Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-12-2010) 28-01-2011, n. 3085 Misure cautelari Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 14 Luglio 2010, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Torino ha applicato al Sig. S. la misura della custodia in carcere in relazione a plurimi episodi di violenza sessuale previsti dall’art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 e art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1 e 2 c.p., fatti avvenuti dal (OMISSIS) in danno di una giovane donna (nata il (OMISSIS)) con lui convivente in forza del legame sentimentale esistente fra l’indagato e la madre della vittima.

Avverso tale ordinanza il Sig. S. ha presentato istanza di riesame che il Tribunale di Torino ha respinto con l’ordinanza qui impugnata. Il Tribunale, ricostruita dettagliatamente la vicenda quale emerge dagli elementi acquisiti al fascicolo del Pubblico Ministero e dalla memoria difensiva, ha ritenuto sussistere gravi indizi di responsabilità (pagg. 5 – 7 della motivazione), ha escluso la sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p., lett. A) e valutato, invece, attuali le esigenze cautelari previste dalla lett. c) della medesima disposizione.

Propone ricorso il Sig. S. tramite il Difensore.

Con primo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di responsabilità. Al termine di un ampio excursus (pagg. 1 -4) circa le norme applicabili ed i principi interpretativi fissati dalla giurisprudenza in tema di controllo sulla motivazione, il ricorso evidenzia come gli esiti della visita ginecologica (imene ancora integro, sebbene con limitate lesioni) smentiscano insanabilmente il contenuto delle dichiarazioni della vittima, che avrebbe, a suo dire, subito numerosissimi rapporti sessuali completi, in molti casi anche mediante modalità violente;

tale contrasto è stato superato dal Tribunale con una motivazione fondata su una ipotesi del tutto congetturale che non si concilia sul piano logico con le modalità della violenza riferite dalla ragazza.

Un secondo profilo di illogicità viene ravvisato dal ricorrente con riferimento alla motivazione che il Tribunale offre, a pag. 7, delle differenze esistenti nel racconto della giovane circa la frequenza degli episodi di violenza e, in particolare, della versione assolutamente riduttiva che ella offri alla madre e che ha successivamente modificato, cadendo ancora una volta in difformità ulteriori.

A fronte di tali incoerenze, rileva il ricorrente, le dichiarazioni rese "de relato" dalla datrice di lavoro della madre della vittima non offrono elementi decisivi.

In conclusione, il quadro indiziante è stato erroneamente definito "grave" e non sussistono i presupposti per l’emissione della misura.

Con secondo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, per avere il Tribunale omesso di considerare l’incensuratezza dell’indagato e per avere erroneamente fatto rinvio ad un elemento di prova estraneo al procedimento in esame; il richiamo è al contenuto della nota n. 2 di pag.8 della motivazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Con riferimento al primo motivo di censura, la Corte rileva che la motivazione dell’ordinanza impugnata non appare affetta da manifesta illogicità nè da contraddittorietà. Premesso che l’ordinanza esamina attentamente le discrasie esistenti nel racconto della giovane in ordine alla frequenza dei rapporti sessuali, dando una non illogica lettura delle ragioni che possono avere indotto la minore a fornire alla madre una prima riduttiva versione dei fatti, la Corte deve rilevare che l’ordinanza poggia la propria motivazione su un fatto non messo in discussione e provvisto di grave valore indiziario, quale la condotta tenuta dalla minore allorchè la madre la scoprì seduta nel letto insieme all’indagato e le successive dichiarazioni che la giovane rese solo dietro le insistenze della madre; del tutto priva di vizi logici appare la motivazione allorchè da tali elementi fa discendere un giudizio di genuinità del racconto e di assenza di qualsiasi preordinazione o intento calunnatorio.

La Corte ritiene, poi, che il vizio di manifesta illogicità non sussiste neppure con riferimento alle motivazioni relative agli esiti della visita ginecologica. Tali esiti, afferma il Tribunale, sono "compatibili" con "pregresse penetrazioni", posto che l’imene ancora integro presenta lesioni che giustificano, a parere del Tribunale, simile conclusione. Si tratta di valutazione di fatto (la compatibilità delle lesioni con atti sessuali mediante penetrazione) che il ricorrente contesta sul piano logico, ma non sul piano scientifico; non apparendo, dunque, sussistere una ipotesi di travisamento delle risultanze probatorie, la Corte ritiene che non si versi neppure in ipotesi di vizio logico manifesto e che non vi siano ragioni per ritenere inesistente una motivazione censurabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p..

Quanto alla seconda censura, effettivamente la nota 2 di pag.8 della motivazione reca un rinvio ad atti che sembrano riferibili ad altro e diverso procedimento. Tuttavia, le circostanze e le condotte illustrate nei tre paragrafi del secondo capoverso di pagina 8 coincidono con quanto il Tribunale ha esposto nelle pagine precedenti, così che non sussiste nessuna incoerenza tra i tre profili di gravità delle condotte e il complessivo materiale probatorio. In sostanza, il Tribunale ritiene che l’approfittamento della giovanissima età della vittima, della situazione familiare e della situazione di convivenza; la reiterazione delle condotte; le modalità ora subdole ora aggressive con cui queste furono tenute e le spinte criminogene ad esse sottese siano elementi che depongono per l’esistenza di un pericolo di reiterazione. Tale motivazione, al di là dell’errore rilevato dal ricorrente, non appare nè incoerente nè manifestamente illogica, con la conseguenza che non sussistono ragioni per l’annullamento della decisione.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *