ove, come nella specie, si riscontri in capo al militare un illecito in violazione del giuramento, tali elementi scolorano a fronte dell’illecito medesimo. Né questi possono esser sussunti come esimenti o attenuanti del fatto commesso, in ragione dello stridente contrasto tra l’odiosità di questo ed i doveri d’ufficio del militare, che gli impongono di reprimere con particolare cura tali illeciti. Dal che l’irrilevanza dei precedenti di carriera, se non la necessità della P.A. di dover ripensarne i giudizi alla luce del comportamento tenuto in concreto dal ricorrente (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 06 settembre 2010, n. 17311, cit.).

7.1. Il ricorso è, quindi, infondato e deve essere respinto. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza come per legge.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento di spese, diritti e onorari a favore del Ministero della Finanze che liquida in Euro. 1.500,00..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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