T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 25-01-2011, n. 724 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente ha acquistato nel 2006 un terreno sito nella zona industriale del Comune di Sutri, in località Sercione, compresa tra la Via Cassia e la strada provinciale che collega Sutri con Nepi.

Il terreno, di complessivi 9.245 mq, ricade per circa 7.000 mq in zona D – Artigianato e Piccola Industria Commerciale, per il resto in zona agricola, E1 – zona agricola normale ed E3- zona agricola archeologica paesistica.

La società ricorrente ha chiesto al Comune di Sutri il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un capannone industriale da destinare a tipografia, da realizzarsi nella zona D.

La Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale ha rilasciato il parere favorevole, e la Regione Lazio ha rilasciato il parere favorevole ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. 42/04.

Quest’ultima autorizzazione è stata annullata dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Paesaggistici delle Province di Roma, Viterbo e Rieti con il decreto impugnato.

Avverso detto atto la ricorrente deduce i seguenti motivi di impugnazione:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 159 del D.Lgs. 42/04; Eccesso di potere per sviamento e difetto dei presupposti.

Lamenta la ricorrente il mancato rispetto del termine di sessanta giorni per l’annullamento dell’autorizzazione regionale, in quanto la richiesta di integrazione documentale sarebbe stata disposta soltanto per finalità dilatorie.

2. Violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90; Sviamento di potere; Eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento.

Lamenta la ricorrente la violazione della suddetta disposizione.

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 159 D.Lgs. 42/04; Violazione e falsa applicazione degli artt. 134, 136 e 142 del D.Lgs. 42/04; Incompetenza relativa; Sviamento di potere; Eccesso di potere per irragionevolezza e travisamento dei presupposti; Motivazione erronea e perplessa.

Il terreno in questione è gravato dal vincolo paesistico di cui all’art. 134 comma 1 lett. b) e dall’art. 142 comma 1 lett. m) del codice dei beni culturali (vincolo paesistico archeologico).

All’area della ricorrente, quindi, si applicherebbero soltanto le modalità di tutela previste dal P.T.P.R. di cui al Capo III (artt. 33 – 41) delle N.T.A. (nel caso di specie si applicherebbe l’art. 41).

Il provvedimento della Soprintendenza sarebbe quindi illegittimo in quanto fondato su disposizioni contenute nel Capo II (art. 24) e relative ai beni vincolati ex art. 136 del codice, e dunque non applicabili al caso di specie.

Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe basato su un travisamento dei fatti, in quanto secondo la Soprintendenza l’area di intervento ricadrebbe in massima parte in zona agricola, mentre invece il capannone sarebbe realizzato in zona D.

Il provvedimento impugnato inoltre sconfinerebbe nel merito, mentre l’autorizzazione regionale sarebbe adeguatamente motivata.

Infine la ricorrente impugna anche l’art. 24 delle NTA del P.T.P.R. qualora fosse interpretata come impositiva di un vincolo di inedificabilità assoluta ricadente su ogni area classificata come "paesaggio agrario di rilevante valore".

Insiste quindi la ricorrente per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Con memoria depositata il 20 ottobre 2010 ha controdedotto in merito alle censure proposte.

All’udienza pubblica del 3 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Come meglio dedotto in narrativa la società ricorrente, esercente l’attività di tipografia, ha impugnato il provvedimento del 13/11/09 con il quale la Soprintendenza per i Beni Architettonici per le Province di Roma Rieti e Viterbo ha annullato l’autorizzazione paesistica rilasciata in data 30/6/09 dalla Regione Lazio ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. 42/04, relativa al progetto di realizzazione di edificio artigianale da destinare a tipografia.

Con il primo motivo di impugnazione sostiene la ricorrente che la richiesta di integrazione documentale da parte della Soprintendenza avrebbe avuto esclusivamente finalità dilatorie, e che quindi, il provvedimento sarebbe stato adottato oltre il termine perentorio di sessanta giorni previsto dalla legge.

La censura è infondata.

Risulta dagli atti di causa che la Regione Lazio con nota prot. n. 11520 in data 8/7/09 (doc. n. 1 fascicolo dell’Avvocatura) ha trasmesso alla Soprintendenza "la documentazione relativa alla pratica in oggetto, costituita da una copia del progetto, una copia della relazione tecnica, una copia della documentazione fotografica"; la Soprintendenza in data 2/9/09 ha richiesto ad integrazione della pratica l’invio della seguente documentazione: " certificato di destinazione urbanistica riportante tutti i vincoli esistenti sull’area di intervento; stralcio leggibile delle tavole del P.T.P. con indicazione puntiforme dell’intervento e della relativa normativa di riferimento" (doc. n. 2 del fascicolo dell’Avvocatura).

A prescindere dalla questione relativa alle tavole del P.T.P. – per la quale la ricorrente sostiene che si sarebbe trattato di una sostanziale duplicazione -, non risulta comunque provato che il certificato di destinazione urbanistica, indispensabile per verificare il tipo di vincolo esistente sull’area e per accertare la data di approvazione dello strumento urbanistico vigente, al fine di verificare la possibilità di applicare all’intervento la disposizione recata dall’art. 62 del P.T.P.R., fosse stato trasmesso dalla Regione alla Soprintendenza con la nota dell’8 luglio 2009 e conseguentemente non vi è alcuna prova della mera finalità dilatoria della richiesta di integrazione documentale, tenuto anche conto dell’effettiva utilizzazione da parte dell’Amministrazione della documentazione integrativa richiesta per l’adozione del provvedimento di annullamento dell’autorizzazione regionale.

Ne consegue la tempestività del provvedimento di annullamento, adottato in data 13 novembre 2009, a fronte della ricezione della documentazione integrativa intervenuta in data 18 settembre 2009.

Il primo motivo deve essere quindi respinto.

Con il secondo motivo lamenta la ricorrente la violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90.

La censura è infondata in quanto la disposizione non è applicabile al procedimento in questione.

La giurisprudenza, anche della sezione, ha chiarito che l’annullamento da parte della Soprintendenza del nulla osta paesaggistico non può essere considerato come la conclusione negativa di un complesso iter procedimentale nel quale dovrebbero trovare applicazione le disposizioni procedurali di cui all’art. 10 bis l. n. 241 del 1990, quanto piuttosto alla stregua di una fase ulteriore (ovvero di secondo grado, secondo la terminologia utilizzata al riguardo dalla Corte Costituzionale – sentenza 5 novembre 1996 n. 383) la quale, determinando la caducazione del precedente nulla osta comunale, non potrebbe essere in alcun modo assimilata alla reiezione di un’istanza di parte la quale costituisce, invece, l’oggetto della disciplina di cui all’art. 10 bis citato

(cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 23 aprile 2008, n. 3505; T.A.R. Puglia sez. Lecce I 7/6/06 n. 3288; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 13 ottobre 2009, n. 5407; T.A.R. Campania Sez. II Salerno, 25/6/09 n. 3316).

Ne consegue l’infondatezza della censura.

Con il terzo motivo di gravame la ricorrente sostiene che l’Amministrazione – nel disporre l’annullamento – avrebbe erroneamente applicato l’art. 24 delle N.T.A. del P.T.P.R., in luogo della disciplina recata dall’art. 41 delle stesse N.T.A.

L’art. 24 delle N.T.A. del P.T.P.R. si applicherebbe, infatti, soltanto agli immobili e le aree sottoposte a vincolo paesaggistico tramite dichiarazione di notevole interesse pubblico con provvedimento dell’Amministrazione competente di cui all’art. 136 del D.Lgs. 42/04., mentre il proprio terreno sarebbe assoggettato al solo vincolo ex art. 142 comma 1 lett. m) del codice dei beni culturali e per detti beni il P.T.P.R. prevedrebbe le modalità di tutela di cui al capo III delle norme tecniche di attuazione del piano territoriale, e dunque la disciplina recata dall’art. 41 delle N.T.A.

Secondo l’Amministrazione, invece, l’art. 24 sarebbe stato correttamente applicato, in quanto l’art. 41 delle N.T.A. del P.T.P.R., nel prevedere che l’autorizzazione paesistica deve valutare l’inserimento degli interventi nel contesto paesistico, rimanderebbe alla classificazione delle aree; nel caso di specie il terreno della ricorrente sarebbe classificato come "paesaggio agrario di rilevante valore" disciplinato dall’art. 24 delle N.T.A. e dalla relativa tabella B che al punto 4.1.2 non consentirebbe l’intervento progettato.

Secondo la Soprintendenza, poi, l’intervento contrasterebbe anche con le disposizioni del P.R.G., ricadendo in massima parte in zona agricola.

La tesi dell’Amministrazione non può essere condivisa.

Innanzitutto ritiene il Collegio che l’Amministrazione sia incorsa in un’evidente svista quando ha ritenuto prevalente la destinazione agricola delle aree, atteso che l’intervento edificatorio ricade esclusivamente sulle particelle 185 (parte) e 191 che sono classificate come zona D, e dette particelle – da sole – hanno una estensione di circa 7.000 mq a fronte della totalità di circa 9.000 mq dell’area complessiva (come dichiarato dalla ricorrente e come peraltro facilmente verificabile mediante la visura del contratto di compravendita delle aree e del progetto allegato agli atti di causa).

E’ pertanto evidente che – contrariamente a quanto ritenuto dall’Amministrazione – l’intervento progettato non contrasta con la disciplina recata dal P.R.G. di Sutri, trattandosi della realizzazione di un fabbricato artigianale da erigersi in zona D del P.R.G.

Neppure può essere condiviso l’assunto della Soprintendenza secondo cui l’autorizzazione regionale sarebbe carente nella motivazione, in quanto l’autorità regionale non avrebbe spiegato come e perché l’intervento risulterebbe compatibile con l’esigenza di tutela dei beni paesaggistici presenti nell’area: la Regione, in realtà, ha rilasciato l’autorizzazione dopo adeguata istruttoria e dopo aver verificato la compatibilità delle opere con i valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo presente nella zona e con i criteri di gestione dell’area; la Regione ha ritenuto l’intervento compatibile con la disciplina recata dall’art. 11 del P.T.P. ambito n. 3 e con quella prevista dal Capo III delle N.T.A. del P.T.P.R. (artt. 41- 45) "in quanto, in base alla suddetta nota della Soprintendenza ai Beni Archeologici, (le opere previste in progetto) sono state dimensionate e posizionate nel lotto senza interferire con il paesaggio archeologico circostante, inoltre sono state previste idonee schermature a verde per rendere il fabbricato meno visibile dai terreni circostanti…."; il parere favorevole è stato così reso anche con prescrizioni relative alle modalità costruttive al fine di ottenere la migliore mitizzazione dell’intervento; è stato poi previsto il divieto di inserimento di cartelloni pubblicitari in ossequio a quanto previsto dallo stesso art. 41 delle N.T.A del P.T.P.R.

In sostanza il giudizio di compatibilità paesaggistica dell’intervento è stato reso nel pieno rispetto dell’art. 41 delle N.T.A, norma applicabile al caso di specie.

L’annullamento dell’autorizzazione da parte della Soprintendenza, infatti, è motivata non per violazione dell’art. 41 delle N.T.A., ma con riferimento alla disciplina recata dall’art. 24 delle N.T.A. del P.T.P.R., norma però – come correttamente dedotto dalla ricorrente – non applicabile al caso di specie in quanto rientrante nel Capo II del P.T.P.R.; l’art. 5, comma 2 lett. b) del piano territoriale, prevede infatti, per le aree tutelate per legge – come quella in questione, in cui il vincolo è stato imposto in base alla previsione dell’art. 134 lett. b) e 142 comma 1 lett. m) del D.Lgs. 42/04 – le modalità di tutela di cui al Capo III delle stesse norme (nel caso della protezione delle aree di interesse archeologico la disciplina sulle modalità di tutela è contenuta nell’art. 41).

Detta norma disciplina compiutamente la materia, prevedendo che nelle zone di interesse archeologico ogni modifica dello stato dei luoghi è subordinata all’autorizzazione paesistica integrata dal preventivo parere della Soprintendenza Archeologica che valuta l’ubicazione degli interventi previsti dal progetto, e prevede che "l’autorizzazione paesistica valuta l’inserimento degli interventi stessi nel contesto paesistico, in conformità alle seguenti disposizioni", dettando nei commi seguenti le specifiche modalità di tutela per le zone di interesse archeologico distinguendo tra due tipologie di zone: quelle ai sensi del comma 3 lett. a) dello stesso art. 41 e quelle di cui al comma 3 lett. b) dello stesso articolo, prevedendo espressamente la tipologia di interventi ammissibili per ciascuna tipologia di zona e le misure di tutela.

Il semplice richiamo contenuto nel comma 7 lett. c) dell’art. 41 alla valutazione – in sede di rilascio dell’autorizzazione paesistica – all’inserimento degli interventi nel contesto paesaggistico, non può comportare – secondo il Collegio – l’automatica applicazione della disciplina contenuta nel Capo II delle N.T.A., in quanto dette disposizioni risultano dettate nel piano territoriale esclusivamente per una diversa tipologia di vincolo, e non risultano quindi direttamente applicabili.

Seguendo la tesi della Soprintendenza – che fa applicazione della tecnica del "rinvio", si avrebbe l’illogica conclusione dell’identità di disciplina per vincoli diversi e per i quali lo strumento di pianificazione territoriale ha invece previsto diverse modalità di tutela.

Deve quindi ritenersi che la disciplina applicabile sia solo quella recata dall’art. 41 delle N.T.A. del P.T.P.R., e che non possa legittimamente disporsi l’annullamento dell’autorizzazione paesistica per il mancato rispetto di una disposizione non direttamente applicabile alla fattispecie.

Peraltro, per completezza espositiva, non può non rilevarsi – dopo aver visionato la documentazione fotografica – che l’intervento progettato, posizionato in zona D secondo il P.R.G. di Sutri, è praticamente a ridosso della zona industriale del Comune, e quindi è limitrofo ad un’area già ampiamente compromessa dal punto di vista ambientale.

Ritiene quindi il Collegio che il ricorso sia fondato e che conseguentemente il provvedimento impugnato debba essere annullato.

Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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