Corte Costituzionale, Sentenza n. 147/2012, in tema di misure per la razionalizzazione della spesa relativa all’organizzazione scolastica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 24 del 13-6-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’articolo 19,
commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dalle
Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, dalla Regione
siciliana, e dalle Regioni Puglia e Basilicata, con ricorsi
notificati il 12-14 e il 13 settembre 2011, depositati in cancelleria
il 14, il 21 e il 23 settembre 2011 e rispettivamente iscritti ai nn.
90, 98, 99, 101, 102, 104 e 105 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 aprile 2012 il Giudice
relatore Sergio Mattarella;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria ed
Emilia-Romagna, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Paola
Manuali per la Regione Umbria, Marina Valli e Beatrice Fiandaca per
la Regione siciliana e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e
Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con sette diversi ricorsi le Regioni Toscana, Emilia-Romagna,
Liguria, Umbria, Puglia, Basilicata e la Regione siciliana hanno
proposto questioni di legittimita’ costituzionale relative a diverse
disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
La presente decisione ha oggetto unicamente l’impugnazione
dell’art. 19, commi 4 e 5, del citato decreto-legge, essendo oggetto
di separate decisioni la trattazione delle ulteriori questioni di
legittimita’ costituzionale proposte dalle sole Regioni Toscana,
Emilia-Romagna e Liguria avverso altre disposizioni, con riferimento
anche a differenti parametri.
Le Regioni menzionate hanno censurato l’art. 19, comma 4, del
d.l. n. 98 del 2011 – e alcune di esse, e cioe’ le Regioni Toscana,
Umbria, Puglia e Basilicata, anche il successivo comma 5 – per
violazione degli artt. 117, terzo e sesto comma, 118, 119 e 120 della
Costituzione, del principio di leale collaborazione e, limitatamente
alla Regione siciliana, anche per violazione, oltre che del gia’
citato art. 117, terzo comma, Cost., degli artt. 14, lettera r), 17,
lettera d), e 20 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), nonche’ degli
artt. 1 e 6 del d.P.R. 14 maggio 1985, n. 246 (Norme di attuazione
dello Statuto della regione siciliana in materia di pubblica
istruzione).
2.- Il testo dei due commi impugnati e’ il seguente:
«4. Per garantire un processo di continuita’ didattica
nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall’anno
scolastico 2011-2012 la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la
scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti
comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni
scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche
e scuole secondarie di I grado; gli istituti compresivi per acquisire
l’autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti
a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni
montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita’
linguistiche.
5. Alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero
di alunni inferiore a 600 unita’, ridotto fino a 400 per le
istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree
geografiche caratterizzate da specificita’ linguistiche, non possono
essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo
indeterminato. Le stesse sono conferite in reggenza a dirigenti
scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome».
3.- Le Regioni a statuto ordinario ricorrenti censurano le
suindicate disposizioni con argomentazioni in larga misura
coincidenti.
Esse osservano, innanzitutto, che tali norme comportano una
significativa riduzione del numero delle scuole dell’infanzia, delle
scuole primarie e delle scuole secondarie di primo grado mediante la
formazione di istituti comprensivi, imponendo un numero minimo di
iscritti come condizione per ottenere l’autonomia e determinando una
diminuzione del numero dei dirigenti scolastici; il tutto nel quadro
di un complessivo contenimento della spesa in materia di istruzione,
avviato gia’ con l’art. 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge
6 agosto 2008, n. 133.
Nella materia dell’istruzione – argomentano le ricorrenti –
convivono diverse competenze, suddivise tra Stato e Regioni: al primo
spetta la competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera n), Cost., in tema di «norme generali sull’istruzione»,
mentre e’ oggetto di competenza concorrente, secondo l’art. 117,
terzo comma, Cost., la materia dell’istruzione in generale, nella
quale allo Stato rimane soltanto la determinazione dei principi
fondamentali.
