Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 28-01-2011, n. 3141 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., con ordinanza del 25 giugno-12 luglio 2010, ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con provvedimento del 21 maggio 2010, nei confronti di S.M., sottoposta ad indagini per aver svolto, in qualità di partecipante all’associazione mafiosa denominata cosca Pesce, un ruolo di collegamento e trasferimento di comunicazioni ed ordini tra il fidanzato detenuto, P.F., classe (OMISSIS), detto "(OMISSIS)", figlio dello storico capo cosca, P.A., il quale aveva assunto nell’associazione una posizione di rilievo apicale, e gli altri associati, portando all’esterno del carcere le direttive ricevute dal detenuto sui destinatari e le modalità delle attività delittuose svolte dall’associazione.

I gravi indizi di colpevolezza a carico di S.M., sono integrati, secondo il Tribunale, dal contenuto di alcune conversazioni tra presenti, avvenute in carcere tra P. F., l’indagata ed altri congiunti, oggetto di intercettazioni ambientali nelle quali si fa riferimento a denaro da riscuotere anche tramite " Pe.", identificato in P.G., fratello di F., attribuito dagli interpreti ad attività estorsive ed usurarie del sodalizio, e alla circolazione di assegni, ritenuti provenienti da attività illecite, a cura dello stesso Pe. e di altre persone, tali M., S., Pi., R. e il "(OMISSIS)".

In particolare, sono riportate, a sostegno del quadro indiziario, le conversazioni in data 24 dicembre 2008, 3 febbraio 2009, 9 e 16 gennaio 2009, e il colloquio tra il detenuto e il fratello, P. G., in data 23 dicembre 2008, alla presenza della stessa S..

Quanto alle esigenze cautelari, non può ritenersi superata, secondo il Tribunale, la presunzione di pericolosità sociale derivante dalla provvisoria imputazione associativa di tipo mafioso, non risultando provata la rescissione del vincolo associativo da parte dell’indagata ed essendo la cosca tuttora operativa, a nulla rilevando il decorso del tempo attesa la natura permanente del reato, donde l’ulteriore presunzione di adeguatezza della sola misura coercitiva, applicata nella forma più blanda degli arresti domiciliari essendo la prevenuta madre di prole di età inferiore a tre anni, a fronteggiare le sussistenti esigenze di cautela sociale.

2.1 Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione la S., tramite il suo difensore, denunciando, col primo motivo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza, a suo carico, di gravi indizi di colpevolezza del delitto associativo di tipo mafioso.

La ricorrente sostiene che la struttura argomentativa dell’ordinanza del Tribunale del riesame è del tutto priva di congruenza rispetto all’obiettivo probatorio, sia pure con la minore valenza postulata dai gravi indizi di colpevolezza, cui mira.

Vi sarebbe, infatti, uno scarto logico insuperato e insuperabile tra il trascritto contenuto delle conversazioni, definito scarno, generico e aperto a varie interpretazioni, e le apodittiche conclusioni accusatorie da esso tratte, senza alcun dato specifico, non desumibile e non desunto dall’unico mezzo investigativo impiegato (le intercettazioni ambientali) in assenza di attività d’indagine diretta, circa la concreta attività delittuosa che il detenuto P.F. avrebbe diretto dal carcere tramite la S., in realtà non indagata per alcuno degli specifici fatti estorsivi oggetto di contestazione cautelare (capi 11, 13, 14 e 15 della rubrica dell’ordinanza genetica) e, neppure, per concorso in altri reati riferibili alla cosca, come i pur ipotizzati delitti di usura e riciclaggio.

In particolare, dal vago contenuto delle conversazioni non emergerebbero e sarebbero, perciò, rimasti del tutto estranei ad ogni pur doveroso impegno motivazionale, i tratti salienti delle pretese attività illecite commissionate tramite l’indagata, i destinatari di esse, le causali delle richieste e, in genere, della circolazione di denaro e altri valori, le modalità di riscossione delle somme indicate dai vari interlocutori nei dialoghi captati, il cui contenuto è aperto a qualsiasi ipotesi alternativa a quella sostenuta nella contestazione cautelare, non potendo escludersi, sulla base del solo tenore dei segmenti di colloqui intercettati, la lecita provenienza del denaro e degli assegni in essi menzionati, e, perfino, il loro carattere illecito ma ascrivibile a fatti del tutto avulsi dagli scopi dell’associazione.

2.2 Con il secondo motivo di gravame la ricorrente denuncia l’inosservanza della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento all’art. 416 bis c.p., per avere il giudice cautelare individuato l’elemento materiale dell’ipotizzato delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, a suo carico, prescindendo dalla necessaria ponderazione, in termini di effettività storica, del contributo fornito al sodalizio, inteso come concreto vantaggio o rafforzamento della cosca arrecato dalla partecipazione dell’indagata.

Violando la legge penale in materia, il giudice cautelare avrebbe omesso il predetto giudizio di "efficienza reale" dell’apporto della S. al sodalizio, secondo una valutazione da operare ex post ed in concreto (e non ex ante e in astratto), ponendosi così in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (citate sentenze Accardo, Rv. 207845, e Mannino, Rv. 231671).

La ricorrente ha chiesto, pertanto, l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
Motivi della decisione

3. Il primo motivo di ricorso è fondato.

L’ordinanza impugnata fonda il ritenuto grave quadro indiziario a carico della S. sul contenuto dei colloqui, in carcere, tra P.F., l’indagata ed altri congiunti del primo, senza tuttavia specificare il contenuto degli indizi indicativi di partecipazione della prevenuta al delitto associativo, con l’ipotizzata funzione di ambasciatrice del capo mafia all’esterno del carcere.

Osserva, in proposito, la Corte che, quando il contenuto delle intercettate conversazioni tra il ritenuto capo mafia e la sua compagna di vita non è chiaramente evocativo di attività illecite dirette dal primo con la mediazione della seconda, il giudice della cautela non può arrestarsi alle risultanze delle medesime captazioni, ma è tenuto ad indicare quali ulteriori elementi d’indagine consentano di disvelare, con ragionevole elevata probabilità, il senso nascosto di esse col rimando ad attività delittuose rispondenti alle finalità dell’associazione di tipo mafioso, da individuare almeno nelle loro fondamentali coordinate storiche.

Poichè, nel caso in esame, il quadro indiziario non è stato specificamente indicato, essendosi il decidente limitato alla mera trascrizione del contenuto delle conversazioni intercettate, isolatamente considerate, senza neppure rapportarle agli altri elementi probatori raccolti, per verificare se una lettura sistematica e coordinata delle fonti di prova possa sostenere l’interpretazione specificamente indiziaria a carico della S., indicata quale postina del detenuto fidanzato per le attività illecite della cosca mafiosa, sussiste il vizio di motivazione denunciato, non colmato dalla lunga illustrazione, che pure si legge nella parte generale del provvedimento impugnato, circa la permanente esistenza ed operatività della cosca Pesce nel territorio di (OMISSIS) e dintorni, e dal richiamo al rapporto di convivenza, all’epoca di applicazione della misura (oggi di coniugio), tra il P. e la stessa S., l’uno e l’altro non idonei a configurare indizi di reità a carico dell’attuale ricorrente, nè atti a fornire chiavi di lettura a sostegno dell’interpretazione dei colloqui conforme all’ipotesi accusatoria.

4. Il secondo motivo di ricorso non è, invece, fondato, poichè l’ipotizzato ruolo di collegamento e trasferimento di comunicazioni ed ordini tra il capo cosca detenuto, P.F., e gli altri associati, attribuito alla S., la quale avrebbe portato all’esterno del carcere le direttive ricevute dal P. sui destinatari e le modalità delle attività delittuose svolte dall’associazione, è certamente rilevante e idoneo ad arrecare un positivo contributo all’operatività del sodalizio criminale, in conformità degli orientamenti giurisprudenziali in materia, richiamati dal ricorrente.

5. Segue l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo puntuale esame del quadro indiziario, secondo le indicazioni che precedono.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *