Corte Costituzionale, Sentenza n. 176/2012, in tema di misure finanziarie per le regioni del sud

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 28 del 11-7-2012

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’articolo 5-bis
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito,
con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promossi
dalla Regione Toscana, dalla Regione Veneto e dalla Regione autonoma
Sardegna, con distinti ricorsi notificati il 14-18 ed il 15 novembre
2011, depositati in cancelleria il 17, il 23 ed il 24 novembre 2011,
ed iscritti ai numeri 133, 145 e 160 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2012 il Giudice
relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione autonoma della
Sardegna, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Luigi Manzi per
la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – La Regione Toscana, in persona del Presidente pro-tempore,
autorizzato dalla Giunta regionale con delibere, rispettivamente, del
3 ottobre 2011, n. 833 e del 9 novembre 2011, n. 962, ha impugnato
vari articoli del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
e tra questi l’art. 5-bis, denunciando la violazione dell’art. 119,
terzo e quinto comma, della Costituzione.
L’art. 5-bis (Sviluppo delle regioni dell’obiettivo convergenza e
realizzazione del Piano Sud) del d.l. n. 138 del 2011, introdotto con
la legge di conversione n. 148 del 2011, al comma 1 stabilisce che
«al fine di garantire l’efficacia delle misure finanziarie per lo
sviluppo delle regioni dell’obiettivo convergenza e l’attuazione
delle finalita’ del Piano per il Sud, a decorrere dall’anno
finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e
di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a
valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui
all’articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui
cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalita’
strutturale, nonche’ sulle risorse individuate ai sensi di quanto
previsto dall’articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, puo’ eccedere i limiti di cui all’articolo 1, commi 126 e 127,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle
condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del
presente articolo».
Il comma 2 prevede quindi che «al fine di salvaguardare gli
equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le
regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di
ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l’attuazione del
comma 1, nonche’ le modalita’ di attribuzione allo Stato ed alle
restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso
il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il
concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica per l’anno di riferimento».
Secondo la Regione Toscana tali disposizioni, oltre a creare una
forte disparita’ tra le Regioni che potranno e quelle che non
potranno escludere dal patto di stabilita’ le spese a valere sui
fondi suddetti, realizzerebbero un’operazione incostituzionale,
allorche’ prevedono che i maggiori oneri derivanti dall’applicazione
del comma 1 dell’art. 5-bis siano posti a carico anche delle Regioni
escluse dall’obiettivo convergenza. La normativa in esame infatti
confermerebbe in ogni caso l’obbligo di garantire gli equilibri di
finanza pubblica, cosicche’ le piu’ ampie possibilita’ di spesa
riconosciute alle cinque Regioni in obiettivo convergenza andranno
compensate con i maggiori oneri che sono accollati anche alle
restanti Regioni.
Secondo la ricorrente la previsione in esame si tradurrebbe in
una violazione dell’art. 119, terzo e quinto comma, Cost. per le
seguenti ragioni.
L’incidenza della spesa gravante sui fondi destinati alle aree
sottosviluppate sarebbe molto piu’ elevata per le cinque Regioni
comprese nell’obiettivo convergenza rispetto a quella delle altre
Regioni (12.350,636 milioni di euro per le cinque Regioni, rispetto a
4.675,955 milioni di euro per tutto il centro-nord, come si evince
dalla delibera n. 80 del 2011 del Comitato interministeriale per la
programmazione economica – CIPE – adottata in data 11 gennaio 2011 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie
generale, n. 80 del 7 aprile 2011, contenente la tabella delle
risorse dei fondi per le aree sottosviluppate – F.A.S., anni
2007-2013, destinate alle Regioni). Ne consegue che riequilibrare lo
sforamento del tetto del patto di stabilita’ rispetto a tale ingente
cifra determinera’ rilevanti oneri per le Regioni del centro-nord, in
violazione dell’art. 119, terzo comma, Cost.
Lo Stato inoltre imporrebbe, illegittimamente, una forma del
tutto impropria di solidarieta’ tra le Regioni, al di fuori dello
strumento della perequazione, cosi’ come disciplinato dall’art. 119,
terzo comma, Cost., secondo cui: «la legge dello Stato istituisce un
fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con
minore capacita’ fiscale per abitante», strumento gia’ compiutamente
delineato dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della
Costituzione).
Secondo la Regione Toscana, lo Stato, ai sensi dell’art. 119,
quinto comma, Cost., avrebbe il potere-dovere di promuovere lo
sviluppo economico e di rimuovere gli squilibri economici e sociali
che affliggono determinati territori e proprio a questi scopi
potrebbe destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi
speciali. Ma, tuttavia, gli strumenti per l’attuazione dell’articolo
119 Cost. sarebbero stati piu’ correttamente definiti dall’art. 16
della legge n. 42 del 2009, che infatti al comma 1, lettere a) ed e),
la’ dove detta i limiti per il legislatore delegato, stabilisce che
detti contributi speciali siano utilizzati secondo obiettivi e
criteri definiti d’intesa con la Conferenza unificata, ma pur sempre
restando essi a carico del bilancio dello Stato. Evidenzia in
proposito la Regione ricorrente che neppure il decreto legislativo 31
maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed
interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e
sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42),
emanato nell’esercizio della delega legislativa, prevederebbe
meccanismi di redistribuzione degli oneri finanziari in alcun modo
assimilabili a quelli oggetto della contestata disposizione.
Sarebbe dunque del tutto evidente, prosegue il ricorso, che con
l’articolo 5-bis del d.l. n. 138 del 2011 si sia costruito un
meccanismo negativo, in cui la spesa per gli investimenti finalizzati
allo sviluppo di alcune Regioni viene posta a carico delle altre; ma,
secondo il dettato costituzionale, gli oneri necessari allo sviluppo
delle Regioni meno avanzate dovrebbero essere sostenuti dallo Stato,
ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost. In sostanza, la
solidarieta’ tra le Regioni potrebbe e dovrebbe trovare realizzazione
mediante uno strumento ben preciso, indicato dall’art. 119, terzo
comma, Cost., ossia il fondo perequativo.