Le Regioni ricorrenti rilevano che nel caso specifico, alla luce
dei concetti espressi nella sentenza n. 200 del 2009 di questa Corte,
non sembra che le disposizioni censurate possano rappresentare norme
generali sull’istruzione, in quanto esse non fissano affatto gli
standard minimi, non toccano i cicli dell’istruzione, non regolano le
finalita’ ultime del sistema dell’istruzione, ne’ hanno ad oggetto la
regolamentazione delle prove che consentono il passaggio ai diversi
cicli o la valutazione periodica degli apprendimenti e del
comportamento degli studenti. Allo stesso modo, pero’, neppure sembra
che le norme censurate possano ritenersi espressione di principi
fondamentali in materia di istruzione, poiche’ le stesse si risolvono
nell’enunciazione di una serie di regole di dettaglio «che precludono
l’esercizio di scelte che sono la ragione stessa dell’autonomia che
la Costituzione riserva alle Regioni» (cosi’, testualmente, le
Regioni Emilia-Romagna e Liguria). Stabilire che non possono esservi
scuole dell’infanzia, scuole primarie e secondarie di primo grado che
non siano accorpate in istituti comprensivi (art. 19, comma 4)
significa escludere in via assoluta la possibilita’ di dare risalto a
specifiche particolarita’ locali, imponendo alle Regioni una mera
attivita’ di esecuzione. Analogamente, l’art. 19, comma 5, vietando
di attribuire la dirigenza scolastica alle istituzioni scolastiche
autonome con un numero di alunni inferiore ad una certa soglia
fissata dallo Stato esclude, senza una plausibile ragione, qualunque
possibilita’ di valutazione da parte delle Regioni, da compiere sulla
base delle risorse disponibili. Non si tratta, quindi, di principi
fondamentali, bensi’, in modo evidente, di una normativa di dettaglio
emessa in una materia di competenza concorrente.
Osservano poi le ricorrenti che una tipica competenza regionale –
riconosciuta anche dalla giurisprudenza costituzionale intervenuta
subito dopo la riforma del 2001 (sentenze n. 13 del 2004, n. 34 e n.
279 del 2005) e poi ribadita nella citata pronuncia n. 200 del 2009 –
e’ proprio quella riguardante la programmazione della rete scolastica
ed il dimensionamento degli istituti scolastici. Tale competenza era
stata gia’ conferita alle Regioni dall’art. 138 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in
attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59); ne’ e’
pensabile che una funzione attribuita alle Regioni nel quadro
costituzionale antecedente la riforma di cui alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione), sia stata poi alle stesse
sottratta dopo tale riforma, che e’ orientata nel senso di una
maggiore autonomia.
In particolare, la Regione Toscana sottolinea che le norme in
esame rientrerebbero nel medesimo ambito di cui all’art. 64, comma 4,
lettera f-bis), del d.l. n. 112 del 2008, gia’ dichiarato
costituzionalmente illegittimo con citata la sentenza n. 200 del
2009.
La totale mancanza di ogni coinvolgimento delle Regioni nel
processo di ristrutturazione degli istituti scolastici
determinerebbe, inoltre, la violazione del principio di leale
collaborazione – che la Regione Basilicata, in particolare, ricollega
all’art. 120 Cost. – e dell’art. 118 Cost. (richiamato dalle Regioni
Toscana e Umbria), poiche’, anche invocando il principio di
sussidiarieta’ in senso ascendente, si sarebbe dovuta comunque
garantire un’adeguata concertazione con le Regioni. Il che e’ ancor
piu’ grave se si pensa che la modifica legislativa e’ intervenuta nel
mese di luglio, ossia a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico, in
tal modo alterando decisioni ed assetti organizzativi gia’ assunti
dalle Regioni. A questo proposito, le Regioni Toscana, Umbria e
Puglia fanno presente di essersi gia’ dotate, con proprie leggi
regionali o provvedimenti aventi natura di decreti, di un piano
concernente il dimensionamento degli istituti scolastici.
Il carattere di norme di dettaglio delle disposizioni sottoposte
a scrutinio, inoltre, lederebbe anche l’art. 117, sesto comma, Cost.,
in base al quale la potesta’ regolamentare spetta alle Regioni in
tutte le materie che non rientrano in quelle di competenza esclusiva
dello Stato.
4.- Le Regioni ricorrenti rilevano, inoltre, che le disposizioni
contenute nell’art. 19, commi 4 e 5, del d.l. n. 98 del 2011 non
possono trarre il loro fondamento giustificativo in altri titoli di
competenza previsti dall’art. 117 della Costituzione.
Al riguardo, le Regioni Umbria e Puglia evidenziano che non puo’
parlarsi, in questo caso, di disposizioni concernenti la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., perche’ la normativa
impugnata non si preoccupa di imporre il raggiungimento di livelli
qualitativamente minimi nel servizio istruzione – livelli che le
Regioni possono certamente migliorare – ma detta, invece, una
normativa specifica relativa alle dimensioni ed alla dirigenza degli
istituti scolastici.
Tutte le Regioni ordinarie ricorrenti, infine, specificano che le
disposizioni oggi sottoposte allo scrutinio della Corte, pur avendo
un chiaro obiettivo di riduzione della spesa, non possono
considerarsi principi fondamentali nella materia concorrente del
coordinamento della finanza pubblica. La giurisprudenza
costituzionale, infatti, ha ribadito in piu’ occasioni (si
richiamano, tra le altre, le sentenze n. 182 del 2011, n. 120 e n.
289 del 2008 e n. 169 del 2007) che lo Stato puo’ imporre
legittimamente alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio;
tuttavia, affinche’ non venga invasa la sfera di competenza
regionale, occorre che tali limiti riguardino l’entita’ del disavanzo
oppure, ma solo in via transitoria, la crescita della spesa corrente,
fermo restando che lo Stato non puo’ mai fissare limiti precisi per
singole voci di spesa, ma soltanto un limite complessivo che lasci
alle Regioni la liberta’ di allocare le risorse nei diversi ambiti.
Nel caso specifico, invece, la normativa statale lede ulteriormente
la competenza concorrente delle Regioni nella materia citata, perche’
non lascia alle stesse alcuna possibilita’ di scelta.
5.- La Regione siciliana, infine, nel proprio ricorso, svolge
considerazioni analoghe a quelle delle Regioni a statuto ordinario,
ma richiama, inoltre, specificamente i parametri costituiti dalle
norme dello Statuto speciale e dalle relative disposizioni di
attuazione.
A norma dell’art. 14, lettera r), e dell’art. 17, lettera d), del
r.d.lgs. n. 455 del 1946, infatti, la Regione e’ titolare di una
potesta’ normativa primaria in materia di istruzione elementare e di
una potesta’ concorrente relativa all’istruzione media e
universitaria; l’art. 20 dello Statuto, poi, attribuisce alla Regione
le funzioni esecutive ed amministrative nelle materie di competenza
regionale. Tale quadro e’ completato dagli artt. 1 e 6 del d.P.R. n.
246 del 1985.
In attuazione di tali proprie competenze, la Regione siciliana
precisa di essere intervenuta a regolare, fra l’altro, anche il
dimensionamento degli istituti scolastici, con le proprie leggi
regionali 24 febbraio 2000, n. 6, e 12 luglio 2011, n. 13. Scorrendo
le disposizioni di queste ultime, si vede che la Regione ha fissato
le condizioni numeriche che gli istituti scolastici sono tenuti a
raggiungere per poter conseguire l’autonomia, per cui le indicazioni
imposte dallo Stato vengono a confliggere con la normativa regionale.
D’altra parte, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo
riconosciuto (vengono citate le risalenti pronunce n. 18 del 1969 e
n. 165 del 1973) che la disciplina statale ha, nelle materie di
competenza primaria della Regione, una sorta di efficacia suppletiva,
tale che, ove la Regione abbia dettato norme proprie, le stesse
prevalgono su quelle statali.
Osserva poi la ricorrente che le norme impugnate, invece, pur non
essendo esplicitamente destinate ad operare anche nelle Regioni a
statuto speciale, devono, in assenza di espressa previsione di
garanzie delle loro competenze, ritenersi applicabili anche alle
medesime.
La giurisprudenza costituzionale ha stabilito (sentenza n. 177
del 2004) che alla Regione siciliana spettano le attribuzioni degli
organi centrali e periferici dello Stato in materia di pubblica
istruzione, mentre allo Stato rimane la competenza relativa alla
disciplina della natura giuridica e del riconoscimento legale degli
istituti scolastici non statali, secondo un assetto che e’ da
ritenere confermato anche alla luce dell’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001. Ne deriverebbe, pertanto, la sicura
illegittimita’ costituzionale delle disposizioni censurate.
Oltre alle citate lesioni, la Regione lamenta anche la violazione
del principio di leale collaborazione, perche’ la normativa oggetto
di ricorso e’ stata approvata senza alcuna previa concertazione con
le Regioni.
6.- In tutti i giudizi si e’ costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, con singoli atti di identico contenuto,
chiedendo che le prospettate questioni vengano dichiarate non
fondate.
Osserva l’Avvocatura dello Stato che le norme impugnate impongono
la formazione di istituti comprensivi per la scuola dell’infanzia,
per quella primaria e per quella secondaria di primo grado.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 del 2009, ha
chiarito che, anche dopo la riforma del 2001, lo Stato mantiene una
competenza esclusiva in materia di norme generali sull’istruzione;
secondo tale pronuncia, deve ritenersi che «il sistema generale
dell’istruzione, per sua stessa natura, rivesta carattere nazionale,
non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma iniziativa
legislativa delle Regioni». Alla luce di questo criterio, va
riconosciuto che le norme censurate, andando ad incidere sulla
determinazione degli standard strutturali minimi che le istituzioni
scolastiche devono possedere, «si possono annoverare tra quelle
disposizioni che definiscono la struttura portante del sistema
nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo
necessariamente unitario ed uniforme su tutto il territorio
nazionale»; in quanto tali, esse rientrano nella competenza esclusiva
dello Stato. Come gia’ in precedenza avveniva con l’art. 2 del d.P.R.
18 giugno 1998, n. 233 (Regolamento recante norme per il
dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la
determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a
norma dell’articolo 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59), anche
l’attuale art. 19 risponde alla necessita’ di fissare criteri
omogenei su tutto il territorio al fine di far acquisire alle
istituzioni scolastiche l’autonomia e di consentire l’attribuzione
della personalita’ giuridica.
Ad analoghe conclusioni si perviene, secondo l’Avvocatura dello
Stato, anche richiamando la competenza concorrente in tema di
istruzione prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost.: infatti la
natura di norma di principio emerge dal rilievo per cui le norme
dell’impugnato art. 19, commi 4 e 5, contribuiscono a configurare la
struttura portante del sistema nazionale di istruzione, al fine anche
di consentire un’offerta formativa omogenea.
Rileva poi la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri
che esiste, nella specie, anche un altro titolo di competenza
statale, ossia quello del coordinamento della finanza pubblica. Le
disposizioni in questione, infatti, in attuazione degli obiettivi
finanziari gia’ delineati dall’art. 64 del d.l. n. 112 del 2008,
determinano evidenti risparmi di spesa «derivanti dalla riduzione del
numero di istituti scolastici di 1.130 unita’ e dei posti di
dirigente scolastico e di direttore dei servizi generali e
amministrativi». In base alla giurisprudenza costituzionale (si
citano le pronunce n. 417 del 2005, n. 181 del 2006 e n. 237 del
2009), una norma statale di principio, adottata in materia di
competenza concorrente, puo’ incidere su una o piu’ materie di
competenza regionale, anche di tipo residuale, il che comporterebbe
la piena legittimita’ costituzionale delle disposizioni oggi in
esame.
L’Avvocatura dello Stato rileva, infine, che la previsione di una
soglia minima di alunni degli istituti scolastici costituirebbe uno
degli standard per conseguire l’autonomia e che la relativa materia
e’ di spettanza esclusiva dello Stato.
7.- In prossimita’ dell’udienza, hanno depositato memorie le
Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Puglia e
Basilicata, confutando le argomentazioni difensive dell’Avvocatura
dello Stato, in particolare rispetto alla attinenza delle norme
censurate alla materia dei principi generali sull’istruzione. Le
difese delle Regioni hanno, altresi’, ribadito la illegittimita’ di
tali disposizioni anche sotto il profilo della materia del
coordinamento della finanza pubblica, facendo riferimento
all’orientamento della Corte per cui in tale materia la legge statale
puo’ porre gli obiettivi, lasciando alle Regioni la scelta circa gli
strumenti concreti per la loro realizzazione.

Considerato in diritto

1.- Le Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Puglia,
Basilicata e la Regione siciliana hanno proposto, con separati
ricorsi, questioni di legittimita’ costituzionale dell’articolo 19,
comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti
per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; nei ricorsi delle Regioni
Toscana, Umbria, Puglia e Basilicata le questioni sono state
sollevate anche con riguardo al comma 5 del medesimo articolo.
Ad avviso delle ricorrenti, dette norme sarebbero in contrasto
con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto
conterrebbero una normativa di dettaglio in una materia
(l’istruzione) oggetto di competenza concorrente, posto che tali
disposizioni non rientrano nella competenza esclusiva dello Stato di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost. (norme generali
sull’istruzione); con l’art. 117, sesto comma, Cost., secondo cui la
potesta’ regolamentare spetta alle Regioni in tutte le materie che
non rientrano in quelle di competenza esclusiva dello Stato; con
l’art. 118 Cost., in quanto, anche invocando il principio di
sussidiarieta’ in senso ascendente, si sarebbe dovuta comunque
garantire un’adeguata concertazione con le Regioni; con l’art. 119
Cost., per lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni; con
l’art. 120 Cost., per lesione del principio di leale collaborazione;
ed infine, limitatamente alla sola Regione siciliana, le citate
disposizioni sarebbero in contrasto con gli artt. 14, lettera r), 17,
lettera d), e 20 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana), nonche’ con gli
artt. 1 e 6 del d.P.R. 14 maggio 1985, n. 246 (Norme di attuazione
dello statuto della regione siciliana in materia di pubblica
istruzione), poiche’ la normativa statale interviene in un ambito nel
quale alla Regione e’ riconosciuta competenza esclusiva e concorrente
e, di conseguenza, anche esecutiva ed amministrativa.
2.- I giudizi vanno riuniti, avendo ad oggetto le medesime
disposizioni, ancorche’ prospettate in riferimento a diversi
parametri costituzionali.
Occorre preliminarmente rilevare che il testo dell’art. 19, comma
5, oggetto di censura ha subito, successivamente alla proposizione
delle odierne questioni, una modifica ad opera dell’art. 4, comma 69,
della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’
2012), a decorrere dal 1° gennaio 2012. Il testo originario del comma
5, risultante dalla conversione del decreto-legge e vigente nel
momento della proposizione dei ricorsi, era il seguente: «5. Alle
istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni
inferiore a 500 unita’, ridotto fino a 300 per le istituzioni site
nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche
caratterizzate da specificita’ linguistiche, non possono essere
assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le
stesse sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico
su altre istituzioni scolastiche autonome». A seguito della suddetta
modifica, le due soglie di 500 e 300 unita’ sono state innalzate,
rispettivamente, a 600 e 400 unita’; come si vede, si tratta di una
modifica che non e’ in alcun modo satisfattiva delle pretese avanzate
dalle Regioni ricorrenti, in quanto lascia praticamente inalterati i
termini della lamentata lesione delle competenze, limitandosi a
modificare le soglie numeriche necessarie per l’assegnazione alle
istituzioni scolastiche di un dirigente scolastico con incarico a
tempo indeterminato.
Ne consegue che, in considerazione della sostanziale identita’ di
contenuto precettivo e del principio di effettivita’ della tutela
costituzionale nei giudizi in via principale, in conformita’ alla
giurisprudenza di questa Corte, si procedera’ allo scrutinio
dell’art. 19, comma 5, nel testo risultante dalla modifica
suindicata, benche’ la nuova disposizione non sia stata oggetto di
ulteriore ricorso in via principale (v., tra le ultime, le sentenze
n. 139 e n. 237 del 2009, nonche’ la sentenza n. 15 del 2010).
3.- Passando al merito delle questioni, occorre esaminare per
prima quella relativa all’art. 19, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011.
E’ opportuno rilevare, ai fini del corretto inquadramento della
questione, che il citato comma 4 e’ da ricondurre alla materia della
«istruzione». La giurisprudenza di questa Corte, successivamente alla
riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione,
intervenuta con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha individuato i
criteri del riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni nella
materia dell’istruzione, allo scopo di porre una chiara linea di
confine tra i titoli di competenza esclusiva e concorrente che sono
stati entrambi previsti nell’art. 117 della Costituzione.
In particolare, con le sentenze n. 200 del 2009 e n. 92 del 2011
e’ stata chiarita, alla luce delle precedenti pronunce sull’argomento
(fra le quali, si vedano la sentenza n. 13 del 2004 e le sentenze n.
34 e n. 279 del 2005), la differenza esistente tra le norme generali
sull’istruzione – riservate alla competenza esclusiva dello Stato ai
sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost. – e i principi
fondamentali della materia istruzione, che l’art. 117, terzo comma,
Cost. devolve alla competenza legislativa concorrente. Si e’ detto, a
questo proposito, che rientrano tra le norme generali sull’istruzione
«quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante
del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere
applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il
territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa
omogenea, la sostanziale parita’ di trattamento tra gli utenti che
fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo
costituzionale), nonche’ la liberta’ di istituire scuole e la parita’
tra le scuole statali e non statali». Sono, invece, espressione di
principi fondamentali della materia dell’istruzione «quelle norme
che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese
ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio
nazionale in ordine alle modalita’ di fruizione del servizio
dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella
struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le
norme generali sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro
attuazione (e non gia’ per la loro semplice esecuzione)
dell’intervento del legislatore regionale» (sentenza n. 92 del 2011
che richiama la precedente n. 200 del 2009).
L’art. 19, comma 4, oggi in esame contiene due previsioni,
strettamente connesse: l’obbligatoria ed immediata costituzione di
istituti comprensivi, mediante l’aggregazione della scuola
dell’infanzia, della scuola primaria e di quella secondaria di primo
grado, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche
costituite separatamente, e la definizione della soglia numerica di
1.000 alunni che gli istituti comprensivi devono raggiungere per
acquisire l’autonomia; soglia ridotta a 500 per le istituzioni site
nelle piccole isole, nei comuni montani e nelle aree geografiche
caratterizzate da specificita’ linguistiche. Si tratta, quindi, di
una norma che regola la rete scolastica e il dimensionamento degli
istituti.
Va osservato che il legislatore, prima della citata riforma
costituzionale del 2001, era intervenuto a regolare con apposite
norme il riparto di competenze relative all’organizzazione della rete
scolastica; l’art. 138, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I
della L. 15 marzo 1997, n. 59), gia’ disponeva che fossero delegate
alle Regioni le funzioni amministrative riguardanti la
«programmazione, sul piano regionale, nei limiti della disponibilita’
di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei
piani provinciali»; subito dopo, il d.P.R. 18 giugno 1998, n. 233
(Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle
istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici
funzionali dei singoli istituti, a norma dell’articolo 21 della L. 15
marzo 1997, n. 59), ha disposto (art. 3) che le Regioni approvino il
piano regionale di dimensionamento delle istituzioni scolastiche
sulla base dei piani disposti dalle singole Province. Ne consegue che
– come questa Corte ha avuto modo di rilevare fin dalle sentenze n.
13 del 2004 e n. 34 del 2005 – e’ del tutto implausibile che il
legislatore costituzionale del 2001 abbia inteso sottrarre alle
Regioni la competenza relativa al programma di dimensionamento delle
istituzioni scolastiche che gia’ era di loro spettanza in un quadro
costituzionale segnato da una impostazione maggiormente
centralizzata.
La legislazione degli anni piu’ recenti e’ intervenuta con altre
disposizioni in tale materia. L’art. 64, comma 4-quater, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha
disposto – riconoscendo, ancora una volta, la competenza delle
Regioni – che le medesime dovessero provvedere, per l’anno scolastico
2009/2010, ad assicurare il dimensionamento delle istituzioni
scolastiche autonome nel rispetto dei parametri fissati dall’art. 2
del citato d.P.R. n. 233 del 1998. Il successivo d.P.R. 20 marzo
2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il
razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai
sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 , convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133), mirava a modificare il quadro normativo, disponendo, all’art.
1, che alla definizione «dei criteri e dei parametri per il
dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei
punti di erogazione del servizio scolastico, si provvede con decreto,
avente natura regolamentare, del Ministro dell’istruzione,
dell’universita’ e della ricerca, adottato di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di
Conferenza unificata» tra lo Stato e le Regioni. Il medesimo art. 1,
peraltro, stabilisce che, fino all’emanazione del menzionato decreto
ministeriale, continui ad applicarsi la disciplina vigente, in
particolare il d.P.R. n. 233 del 1998, ivi compreso il relativo art.
3 da considerarsi abrogato soltanto all’atto dell’entrata in vigore
del predetto decreto ministeriale (art. 24, comma 1, lettera d, del
d.P.R. n. 81 del 2009).
Non risulta, comunque, che tale decreto sia mai intervenuto,
tanto che alcune delle Regioni ricorrenti hanno fatto presente, negli
odierni ricorsi, che l’art. 19, comma 4, in esame e’ stato emanato
quando esse avevano gia’ provveduto all’approvazione dei piani
regionali di dimensionamento in vista dell’inizio dell’anno
scolastico 2011/2012, piani evidentemente formulati secondo lo schema
di cui al d.P.R. n. 233 del 1998.
4.- Alla luce delle osservazioni che precedono, la questione
avente ad oggetto l’art. 19, comma 4, e’ fondata.
La disposizione censurata mostra, anzitutto, un certo margine di
ambiguita’ perche’, mentre impone l’aggregazione delle scuole
dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, in istituti
comprensivi, non esclude la possibilita’ di soppressioni pure e
semplici, cioe’ di soppressioni che non prevedano contestuali
aggregazioni. Ma, comunque, anche volendo disattendere questa
possibile lettura, e’ indubbio che la disposizione in esame incide
direttamente sulla rete scolastica e sul dimensionamento degli
istituti, materia che, secondo la giurisprudenza di questa Corte
(sentenze n. 200 del 2009, n. 235 del 2010 e n. 92 del 2011), non
puo’ ricondursi nell’ambito delle norme generali sull’istruzione e
va, invece, ricompresa nella competenza concorrente relativa
all’istruzione; la sentenza n. 200 del 2009 rileva, in proposito, che
«il dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche» e’
«ambito che deve ritenersi di spettanza regionale». Trattandosi di
ambito di competenza concorrente, allo Stato spetta soltanto di
determinare i principi fondamentali, e la norma in questione non puo’
esserne espressione.
L’art. 19, comma 4, infatti, pur richiamandosi ad una finalita’
di «continuita’ didattica nell’ambito dello stesso ciclo di
istruzione», in realta’ non dispone sulla didattica: esso, anche con
questa sua prima previsione, realizza un ridimensionamento della rete
scolastica al fine di conseguire una riduzione della spesa, come, del
resto, enunciato dalla rubrica dell’art. 19 («Razionalizzazione delle
spese relative all’organizzazione scolastica. Concorso degli enti
locali alla stabilizzazione finanziaria»), dalla rubrica del Capo III
del decreto-legge («Contenimento e razionalizzazione delle spese in
materia di impiego pubblico, sanita’, assistenza, previdenza,
organizzazione scolastica»), nonche’ dal titolo del medesimo
(«Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»).
L’aggregazione negli istituti comprensivi, unitamente alla fissazione
della soglia rigida di 1.000 alunni, conduce al risultato di ridurre
le strutture amministrative scolastiche ed il personale operante
all’interno delle medesime, con evidenti obiettivi di risparmio; ma,
in tal modo, essa si risolve in un intervento di dettaglio, da parte
dello Stato, in una sfera che, viceversa, deve rimanere affidata alla
competenza regionale.
Il carattere di intervento di dettaglio nel dimensionamento della
rete scolastica emerge, con ancor maggiore evidenza, dalla seconda
parte del comma 4, relativa alla soglia minima di alunni che gli
istituti comprensivi devono raggiungere per ottenere l’autonomia: in
tal modo lo Stato stabilisce alcune soglie rigide le quali escludono
in toto le Regioni da qualsiasi possibilita’ di decisione, imponendo
un dato numerico preciso sul quale le Regioni non possono in alcun
modo interloquire. Va ribadito ancora una volta, invece, come questa
Corte ha chiarito nella sentenza n. 200 del 2009, che «la
preordinazione dei criteri volti all’attuazione del dimensionamento»
delle istituzioni scolastiche «ha una diretta e immediata incidenza
su situazioni strettamente legate alle varie realta’ territoriali e
alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che
ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale, con la
precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino
sulla qualita’ dell’offerta formativa e, dunque, sulla didattica».
Occorre rilevare, per completezza, che l’Avvocatura dello Stato
ha invocato, nei propri scritti difensivi, oltre ai titoli di
competenza esclusiva ed ai principi fondamentali in tema di
competenza concorrente in materia di istruzione, anche quello di
competenza concorrente relativo al coordinamento della finanza
pubblica.
La Corte osserva, al riguardo, che, pur perseguendo la
disposizione in esame – come si e’ detto – evidenti finalita’ di
contenimento della spesa pubblica, resta pur sempre il fatto che
anche tale titolo consente allo Stato soltanto di dettare principi
fondamentali, e non anche norme di dettaglio; e, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, «norme statali che fissano limiti
alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla
seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre
obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un
transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della
spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo
strumenti o modalita’ per il perseguimento dei suddetti obiettivi»
(sentenza n. 326 del 2010).
