Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-12-2010) 28-01-2011, n. 3114 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Taranto ha condannato, con pronuncia resa il 6.7.2004, Z.R., quale responsabile, nella sua qualità di amministratrice unica di ITALIANA BEVANDE Srl (per il periodo successivo al settembre 1991), dichiarata fallita il (OMISSIS), della distrazione di ingenti somme di denaro riscosse dalla società quali contributi AMA erogatile nell’esercizio 1990/91, uscite di denaro che vennero contabilmente coperte da false fatturazioni attestanti pagamenti a fornitori, in realtà mai sostenuti ed oscurate anche da una gestione contabile volutamente insuscettibile di convincente ricostruzione della traccia finanziaria (la condotta produsse l’apertura di autonomo processo per truffa).

L’imputata ricorre avverso la sentenza d’appello e deduce: – carenza di motivazione sui punti dedotti con l’appello ed, in particolare:

a) sull’affermato riscontro della completezza della documentazione di impresa, di cui era stata verificata la regolarità formale, sicchè è paradossale l’affermazione della impossibilità sulla ricostruzione del movimento degli affari e la "difficoltà" del C.T. è elemento aleatorio per l’affermazione della penale responsabilità; mancanza della prova che la ricorrente avesse contezza del disordine, come, invece, affermato dalla sentenza d’appello; genericità dell’inciso "prendere le distanze" dall’illegittima situazione del predecessore;

b) sulla ricorrenza degli elementi costitutivi del reato;

c) sullo sfasamento tra l’attività effettiva della società – dal mese di dicembre 1990 sino all’ottobre 1991 – alla responsabilità ascritta alla Z. (dal 1992 sino al fallimento), con la precisazione che la bancarotta fraudolenta documentale richiede un’azione positiva e non già la mera omissione e che l’assenza di attività rende priva di rilievo la condotta della ricorrente non dovendosi registrare alcunchè sui libri contabili;

d) sull’assenza di responsabilità della donna poichè la percezione dei contributi AIMA avvenne prima dell’incarico amministrativo della Z., essendo – secondo la prima decisione – distratti tra il 5.6.1991 ed il 31.6.1991, come attestato dagli assegni emessi dal precedente amministratore il quale, pur durante la gestione della Z., continuò a gestire le somme AIMA.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Con il pretesto della mancata risposta alle doglianze di appello, il ricorso vorrebbe indurre la Corte di legittimità ad un vaglio sul merito della vicenda e, dunque, ad una nuova valutazione dei profili di prova o di fatto, preclusa al giudice di legittimità, quando – come nel presente caso – adeguata è l’argomentazione giustificativa.

Al contempo, deve precisarsi che la motivazione non necessariamente deve indicare in guisa espressa l’argomento criticato e pedissequamente renderne confutazione ovvero accoglimento.

Restando nel solco di legittimità la Corte osserva:

1) l’addebito ascritto alla Z. non riguarda la distrazione delle somme percepite dalla società di cui fu amministratrice, quali erogate da AMA (che assommarono a L. 1.435.505.081), bensì dalla mancata giustificazione del complessivo disavanzo di gestione, come è dato riscontrare a pag. 5 della decisione della Corte territoriale ("era emerso un disavanzo pari a L. 1.377.939.152, che non trovava giustificazione in spese, perdite ed oneri").

Se, con grande probabilità, il deficit riscontrato derivò dalla distrazione dei contributi AIMA, è dal pari indubbio che la responsabilità dell’amministratore coinvolse l’intera gestione del patrimonio societario, sino alla data del fallimento. Infatti, in tema di bancarotta fraudolenta impropria pre – fallimentare, poichè l’offesa sottesa dalla fattispecie viene a concretarsi al momento della dichiarazione di fallimento(e non già a quello delle singole condotte illecite), l’addebito di fraudolenza può essere correttamente ascritto anche a chi – pur estraneo alla specifica azione di impoverimento del patrimonio societario -subentri successivamente nella posizione di garanzia, propria dell’amministratore e, nella consapevolezza dell’indebito pregresso impoverimento del patrimonio, ometta di assumere le doverose ( art. 40 c.p., comma 2) iniziative per il recupero della ricchezza distratta;

2) sulla consapevolezza della Z. circa la manomissione patrimoniale attuata dal predecessore T. la decisione fornisce spiegazione ricordando che le indagini sulla gestione aveva rappresentato un evento clamoroso, che interessava un’essenziale fonte di ricavo della società (ed anche una primaria causa di spesa, censurata come fittizia), donde l’impossibilità dell’ignoranza al riguardo (Sent. pag. 5/6).

Giustificazione che appare plausibile e ragionevole, eppertanto immune da vizio. Inoltre, e soprattutto, la decisione segnala che, la Z. "non aveva preso le distanze dal precedente amministratore" non soltanto per un tratto di maggiore serietà, bensì, perchè ne aveva portato avanti l’operato "mediante l’alienazione e la distrazione delle somme percepite, e ciò per fini strettamente personali ed utilitaristici, in danno dei creditori" (Sent pag. 5). Tanto configura un apporto diretto e personale all’evento criminoso, manifestato alla data del fallimento (al riguardo anche la sentenza di primo grado integra la motivazione in guisa adeguata);

3) le stesse considerazioni valgono anche per quanto attiene alla bancarotta fraudolenta documentale. Se è vero che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’azione richiesta dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, (come richiamato dalla L. Fall., art. 223) deve manifestarsi in forma positiva, poichè il legislatore non ha contemplato (a differenza che per la bancarotta semplice, cfr. art. 217, comma 2) la mera omissione di conservazione e compilazione del corredo contabile, tuttavia, il rilievo vale quanto all’assenza radicale della conservazione e tenuta del compendio documentale, non già alla parziale omissione del dovere annotativo, comportamento che integra certamente, per un riguardo oggettivo, la fattispecie dettata dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2. Invero, tra i comportamenti censurati si annovera anche la falsificazione del dato, risultato raggiunto pure nel caso in cui la rappresentazione dell’evento economico risulti incompleto e distorto della gestione di impresa e degli esiti della stessa;

4) del tutto generico, eppertanto inammissibile, è il mezzo che si duole dell’omessa configurazione degli elementi costitutivi del reato, non essendo punto chiaro a quale specifico passo della pronuncia esso voglia riferirsi.

Dalle suesposte osservazioni discende il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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