L’articolo 5-bis invece, secondo quanto assunto dalla ricorrente,
contrasterebbe sia con il terzo che con il quinto comma dell’art. 119
Cost. Al riguardo, la Regione Toscana precisa inoltre che
l’incostituzionalita’ della norma non potrebbe ritenersi superabile
per il fatto che anche lo Stato concorrera’ ai maggiori oneri, ne’
tanto meno in ragione della previsione dell’intesa in sede di
Conferenza Stato-Regioni per il riparto tra le varie Regioni di detti
oneri: a quest’ultimo proposito, infatti, la ricorrente osserva che
l’intesa non interverrebbe sull’an dell’attribuzione alle Regioni
estranee all’"obiettivo convergenza" dei maggiori oneri, ma
riguarderebbe esclusivamente le modalita’ di attribuzione a ciascuna
Regione di detti maggiori oneri, vertendosi quindi solo in punto di
quantum e fermo restando, in ogni caso, «il rispetto dei tetti
complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle
predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza
pubblica per l’anno di riferimento». In altri termini, non potrebbe
ritenersi sufficiente la previsione da parte del legislatore statale
dell’intesa con le Regioni in quanto, nel caso di specie, l’intesa
consentirebbe alle stesse di intervenire solo sulle modalita’ di
attribuzione alle Regioni dei maggiori oneri, mentre sono proprio
questi che si assumono costituzionalmente illegittimi.
Non sarebbe in definitiva ammissibile, secondo la Regione
Toscana, che, ricorrendo ad uno strumento quale l’intesa in
Conferenza Stato-Regioni (sede in cui si realizza la collaborazione e
la concertazione istituzionale, non pero’ lo stravolgimento di ogni
regola e competenza), lo Stato possa eludere i propri doveri
costituzionali, riversandone la responsabilita’ sulle Regioni e
ponendole in competizione tra loro sul delicatissimo terreno dello
sviluppo.
2. – La Regione Veneto, in persona del Presidente pro-tempore,
autorizzato dalla Giunta regionale con delibera dell’8 novembre 2011,
n. 1790, ha impugnato vari articoli del d.l. n. 138 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, e tra
queste dell’art. 5-bis, denunciando la violazione degli artt. 5 e
119, terzo e quinto comma, Cost.
2.1. – Con riguardo all’art. 5-bis, sostiene la ricorrente che lo
scopo dell’intervento normativo, apparentemente indirizzato a
predisporre strumenti di sviluppo territoriale corredati dalle
necessarie modalita’ di perequazione finanziaria, si risolverebbe, in
sostanza, nell’introduzione di misure speciali, dichiaratamente di
favore e per cio’ stesso sperequative, destinate soltanto ad alcune
Regioni – che gia’ versano in grave difficolta’ finanziaria ed
istituzionale e quindi meno "virtuose" – mediante un meccanismo di
finanziamento indiretto a destinazione vincolata.
Prosegue la Regione Veneto che, secondo quello che pare essere la
corretta interpretazione della disposizione, tale modalita’ di
finanziamento indiretto consisterebbe nella possibilita’, accordata
alle «regioni dell’obiettivo convergenza (…) e del piano per il
sud», di eccedere in termini di competenza e di cassa i limiti di
spesa posti dalla legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilita’ 2011), a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e
la coesione di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 88 del 2011.
Siffatta impostazione, secondo la ricorrente, si porrebbe in
insanabile contrasto con l’art. 119 Cost., che sancisce il principio
della piena responsabilita’ finanziaria gravante su ciascun ente in
relazione alle funzioni di cui e’ tributario. E tale inderogabile
principio varrebbe, a fortiori, per quelle Regioni, come il Veneto,
che, lungi dall’essere tra le possibili destinatarie del
finanziamento indiretto con vincolo di destinazione, proprio perche’
"virtuose", saranno tenute comunque a contribuire ai maggiori oneri
derivanti dalla deroga ai tetti di spesa fissati dalla legge di
stabilita’ 2011.
L’art. 119 Cost., espone la ricorrente, riconosce agli enti che
compongono la Repubblica, e tra questi certamente alle Regioni,
autonomia finanziaria di entrata e di spesa e disegna il sistema di
finanziamento delle funzioni loro attribuite, limitando drasticamente
la possibilita’ che lo Stato possa disporre fondi di finanziamento a
favore delle autonomie regionali e locali. La norma della Carta
fondamentale, infatti, prosegue la ricorrente, legittimerebbe
formalmente soltanto due tipologie di fondi statali.
Alla prima di dette tipologie sarebbe riconducibile il fondo
perequativo, privo di vincoli di destinazione, di cui al terzo comma
dell’art. 119 Cost., utilizzabile per le amministrazioni con minore
capacita’ fiscale per abitante e cumulabile alle entrate ed ai
tributi propri delle amministrazioni medesime, unitamente alla
compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al
territorio di pertinenza, ai sensi dell’art. 119, secondo comma,
Cost. Tutti tali cespiti finanziari sono ordinariamente destinati a
finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a Regioni
ed enti locali ai sensi del quarto comma dell’art. 119 medesimo.
L’altra tipologia, prosegue la Regione Veneto, consisterebbe
nelle «risorse aggiuntive» e negli «interventi speciali» previsti in
favore di determinate Regioni, Province, Citta’ metropolitane,
Comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e
la solidarieta’ sociale, (…) rimuovere gli squilibri economici e
sociali, (…) favorire l’effettivo esercizio dei diritti della
persona, (…) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni», ai sensi del quinto comma dell’art. 119 Cost.
In relazione a quanto sopra, sembra corretto alla ricorrente
concludere che l’intervento legislativo specificamente impugnato non
possa essere annoverato, non possedendone le caratteristiche, ne’ tra
i fondi perequativi, ne’ tra quegli speciali stanziamenti di cui al
quinto comma dell’art. 119 Cost. Conseguentemente, non trovando
collocazione nella norma della Carta fondamentale, l’art. 5-bis di
cui si tratta dovrebbe considerarsi incompatibile con l’art. 119
Cost., cosi’ come innovato per effetto della recente riforma che ha
interessato il Titolo V.
In altri termini, la Regione Veneto reputa che l’ingiustificato
privilegio – accordato ad alcune Regioni che gia’ beneficiano della
facolta’ di attingere ai fondi comunitari – di superare i limiti di
spesa imposti dal sistema finanziario interno a tutela della
stabilita’ economica snaturi e sradichi il nesso istituzionalmente e
giuridicamente inscindibile tra attribuzione delle risorse ed
esercizio delle funzioni, rischiando di tradursi in un’elargizione ad
hoc perseguita con modalita’ indirette. La stessa Corte
costituzionale avrebbe gia’ avuto modo di vagliare tale modalita’ di
intervento, censurando l’introduzione nell’ordinamento di qualsiasi
strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato
nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali e di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a
quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di
propria competenza (si cita la sentenza n. 16 del 2004).
2.2. – La Regione Veneto evidenzia inoltre, come ulteriore
profilo di illegittimita’ della norma impugnata, l’irrazionale
preferenza riconosciuta alle sole «regioni dell’obiettivo convergenza
(…) e del piano per il sud», che si concreterebbe in meccanismi
forieri di un’ingiustificata e percio’ iniqua diseguaglianza, tali da
minare nella sostanza la stessa unita’ ed indivisibilita’ dello Stato
sancita all’art. 5 Cost. La previsione oggetto di impugnazione, per i
considerevoli contenuti discriminatori che presenterebbe, viene
quindi ritenuta dalla ricorrente in insanabile contrasto con il
principio di responsabilita’ finanziaria, che, allo scopo di impedire
il protrarsi di situazioni di sperpero e non corretto impiego delle
risorse provenienti dalla fiscalita’ generale, precluderebbe allo
Stato la possibilita’ di attribuire risorse aggiuntive ai soggetti
istituzionali che abbiano oltrepassato i limiti finanziari consentiti
ovvero che non abbiano utilizzato le disponibilita’ economiche loro
attribuite secondo le regole di buona amministrazione.
2.3. – Secondo la Regione Veneto, conclusivamente, la condizione
di privilegio riservata dalla disposizione in esame ad alcune Regioni
in ordine all’obbligo di rispetto dei limiti di spesa, non si
fonderebbe, infatti, su valutazioni oggettive afferenti a determinate
carenze infrastrutturali o immateriali che, in termini generali,
potrebbero legittimare l’intervento legislativo di favore, rendendo
accettabili eventuali misure perequative necessarie a sostegno
dell’unita’ nazionale. Al contrario, sostiene la ricorrente, la
norma, basandosi su di una irragionevole ed apodittica quanto
ingiustificata presunzione di inferiorita’ infrastrutturale
presupposta in alcune Regioni, verrebbe ad esacerbare il dislivello
giuridico e finanziario, alterando le corrette relazioni
istituzionali e cosi’ rendendo del tutto illegittimo quell’obbligo di
ripianamento, posto a carico delle restanti Regioni. Cio’ si
tradurrebbe in un altrettanto illegittimo depauperamento finanziario
ed istituzionale, tenuto conto che le risorse destinate alla
perequazione provengono necessariamente dai fondi altrimenti
destinati all’esercizio delle funzioni di competenza.
3. – La Regione autonoma Sardegna, in persona del suo Presidente
pro-tempore, autorizzato dalla Giunta regionale con delibera del 10
novembre 2011, n. 45, ha proposto impugnazione di alcuni articoli del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011 e, tra questi, dell’art. 5-bis, denunciando la
violazione degli artt. 3 e 119, terzo e quinto comma, Cost.
Con riferimento all’art. 5-bis, evidenzia la ricorrente di essere
tra le otto Regioni incluse nel c.d. "piano nazionale per il sud",
ossia nel programma di attivita’ strategiche che il Governo ha varato
nel novembre del 2010, proponendosi il fine – come si legge nella
relazione esplicativa del piano – di «creare nel Mezzogiorno un
ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate al pieno dispiegamento
delle sue potenzialita’ di sviluppo», a fronte del «divario di
sviluppo tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese (…) da oltre 40
anni immutato nelle sue dimensioni quantitative» e del «divario nel
Pil pro capite del Mezzogiorno rispetto al Centro Nord (…) oggi
all’incirca uguale a quello degli anni ’60». Al contrario, prosegue
la ricorrente, essa non e’ inclusa tra quelle che possono partecipare
al c.d. "obiettivo convergenza" dell’Unione europea – varato con il
regolamento della Comunita’ europea 11 luglio 2006, n. 1083/2006
(Regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo
europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo
di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999) al fine di
promuovere una maggiore armonizzazione e coerenza nell’utilizzo dei
fondi strutturali europei (la ricorrente richiama, a questo
proposito, il "considerando" n. 9 del citato Regolamento) – in quanto
non rientrerebbe nei parametri stabiliti in base al «sistema comune
di classificazione delle regioni» introdotto dal regolamento del
Parlamento europeo e del Consiglio n. 1059/2003 del 26 maggio 2003
(Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo
all’istituzione di una classificazione comune delle unita’
territoriali per la statistica – NUTS), ex art. 5 del regolamento
(CE) n. 1083/2006. Per effetto della disposizione impugnata, le
Regioni non inserite nell’"obiettivo convergenza", ma che presentano,
comunque, quella situazione di mancato sviluppo che ne ha determinato
l’inserimento nel "piano nazionale per il sud", come e’ il caso della
Sardegna, non solo non si vedono riconoscere i benefici di cui al
comma 1 del medesimo articolo 5-bis, ma subiscono anche i pregiudizi
derivanti dal comma 2, trovandosi obbligate a cofinanziare le risorse
destinate al sostegno di altre Regioni alle quali, comunque, sono
accomunate da una condizione di arretratezza rispetto agli indicatori
di sviluppo nazionali.
Per quanto sopra la ricorrente ritiene che la disposizione in
esame:
– violi l’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparita’ di
trattamento, in quanto considera in maniera diversa Regioni ed aree
del Paese che presentano gli stessi gravi problemi di mancato
sviluppo sociale ed economico;
– violi l’art. 3 Cost. anche sotto il profilo
dell’irragionevolezza, in quanto, al fine di colmare le
diseguaglianze strutturali tra le diverse aree del Paese, richiede
maggiori oneri a Regioni che lo stesso Stato ha ritenuto, con il
"piano nazionale per il sud", meritevoli di beneficiare di un
particolare sforzo di sostegno sociale ed economico;
– violi, infine, il terzo ed il quinto comma dell’art. 119 Cost.,
in quanto aggrava le diseguaglianze tra Regioni ed aree del Paese
arretrate quanto alle condizioni di sviluppo, contrastando in maniera
frontale con i principi di perequazione, coesione e solidarieta’
sociale ivi previsti.
4. – Si e’ costituito in tutti i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato.
4.1. – Con riguardo ai motivi del ricorso proposto dalla Regione
Toscana, la difesa erariale ha anzitutto richiamato, quali fondamenti
dell’esercizio della potesta’ legislativa espressa dalla norma
impugnata, i principi posti dagli artt. 117, terzo comma, e 119,
secondo comma, Cost., dai quali si evincerebbe che in materia di
coordinamento di finanza pubblica la determinazione dei principi
fondamentali e’ riservata alla legislazione statale, anche al fine di
perseguire gli obiettivi concordati in sede di Unione europea
(sentenza n. 35 del 2005).
Inoltre, secondo la difesa erariale, non vi sarebbero dubbi sulle
finalita’ della norma, volta al contenimento della spesa pubblica ed
al risanamento del debito, che costituiscono obiettivi al cui
perseguimento sono tenute a collaborare anche le Regioni, se del caso
tramite l’imposizione di vincoli di bilancio tesi al coordinamento
finanziario (sentenze n. 237 e n. 284 del 2009).
Il Presidente del Consiglio evidenzia che il quadro
costituzionale di riferimento, quale descritto nel ricorso della
Regione Toscana, non potrebbe piu’ essere considerato del tutto
attuale o immutabile, tenuto conto dell’approvazione del disegno di
legge costituzionale per l’obbligo di pareggio del bilancio, a
modifica degli artt. 81, 100, 117 e 119 Cost. In altri termini, si
dovrebbe tener conto di un processo in corso per la valorizzazione
dei principi di sostenibilita’ del debito di tutte le pubbliche
amministrazioni e del correlato vincolo di pareggio del bilancio. In
secondo luogo, non potrebbero essere rinvenuti nell’art. 119 Cost.,
cosi’ come costantemente interpretato nella giurisprudenza
costituzionale, i limiti invocati dalle ricorrenti all’adozione del
sistema di solidarieta’ tra Regioni cosi’ come introdotto dall’art.
5-bis in esame. Osserva difatti la difesa erariale che nel sistema
delineato dall’art. 119 Cost. le funzioni pubbliche regionali e
locali devono essere interamente finanziate attraverso le risorse
derivanti da compartecipazioni, tributi propri e fondo perequativo,
secondo quanto stabilito dal quarto comma, mentre i finanziamenti
speciali (di natura perequativa), previsti dal quinto comma, sono
costituiti da risorse eventuali ed aggiuntive e devono riferirsi a
finalita’ di perequazione e di garanzia diverse dal normale
esercizio, oltre a doversi indirizzare a specifici enti locali o a
categorie di essi (sentenze n. 370 del 2003, n. 16 del 2004, n. 49
del 2004).
Il Presidente del Consiglio rammenta inoltre che il giudice delle
leggi, nella sentenza n. 37 del 2004, ha rilevato espressamente che
«(…) l’attuazione di questo disegno costituzionale richiede pero’
come necessaria premessa l’intervento del legislatore statale, il
quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovra’
non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno
attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema
tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potra’
esplicarsi la potesta’ impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni
ed enti locali (…) poiche’ non e’ ammissibile, in materia
tributaria, una piena esplicazione di potesta’ regionali autonome in
carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal
Parlamento nazionale, si deve tuttora ritenere preclusa alle Regioni
(se non nei limiti ad esse gia’ espressamente riconosciuti dalla
legge statale) la potesta’ di legiferare sui tributi esistenti,
istituiti e regolati da leggi statali (sentenze n. 296 del 2003 e n.
297 del 2003); e per converso si deve ritenere tuttora spettante al
legislatore statale la potesta’ di dettare norme modificative, anche
nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti».
L’intervento normativo de quo, non discostandosi dai limiti tracciati
dalla giurisprudenza costituzionale, sarebbe quindi da ritenersi
immune dalle censure sollevate.
4.2. – Con riferimento all’impugnazione proposta dalla Regione
Veneto, il Presidente del Consiglio obietta inoltre che l’art. 5-bis
non introdurrebbe un nuovo tipo di fondo, non previsto dall’art. 119
Cost. Al contrario, esso prevederebbe una particolare modalita’ di
quantificazione delle spese imputabili al fondo per lo sviluppo e la
coesione, nonche’ ai cofinanziamenti nazionali di interventi dei
fondi comunitari a finalita’ strutturale. Non si introdurrebbe in tal
modo una generalizzata deroga ai limiti di spesa previsti dalla legge
di stabilita’ per il 2011. La disposizione impugnata, infatti,
secondo la difesa erariale, non autorizzerebbe sic et simpliciter le
Regioni interessate a superare tali limiti nell’impegnare spese
imputabili alle fonti suddette. Al contrario, essa subordinerebbe
(comma 2) tale possibilita’ alla determinazione di precisi "limiti
finanziari" da stabilire d’intesa tra lo Stato e tutte le Regioni e
Province autonome; e, comunque, ribadisce che l’applicazione del
comma 1 non potra’ in nessun caso comportare il superamento del tetto
massimo di concorso finanziario dello Stato e delle Regioni non
interessate, stabilito dalla legge di stabilita’. Ne deriverebbe, in
tale prospettiva, che il superamento dei limiti dovra’ quindi
avvenire "a saldi invariati".
Oltre a cio’, la difesa erariale evidenzia che, in seguito
all’adozione della norma impugnata, con l’art. 32, comma 4, lettera
n), della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge
di stabilita’ 2012)», si e’ stabilito che siano escluse dal patto di
stabilita’ regionale «le spese a valere sulle risorse del fondo per
lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali di
fondi comunitari a finalita’ strutturale e sulle risorse individuate
ai sensi di quanto previsto dall’art. 6-sexies d.l. 25 giugno 2008,
n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, subordinatamente e nei limiti previsti dal decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze di cui all’art. 5-bis comma 2 del d.l.
13 agosto 2011 n. 138 conv. con modificazioni dalla legge 14
settembre 2011 n. 148».
Ne conseguirebbe che, per effetto di tale disposizione, tutte le
spese imputabili alle fonti contemplate dal comma 1 dell’art. 5-bis
del d.l. n. 138 del 2011 sono ora sottratte ai vincoli del patto di
stabilita’ e che tale sottrazione vale per tutte le Regioni, purche’
siano rispettate le condizioni fissate dal decreto ministeriale
previsto dal comma 2 dello stesso articolo.
In definitiva, secondo il Presidente del Consiglio, per effetto
di quanto disposto dal predetto art. 32, comma 4, lettera n), della
legge di stabilita’ per il 2012, la questione dovrebbe ritenersi
superata.
4.3. – Relativamente all’impugnazione della Regione autonoma
Sardegna, la difesa erariale evidenzia che anche le doglianze di
detta ricorrente potrebbero considerarsi superate per effetto del
citato art. 32, comma 4, lettera n), della legge n. 183 del 2011.
Osserva difatti che tale disposizione, la cui formulazione e’ stata
condivisa dalle stesse autonomie regionali, consente di estendere a
tutte le Regioni, e non solo a quelle ricomprese nell’"obiettivo
convergenza", le esclusioni in parola, fermi restando i limiti da
stabilire con il predetto decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica.
5. – Con memorie depositate in vista dell’udienza pubblica, le
Regioni Toscana e Sardegna hanno replicato alle difese erariali.
5.1. – In particolare, la Regione Toscana ha osservato che mentre
il fondo perequativo sarebbe finalizzato a realizzare l’inderogabile
solidarieta’ tra le Regioni, nella fattispecie in esame si sarebbe
tuttavia creato un meccanismo inammissibile, che introduce elementi
di solidarieta’ interregionale al di fuori di tutti i parametri
previsti dall’art. 119, terzo comma, Cost., nel quadro degli
interventi finalizzati allo sviluppo, attualmente disciplinati nel
quinto comma dell’art. 119 Cost. A tal fine, ricorda la ricorrente
che il d.lgs. n. 88 del 2011, istitutivo del Fondo per lo sviluppo e
la coesione, e’ intitolato proprio «Disposizioni in materia di
risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di
squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5
maggio 2009, n. 42». Ne’, secondo la ricorrente, a giustificazione di
tale operazione potrebbe addursi il fatto che a questo scopo si
utilizzino strumenti – quali il patto di stabilita’ ed il
contenimento della spesa pubblica – di matrice comunitaria e
rientranti nella potesta’ legislativa statale di coordinamento della
finanza pubblica, posto che essi per loro natura dovrebbero avere
un’applicazione uniforme (o, quantomeno, non penalizzante per alcune
Regioni). La stessa sentenza della Corte costituzionale n. 284 del
2009, citata dalla difesa erariale a sostegno delle proprie tesi,
confermerebbe invece, secondo la ricorrente, l’illegittimita’ del
meccanismo di cui all’art. 5-bis in esame, allorche’ – in ordine alla
censura avverso l’articolo 77, comma 1, del decreto legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, che, che imponeva
all’intero settore regionale il concorso alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009-2011 – la Corte ha
affermato che «la norma impugnata non introduce alcuna
discriminazione tra Regioni con differenti gradi di sviluppo, ma si
limita a porre un vincolo generale per l’intero settore regionale.
Gli interventi statali fondati sulla differenziazione tra Regioni,
volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire
le modalita’ fissate dall’art. 119, quinto comma, Cost., senza
alterare i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica, che
non possono che essere uniformi».
Neppure conferente, secondo la ricorrente, sarebbe il riferimento
agli interventi legislativi sulla potesta’ tributaria regionale, che
non avrebbe alcun rilievo nella fattispecie in esame.
Infine, il richiamo al principio del c.d. "pareggio di bilancio"
evidenzierebbe ulteriormente i profili di illegittimita’ della norma
prospettati dalla Regione Toscana con il proprio ricorso: il dovere,
sancito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione
del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale),
di assicurare "l’equilibrio tra spese ed entrate" sarebbe riferito
allo Stato ed a tutte le altre pubbliche amministrazioni, comprese le
Regioni, ma ognuno limitatamente al proprio bilancio. Diversamente,
la norma in esame, creerebbe una sorta di compensazione (da ritenersi
non conforme a Costituzione) tra bilanci di Regioni diverse,
allorche’ prevede che i maggiori oneri derivanti dall’applicazione
del comma 1 dell’art. 5-bis siano posti a carico (anche) delle
Regioni escluse dall’"obiettivo convergenza".
In sostanza, conclude la ricorrente, sarebbe del tutto evidente
che con l’art. 5-bis del d.l. n. 138 del 2011 venga costruito un
meccanismo negativo, in cui la spesa per gli investimenti finalizzati
allo sviluppo di alcune Regioni e’ posta a carico delle altre. Ma, si
osserva, secondo il dettato costituzionale le risorse necessarie allo
sviluppo delle Regioni meno avanzate o andrebbero reperite dallo
Stato, ai sensi dell’articolo 119, quinto comma, Cost., oppure
dovrebbero essere rinvenute attraverso il meccanismo della
solidarieta’ tra le Regioni, nell’unica forma indicata dall’art. 119,
terzo comma, Cost., ossia il fondo perequativo.
5.2. – La Regione autonoma Sardegna, nella propria memoria,
contesta l’affermazione della difesa dello Stato che sostiene il
superamento delle doglianze regionali in ragione della sopravvenienza
dell’art. 32, comma 4, lettera n), della legge n. 183 del 2011. Se,
difatti, e’ vero, argomenta la ricorrente, che l’art. 32, comma 4,
della legge n. 183 del 2011 prevede che «il complesso delle spese
finali di cui ai commi 2 e 3 e’ determinato, sia in termini di
competenza sia in termini di cassa, dalla somma delle spese correnti
e in conto capitale risultanti dal consuntivo al netto» di una serie
di capitoli di bilancio, tra i quali, come ricorda l’Avvocatura
erariale, vi e’ quella relativa alle spese a valere sulle risorse del
fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, subordinatamente e nei
limiti previsti dal decreto di cui al comma 2 dell’art. 5-bis,
d’altra parte si obietta che i commi 2 e 3 del medesimo art. 32 della
legge di stabilita’ 2012 fanno riferimento, rispettivamente, al
«complesso delle spese finali in termini di competenza finanziaria di
ciascuna Regione a statuto ordinario» ed al «complesso delle spese
finali in termini di cassa di ciascuna Regione a statuto ordinario».
La lettura della disposizione, secondo la ricorrente, farebbe
intendere che tale detrazione, rilevante ai fini del calcolo del
complesso delle spese finali, sia rilevante solo per le Regioni a
statuto ordinario, dunque non per quelle a statuto speciale.
Ma anche nel caso in cui tale detrazione, in virtu’ di
un’interpretazione costituzionalmente orientata, si dovesse
considerare prevista anche per queste ultime, secondo la Regione
autonoma Sardegna l’esclusione dal patto di stabilita’ delle spese
necessarie per finanziare gli oneri imposti dalla disposizione
censurata non sarebbe comunque idonea a fugare tutti i vizi
d’illegittimita’ della disposizione gia’ evidenziati nelle precedenti
difese, ed, anzi, li confermerebbe: il fatto che gli oneri imposti
alle Regioni che non rientrano nell’"obiettivo convergenza" non siano
contabilizzati agli effetti del patto di stabilita’ non esclude certo
che la Regione autonoma Sardegna non debba comunque impiegare proprie
risorse appunto per finanziare tali oneri. In altri termini, si
conclude, il problema sollevato dalla Sardegna col proprio ricorso
non atteneva a circostanze contabili, seppure legate al meccanismo
del patto di stabilita’, bensi’, piu’ semplicemente, all’onere
finanziario che grava sulla Regione. Si tratterebbe quindi di un
onere economico-finanziario lesivo dell’autonomia di detta
ricorrente, profilo su cui lo Stato non avrebbe svolto deduzioni.

Considerato in diritto

1. – Vengono all’esame di questa Corte tre ricorsi,
rispettivamente proposti dalla Regione Toscana (ric. n. 133 del
2011), dalla Regione Veneto (ric. n. 145 del 2011) e dalla Regione
autonoma Sardegna (ric. n. 160 del 2011), le quali hanno promosso
questioni di legittimita’ costituzionale nei confronti di numerose
disposizioni del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Riservate a separate pronunce le decisioni sull’impugnazione
delle altre norme contenute nel suddetto decreto-legge, vengono
decise in questa sede le questioni relative all’articolo 5-bis.