Sulla base delle precedenti considerazioni, va rilevato che la
disposizione sottoposta a scrutinio non risponde alle condizioni
necessarie per costituire un principio fondamentale in materia di
coordinamento della finanza pubblica.
L’Avvocatura dello Stato ha altresi’ invocato, con riferimento
alla seconda parte del comma 4 in esame, la competenza esclusiva
statale in materia di requisiti minimi che le istituzioni scolastiche
devono possedere per essere definite autonome. E’ indubbio che
competa allo Stato la definizione dei requisiti che connotano
l’autonomia scolastica, ma questi riguardano il grado della loro
autonomia rispetto alle amministrazioni, statale e regionale, nonche’
le modalita’ che la regolano, ma certamente non il dimensionamento e
la rete scolastica, riservati alle Regioni nell’ambito della
competenza concorrente. Va ricordato che la legge 15 marzo 1997, n.
59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione
e per la semplificazione amministrativa), che reca norme fondamentali
sull’autonomia – invocata anche dall’Avvocatura dello Stato per
motivare questa rivendicazione in competenza esclusiva – prevede,
all’art. 21, che i «requisiti dimensionali ottimali» per l’autonomia
vanno «individuati in rapporto alle esigenze e alla varieta’ delle
situazioni locali». Anche a motivo di questa esigenza, ancor prima
del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, gli artt.
2 e 3 del d.P.R. n. 233 del 1998 – anche esso invocato
dall’Avvocatura perche’, in larga misura, tuttora in vigore – hanno
previsto che i piani di dimensionamento delle istituzioni
scolastiche, previsti dall’art. 21 in questione, al fine
dell’attribuzione dell’autonomia, vadano definiti in conferenze
provinciali, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei
criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali,
preventivamente adottati dalle Regioni, cui e’ affidata anche
l’approvazione del piano regionale.
L’art. 19, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, pertanto, va
dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost., essendo una norma di dettaglio dettata in un
ambito di competenza concorrente. Restano assorbiti gli ulteriori
parametri richiamati nei ricorsi delle Regioni, ivi compresi quelli
relativi allo Statuto speciale ed alle disposizioni di attuazione
invocati dalla Regione siciliana.
5.- La questione avente ad oggetto l’art. 19, comma 5, del d.l.
n. 98 del 2011, nel testo modificato dell’art. 4, comma 69, della
legge n. 183 del 2011, non e’ fondata.
La disposizione censurata, come si e’ detto, prevede che alle
istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni
inferiore a 600 unita’, ridotto a 400 per le istituzioni site in
piccole isole, comuni montani e aree caratterizzate da specificita’
linguistiche, non possono essere assegnati dirigenti scolastici con
incarico a tempo indeterminato; tali istituzioni, invece, sono
conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre
istituzioni autonome.
E’ indubbio che questa previsione incide in modo significativo
sulla condizione della rete scolastica, ma va rilevato che la norma
in questione non sopprime i posti di dirigente, limitandosi a
stabilirne un diverso modo di copertura e, tenendo presente che i
dirigenti scolastici sono dipendenti pubblici statali e non regionali
– come risulta sia dal loro reclutamento che dal loro complessivo
status giuridico – e’ chiaro che il titolo di competenza esclusiva
statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.,
assume un peso decisamente prevalente rispetto al titolo di
competenza concorrente previsto in materia di istruzione dal medesimo
art. 117, terzo comma. La disposizione in esame persegue l’evidente
finalita’ di riduzione del numero dei dirigenti scolastici – al fine
di contenimento della spesa pubblica – attraverso nuovi criteri per
la loro assegnazione nella copertura dei posti di dirigenza e questa
materia rientra nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato.
Ne consegue che la questione relativa al censurato art. 19, comma
5, va dichiarata non fondata.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni
di legittimita’ costituzionale promosse, nei confronti del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111, dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna,
Liguria, Umbria, dalla Regione siciliana e dalle Regioni Puglia e
Basilicata;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 19,
comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 111 del 2011;
2) dichiara non fondata la questione di legittimita’
costituzionale dell’articolo 19, comma 5, del medesimo d.l. n. 98 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, nel
testo risultante dalle modifiche introdotte dell’art. 4, comma 69,
della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’
2012), promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e sesto comma,
118, 119 e 120 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria,
Puglia e Basilicata, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *