T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 25-01-2011, n. 726 Beni di interesse storico, artistico e ambientale ricerca e ritrovamenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di perquisizione domiciliare eseguita in data 30 maggio 1985 presso l’abitazione del dante causa del ricorrente, Sig. N.C., sono stati rinvenuti nel giardino della sua villa reperti archeologici di epoca romana (e più precisamente di epoca imperiale databile tra la fine del I° sec. a.C. ed il II sec. d.C.).

Il Sig. N.C. è stato quindi rinviato a giudizio essendo imputato del reato di cui agli artt. 648 e 61 n. 7 c.p.

Con sentenza del Tribunale di Roma del 12/10/87, il reato è stato derubricato nella contravvenzione di cui agli artt. 48 e 68 della L. 1089/39, e ciò ha comportato la declaratoria di non doversi procedere nei suoi confronti per amnistia. Il Tribunale ha però disposto la confisca dei reperti archeologici e la loro devoluzione alla Soprintendenza Archeologica di Roma.

Detta sentenza è stata confermata in appello ed in Cassazione.

Con istanza del 3/2/94, il C. ha chiesto alla Soprintendenza Archeologica di Roma l’assegnazione in custodia dei reperti rinvenuti nella sua villa e sottoposti a confisca per effetto della sentenza del giudice penale; ha poi chiesto l’attribuzione del premio di rinvenimento mediante l’assegnazione di una parte di essi.

La sua richiesta è stata respinta con il provvedimento impugnato, avverso il quale il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:

1. Eccesso di potere per carenza di motivazione, nonché per omessa valutazione e lesione di interessi privati e pubblici in ordine al punto in cui è stata rigettata la richiesta di assegnazione in custodia dei reperti in oggetto.

2. Eccesso di potere per travisamento dei fatti in ordine al punto in cui è stata rigettata la richiesta di attribuzione del premio di rinvenimento. Violazione di legge (in particolare artt. 49 e 47 della L. 1089/39) in ordine allo stesso punto.

Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.

Nelle more del giudizio il ricorrente N.C. è deceduto ed il figlio Vincenzo, in qualità di erede, si è costituito in giudizio con atto depositato il 2 aprile 2010, ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

In prossimità dell’udienza di discussione ha depositato una memoria nella quale ha meglio illustrato le sue tesi difensive.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2010 la causa è stata introitata per la decisione.
Motivi della decisione

Con ricorso ritualmente notificato il ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe con il quale la Soprintendenza Archeologica di Roma ha respinto la sua richiesta diretta ad ottenere:

1. l’assegnazione in custodia dei reperti archeologici di origine romana imperiale rinvenuti nel giardino della sua villa e confiscati con sentenza del giudice penale;

2. l’attribuzione di una quota parte di essi come premio di rinvenimento.

La sua domanda è stata respinta in quanto l’Amministrazione ha rilevato che "non è uso di questo Ufficio concedere depositi temporanei di reperti archeologici di proprietà dello Stato a privati cittadini perché siano detenuti in abitazioni private"; inoltre la Soprintendenza ha rilevato che "non si ritiene che possa aver diritto al premio di rinvenimento chi abbia trattenuto reperti antichi di provenienza illegale quale è nel caso in oggetto; come riconosciuto nelle sentenze dell’Autorità Giudiziaria sopra citate, è stato da Lei ammesso che oggetti provengono da scavi non autorizzati".

Con il primo motivo di ricorso censura il ricorrente il diniego di assegnazione in custodia dei beni archeologici deducendo il vizio di difetto di motivazione; rileva il ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe spiegato le ragioni per le quali avrebbe preferito far finire i reperti in qualche magazzino anziché assegnarglieli in custodia in modo che fosse garantita la loro conservazione e visione a terzi.

La censura è destituita di fondamento, in quanto dalla lettura dell’atto si evince chiaramente la sua ratio: l’Amministrazione ha chiarito che i beni archeologici – di proprietà dello Stato – non vengono attribuiti a privati perché vengano esposti nelle loro abitazioni come ornamenti; nel caso di specie, poi, la condotta tenuta dal ricorrente – che ha detenuto illegalmente detti reperti archeologici per anni senza averne mai fatto denuncia all’Amministrazione, che ne ha avuto cognizione solo a seguito di rinvenimento mediante perquisizione domiciliare disposta dal giudice penale – costituiva di per sé motivo più che valido per negare l’assegnazione anche a prescindere dalla prassi consolidata alla quale la Soprintendenza ha fatto cenno nel provvedimento, considerato che con l’accoglimento della richiesta si sarebbero – in pratica – restituiti al detentore illegale i reperti confiscati.

In ogni caso, non può non rilevarsi, che le valutazioni di opportunità della scelta sono sottratte alla cognizione del giudice di legittimità impingendo nel merito dell’azione amministrativa.

Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente censura il provvedimento nella parte in cui nega il diritto all’attribuzione del premio di rinvenimento.

Il motivo è infondato.

La Soprintendenza ha respinto la richiesta rilevando che non può ricevere il premio di rinvenimento il soggetto che ha trattenuto reperti antichi di provenienza illegale, in quanto provenienti da scavi non autorizzati (e comunque non segnalati come precisato dalla stessa Soprintendenza Archeologica nella nota del 9 agosto 1994).

La tesi dell’amministrazione è pienamente condivisibile.

Dispone l’art. 48 della L. 1089/39 (normativa applicabile alla fattispecie trattandosi di provvedimento adottato nel 1994) che "Chiunque scopra fortuitamente cose mobili o immobili di cui all’art. 1 deve farne immediata denuncia all’autorità competente e provvedere alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute".

In relazione alla disciplina dei ritrovamenti fortuiti di cose aventi interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, l’art. 49 della legge n. 1089/1939 afferma anzitutto che le cose scoperte fortuitamente "appartengono allo Stato"; allo scopritore aggiunge la norma, è corrisposto dal Ministro, in denaro o mediante rilascio di una parte delle cose scoperte, un premio che in ogni caso non può superare il quarto del valore delle cose stesse.

La Corte di Cassazione Sezioni Unite, con decisione dell’11 marzo 1992, n. 2959, ha ricordato che la giurisprudenza è andata nel tempo sempre più orientandosi nel senso di sottolineare l’essenza puramente remuneratoria dell’attribuzione patrimoniale in esame (cfr. Cass. n. 4801 del 1979; n. 1347 del 1989). "Infatti, ad essa è sotteso lo scopo di spingere il privato ad una determinata forma di attività collaborativa ritenuta utile e consona all’interesse pubblico; sicché l’elargibilità del beneficio è riconosciuta soltanto dopo che il comportamento auspicato sia stato interamente portato ad effetto e positivamente riscontrato come meritorio. Ed il fine incentivato non è quello della ricerca e del rinvenimento di beni di ignota esistenza e collocazione, bensì quello della loro consegna, una volta rinvenuti fortuitamente o meno all’autorità preposta alla loro tutela" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 04 giugno 2004, n. 3492).

Ne consegue che l’attribuzione del premio di rinvenimento presuppone il rispetto degli obblighi di denunzia del ritrovamento all’Autorità preposta alla loro tutela, atteso che il premio viene corrisposto proprio per incentivare la riconsegna dei beni appartenenti allo Stato.

Nel caso di specie, invece, è indubitabile la violazione dell’obbligo di denunzia e di riconsegna dei reperti archeologici da parte del Sig. C., atteso che la Soprintendenza Archeologica di Roma ha avuto cognizione della loro esistenza soltanto a seguito della perquisizione domiciliare; nella sentenza del Tribunale di Roma, poi, si afferma che detti reperti sono stati scoperti fortuitamente duranti i lavori di realizzazione della villa del ricorrente risalenti a circa 40 anni prima, ed esposti nel suo giardino (in prossimità del campo di bocce della piscina) per questo lunghissimo intervallo di tempo senza che ne sia stato mai denunziato il ritrovamento alla Soprintendenza, tant’è vero che il ricorrente è stato processato – in seguito alla derubricazione del reato – proprio per la violazione dell’art. 48 della L. 1089/39, e cioè per non aver denunciato il ritrovamento.

Ne consegue che, avendo il ricorrente violato gli obblighi di denunzia, ed avendo detenuto illegalmente per lunghissimo tempo reperti archeologici rinvenuti a seguito di scavi non autorizzati e non segnalati, non può pretendere la corresponsione del premio di rinvenimento.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.000 (duemila/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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