Detta disposizione, introdotta con la legge di conversione e
rubricata sotto il nomen iuris «Sviluppo delle regioni dell’obiettivo
convergenza e realizzazione del piano sud», stabilisce al comma 1 che
la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente
da ciascuna delle cinque Regioni inserite nell’"obiettivo
convergenza" (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), per
quel che concerne i cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a
finalita’ strutturale e comunque le risorse per lo sviluppo e la
coesione di cui all’art. 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n.
88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi
speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma
dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42), possa eccedere i
limiti di spesa imposti dal patto di stabilita’ interno. Il
successivo comma 2 prevede che, al fine di salvaguardare gli
equilibri di finanza pubblica, un decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le
regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di
ogni anno, stabilisca i limiti finanziari per l’attuazione del comma
1, nonche’ le modalita’ di attribuzione allo Stato e alle restanti
Regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il
rispetto dei tetti complessivi afferenti al patto di stabilita’ e
agli obiettivi di finanza pubblica per l’anno di riferimento.
Dopo la presentazione dei ricorsi e’ stato emanato l’art. 32,
comma 4, lettera n), della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato. (Legge di stabilita’ 2012)», il quale ha previsto che
siano escluse dal patto di stabilita’ regionale le «spese a valere
sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui
cofinanziamenti nazionali di fondi comunitari a finalita’ strutturale
e sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall’art.
6-sexies del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, subordinatamente e
nei limiti previsti dal decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze di cui all’art. 5-bis, comma 2, del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011, n. 148».
1.1. – Secondo la Regione Toscana la norma impugnata violerebbe
l’art. 119, terzo comma, della Costituzione, introducendo una forma
di solidarieta’ tra le Regioni al di fuori degli istituti
perequativi, cosi’ come concepiti dalla predetta norma costituzionale
e dalla conforme disciplina attuativa contenuta nella legge 5 maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione). La disposizione
sarebbe altresi’ in contrasto con l’art. 119, quinto comma, Cost.,
istituendo un meccanismo di spesa per gli investimenti destinati allo
sviluppo di alcune Regioni gravante sulle altre, mentre la norma
costituzionale stabilisce che gli oneri necessari per la rimozione
degli squilibri economico-sociali e la promozione dello sviluppo
economico delle Regioni meno avanzate devono essere sostenuti dallo
Stato.
Anche l’articolo 16 della precitata legge n. 42 del 2009
stabilirebbe al comma 1, lettere a) ed e), che i contributi speciali
siano utilizzati secondo obiettivi e criteri definiti d’intesa con la
Conferenza unificata, ma pur sempre restando essi a carico del
bilancio dello Stato.
1.2. – Secondo la Regione Veneto l’art. 5-bis violerebbe l’art.
119, terzo e quinto comma, Cost., in quanto esso sancisce il
principio della piena responsabilita’ finanziaria gravante su ciascun
ente territoriale in relazione alle funzioni di cui e’ titolare,
prevedendo solo due ipotesi di perequazione, entrambe a carico dello
Stato: il fondo perequativo, privo di vincoli di destinazione, di cui
al terzo comma dell’art. 119 Cost., nonche’ le «risorse aggiuntive» e
gli «interventi speciali» previsti in favore di determinate Regioni,
Province, Citta’ metropolitane, Comuni, al fine di «promuovere lo
sviluppo economico, la coesione e la solidarieta’ sociale, (…)
rimuovere gli squilibri economici e sociali, (…) favorire
l’effettivo esercizio dei diritti della persona, (…) provvedere a
scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni», ai sensi
dell’art. 119, quinto comma, Cost. La norma impugnata sarebbe inoltre
in contrasto con l’art. 5 Cost., introducendo un sistema produttivo
di ingiustificato privilegio e diseguaglianza a vantaggio delle
Regioni meno "virtuose", basato su una mera presunzione di
"inferiorita’ strutturale". In tal modo verrebbe accentuato il
dislivello giuridico e finanziario delle situazioni esistenti nei
diversi contesti regionali.
1.3. – La Regione autonoma Sardegna ritiene che l’art. 5-bis sia
in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparita’ di
trattamento, in quanto considererebbe in maniera diversa Regioni e
aree del Paese – come la medesima Sardegna – ove si presentano
analoghi e non inferiori problemi di mancato sviluppo sociale ed
economico, e sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto, al
fine di colmare le diseguaglianze strutturali tra le diverse aree del
Paese, verrebbero imposti maggiori oneri a Regioni come la
ricorrente, che lo stesso Stato ha ritenuto, con il "piano nazionale
per il sud", meritevoli di beneficiare di un particolare sforzo di
sostegno sociale ed economico.
Anche secondo la Sardegna la norma impugnata sarebbe in contrasto
con l’art. 119, terzo e quinto comma, Cost., in quanto, facendo
gravare l’onere economico-finanziario relativo agli interventi
previsti dall’"obiettivo convergenza" sulle Regioni escluse, ma
parimenti versanti in uno stato di mancato sviluppo socio-economico,
aggraverebbe le diseguaglianze tra Regioni ed aree del Paese
arretrate quanto alle condizioni di sviluppo, contrastando con il
principio di perequazione, coesione e solidarieta’ sociale ivi
previsto.
1.4. – Le difese dell’Avvocatura dello Stato si incentrano sul
preteso carattere di coordinamento della finanza pubblica della norma
impugnata, la quale sarebbe emanata nell’ambito dei principi sanciti
all’art. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.
La norma sarebbe volta al contenimento della spesa pubblica ed al
risanamento del debito, obiettivi al cui perseguimento sono tenute a
collaborare anche le Regioni.
Secondo l’Avvocatura non sarebbero rinvenibili nell’art. 119
Cost., cosi’ come costantemente interpretato nella giurisprudenza
costituzionale, i limiti, ex adverso invocati, all’adozione del
sistema di solidarieta’ tra Regioni, introdotto dall’art. 5-bis in
esame.
Lo Stato obietta altresi’ che l’art. 5-bis non introdurrebbe un
nuovo tipo di fondo rispetto alle previsioni dell’art. 119 Cost. ma
sarebbe un’applicazione conseguente alla regola di indefettibilita’
dei saldi finanziari stabiliti in sede di determinazione del patto di
stabilita’ interno.
Inoltre, per effetto dell’art. 32, comma 4, lettera n), della
legge n. 183 del 2011, il regime di deroga ai vincoli del patto di
stabilita’ sarebbe allargato a tutte le Regioni titolari di risorse
imputabili alle fonti contemplate dal comma 1 dell’art. 5-bis del
decreto-legge, a condizione che siano rispettate le modalita’ fissate
dal decreto ministeriale previsto dal comma 2 dello stesso articolo.
Secondo il Presidente del Consiglio, per effetto di quanto disposto
dal predetto art. 32, comma 4, lettera n), della legge di stabilita’
per il 2012, la questione dovrebbe ritenersi superata.
2. – Alla luce delle richiamate argomentazioni va preliminarmente
disposta la riunione dei tre ricorsi, attesa la loro connessione
oggettiva e la sostanziale coincidenza delle censure prospettate, al
fine di un’unica pronunzia.
3. – Ancora in via preliminare, deve essere valutata
l’ammissibilita’ dei ricorsi in riferimento all’invocato parametro di
cui all’art. 119 Cost.
L’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 9 febbraio
1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita’ costituzionale e sulle
garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale), prevede che
«Quando una Regione ritenga che una legge od atto avente forza di
legge della Repubblica invada la sfera della competenza ad essa
assegnata dalla Costituzione, puo’, con deliberazione della Giunta
regionale, promuovere l’azione di legittimita’ costituzionale davanti
alla Corte nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione della legge o
dell’atto avente forza di legge». L’art. 32 della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), prevede che «la questione della legittimita’
costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello
Stato puo’ essere promossa dalla Regione che ritiene dalla legge o
dall’atto invasa la sfera della competenza assegnata alla Regione
stessa dalla Costituzione e da leggi costituzionali». L’art. 127,
secondo comma, Cost. statuisce che «la Regione, quando ritenga che
una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra
Regione leda la sua sfera di competenza, puo’ promuovere la questione
di legittimita’ costituzionale».
Alla luce delle suddette disposizioni devono essere scrutinate le
censure mosse dalle ricorrenti alla disposizione in esame: dal
richiamato quadro normativo si ricava come la loro legittimazione a
ricorrere sia strettamente ancorata alla finalita’ di salvaguardia
della suddivisione competenziale delineata dalla Costituzione. Nel
caso in esame, la sfera di competenza invasa non e’ precisata con
riferimento al riparto operato dall’art. 117 Cost., ma viene
lamentata la compressione dell’autonomia finanziaria di cui all’art.
119 Cost., la quale ridonderebbe sull’esercizio delle competenze
regionali.
Da cio’ consegue che in tale contesto debba essere anche
verificata la sussistenza di un interesse ad agire concreto ed
attuale consistente in quella utilita’ diretta ed immediata che il
soggetto attore puo’ effettivamente ottenere con l’accoglimento del
ricorso. Infatti, con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 119
Cost., questa Corte ha gia’ avuto modo di negare la sussistenza di
«una astratta idoneita’ della disciplina in contestazione ad influire
sull’autonomia finanziaria delle Regioni» (sentenza n. 216 del 2008).
In quella occasione, peraltro, la questione, dichiarata
inammissibile, ineriva ad un intervento «effettuato con oneri a
carico della fiscalita’ generale, sicche’ la eventuale caducazione di
tali norme non comporterebbe» – stante l’assenza di un fondo
sanitario nazionale destinato esclusivamente al finanziamento della
spesa sanitaria – «la ridistribuzione di maggiori risorse in favore
di tutte le Regioni» (sentenza n. 216 del 2008).
Diversamente dal precedente, nel caso in esame le Regioni
ricorrenti, pur non richiamando l’invasione specifica di alcuna delle
competenze di cui all’art. 117 Cost., lamentano il concreto
pregiudizio della compressione delle risorse destinate all’esercizio
delle proprie funzioni e la sua non conformita’ ai precetti dell’art.
119 Cost.
Cio’ in conseguenza dei riflessi applicativi della norma
impugnata, che comportano sia la conservazione cautelativa, in attesa
dell’emanazione del decreto ministeriale, della provvista finanziaria
a carico delle Regioni contribuenti, sia la sottrazione delle somme
compensative, una volta entrato a regime il decreto stesso.
Puo’ quindi concludersi che le questioni sollevate in riferimento
all’art. 119 Cost. devono ritenersi ammissibili, in quanto collegano
la lesione competenziale al parametro costituzionale invocato (cosi’,
sentenza n. 216 del 2008).
4. – Le questioni relative all’art. 5-bis del d.l. n. 138 del
2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011, sollevate in
riferimento all’art. 119 Cost. sono fondate nei termini di seguito
precisati.
Le ricorrenti denunciano la lesione che la norma arrecherebbe
alle loro prerogative, con specifico riguardo all’autonomia
finanziaria, poiche’ la disposizione impugnata comporterebbe un
aggravio del proprio bilancio ed una conseguente rimodulazione piu’
onerosa dei rispettivi patti di stabilita’.
L’assunto e’ effettivamente confermato, sia dalla clausola di
invarianza complessiva dei tetti di spesa prescritta dalla suddetta
disposizione, sia dalla considerazione che tale clausola puo’ essere
rispettata solamente se si ridistribuiscono tali «maggiori oneri» tra
lo Stato e le «restanti regioni». Ne deriva in tal modo una concreta
incisione della sfera di autonomia finanziaria di queste ultime.
Non sono in proposito pertinenti le eccezioni sollevate
dall’Avvocatura dello Stato, la quale invoca l’emanando decreto del
Ministro dell’economia, da un lato, come risolutivo ai fini di
un’equa distribuzione del sacrificio e, dall’altro, come
temporalmente preclusivo dell’attualita’ del pregiudizio. Infatti,
l’art. 5-bis, comma 1, rimette al suddetto decreto, previsto dal
comma 2, la fissazione delle condizioni, dei limiti finanziari per la
sua attuazione e delle modalita’ di attribuzione dei relativi
maggiori oneri allo Stato ed alle restanti Regioni.
La norma, tuttavia, precisa che il decreto deve garantire il
rispetto dei tetti complessivi stabiliti dalla legge per il concorso
alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l’anno di
riferimento da parte dello Stato e delle Regioni. Dunque, l’eventuale
adozione del decreto non sarebbe comunque risolutiva ne’ della
questione inerente al mancato rispetto dei principi in tema di
perequazione contenuti nell’art. 119 Cost. e nelle successive norme
di attuazione, ne’ di quella posta in ordine al pregiudizio
finanziario derivante dall’accantonamento e dalla utilizzazione per
scopi solidaristici delle quote a carico delle Regioni stesse.
Infatti, l’adozione del decreto – in qualsiasi modo articolata – non
impedirebbe la lesione poiche’, sebbene sia prevista l’intesa con la
Conferenza unificata, questa sarebbe in ogni caso chiamata dallo
Stato a raggiungere l’accordo su uno schema di decreto il quale, in
conformita’ al dispositivo dell’art. 5-bis, dovrebbe comunque
contenere una proposta di ripartizione dei maggiori oneri in capo
allo Stato medesimo ed alle Regioni. In proposito, il dettato
normativo, se da un canto rimette al decreto la fissazione delle
condizioni e dei limiti finanziari per accedere al beneficio della
deroga, dall’altro sottopone questi elementi alla clausola di
invarianza dei tetti complessivi del concorso dello Stato e delle
Regioni. Ne deriva che il meccanismo normativamente tratteggiato
comportera’ comunque maggiori oneri e che tali oneri graveranno sia
sullo Stato che sugli enti territoriali ricorrenti.
Anche la mancata adozione del decreto non sarebbe risolutiva.
Infatti, l’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di
contabilita’ e finanza pubblica) – il quale contiene regole
specificative dell’indefettibile principio di equilibrio del bilancio
espresso dall’articolo 81, quarto comma, Cost. – prevede, in
relazione ai nuovi o maggiori oneri finanziari del tipo di quelli
indotti dall’impugnato art. 5-bis, che lo Stato deve adottare
provvedimenti di immediata salvaguardia (combinato disposto dei commi
1 e 12) per la compensazione degli effetti correlati ai nuovi oneri
(«In ogni caso la clausola di salvaguardia deve garantire la
corrispondenza, anche dal punto di vista temporale, tra l’onere e la
relativa copertura»). Nel caso di specie essi non possono che
coincidere con la conseguente riduzione delle autorizzazioni di spesa
afferenti alle ordinarie relazioni finanziarie tra Stato e Regioni,
interessate passivamente al meccanismo solidale. Infatti, la clausola
di salvaguardia di cui al comma 12 viene definita dal legislatore
come «effettiva e automatica», comportando, conseguentemente, il
cautelare accantonamento delle risorse non appena entrata in vigore
la norma che dispone le maggiori spese.
Peraltro, con riguardo alla mancata adozione del decreto, questa
Corte ha avuto modo di ribadire – in analoga occasione – che «tale
circostanza non e’ tuttavia idonea a determinare una sopravvenuta
carenza di interesse all’impugnativa da parte della Regione
ricorrente. Difatti, in assenza dell’abrogazione delle norme
impugnate e, dunque, in costanza della loro perdurante vigenza,
permane l’autorizzazione in capo allo Stato ad attivare tale
prerogativa in base ai contenuti e secondo i meccanismi previsti
dalla disciplina sottoposta attualmente a scrutinio e della quale la
Regione lamenta, appunto, l’invasivita’» (sentenza n. 451 del 2006).
L’analisi letterale e sistematica della norma impugnata porta
dunque a concludere che essa non si limita ad autorizzare la spendita
dei fondi integrativi dei contributi comunitari in deroga alle
prescrizioni del patto di stabilita’, ma attribuisce piuttosto le
conseguenze finanziarie di tale disposizione allo Stato e alle altre
Regioni, al fine di assicurare il rispetto della clausola di
invarianza dei tetti. E’ proprio questa "chiamata in solidarieta’",
lamentata dalle ricorrenti, che rende concretamente possibile ed
attuabile la deroga contenuta nel comma 1 dell’art. 5-bis, gravando
dei correlati oneri non solo lo Stato ma anche le altre Regioni.
Simili forme di ausilio non trovano fondamento, ne’ nell’art. 119
Cost., ne’ nella legge n. 42 del 2009 e neppure nei decreti
legislativi 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di
autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle
province, nonche’ di determinazione dei costi e dei fabbisogni
standard nel settore sanitario) e n. 88 del 2011.
La disposizione impugnata non e’ comunque riconducibile alle
ipotesi di cui all’art. 119 Cost., poiche’ detta norma e quelle
attuative sono esplicite nello stabilire che gli interventi
perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive rispetto a
quelle reperite per l’esercizio delle normali funzioni e che tali
risorse devono provenire dallo Stato.
Questa Corte ha avuto occasione di affermare che «gli interventi
statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere
gli squilibri economici e sociali, devono seguire le modalita’
fissate dall’art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli
generali di contenimento della spesa pubblica, che non possono che
essere uniformi» (sentenza n. 284 del 2009). Da cio’ deriva
l’implicito riconoscimento del principio di tipicita’ delle ipotesi e
dei procedimenti attinenti alla perequazione regionale, che
caratterizza la scelta legislativa di perequazione "verticale"
effettuata in sede di riforma del Titolo V della Costituzione
mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione).
Il rispetto di detto principio di tipicita’ non impedisce
certamente – allo stato della legislazione – che possano essere
adottati interventi perequativi a favore delle collettivita’
economicamente piu’ deboli. Cio’ potra’ tuttavia avvenire solo
attraverso quei moduli legislativi e procedimentali non collidenti
con il dettato dell’art. 119 Cost., alcuni dei quali sono gia’ stati
scrutinati favorevolmente da questa Corte (sentenze n. 71 del 2012,
n. 284 e n. 107 del 2009, n. 216 del 2008, n. 451 del 2006 e n. 37
del 2004).
Mentre il concorso agli obiettivi di finanza pubblica e’ un
obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico
allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico attraverso un
accollo proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle
manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010),
la perequazione degli squilibri economici in ambito regionale deve
rispettare le modalita’ previste dalla Costituzione, di modo che il
loro impatto sui conti consolidati delle amministrazioni pubbliche
possa essere fronteggiato ed eventualmente redistribuito attraverso
la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti dal vigente
ordinamento finanziario e contabile.
5. – Lo scrutinio di costituzionalita’ attrae inevitabilmente
anche l’art. 32, comma 4, lettera n), della legge n. 183 del 2011, il
quale, pur non essendo stato impugnato, conferma e rafforza il
meccanismo previsto dall’art. 5-bis attraverso l’estensione a tutte
le Regioni della facolta’ originariamente limitata a quelle
contemporaneamente ricomprese nell’"obiettivo convergenza" e nel
"piano nazionale per il sud", con conseguente incremento degli oneri
a carico delle Regioni chiamate in solidarieta’. In considerazione
dell’inscindibile connessione funzionale esistente tra la norma
impugnata e quella sopravvenuta, che ne riproduce ed amplifica gli
aspetti gia’ censurati, l’illegittimita’ costituzionale della prima
deve essere estesa in via consequenziale alla seconda, ai sensi
dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 (ex plurimis, sentenza n. 131
del 2012).
6. – Restano assorbite le altre questioni sollevate in
riferimento agli artt. 3 e 5 Cost.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni
di legittimita’ costituzionale promosse dalle Regioni Toscana, Veneto
e Sardegna con i ricorsi indicati in epigrafe, nei confronti del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 5-bis del
decreto legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 148 del 2011;
2) dichiara in via consequenziale – ai sensi dell’art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87 – l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 32, comma 4, lettera n), della legge 12 novembre 2011, n.
183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato. (Legge di stabilita’ 2012)».
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2012.

F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2012.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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