T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 190

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Questore della provincia di Milano, preso atto della sentenza di condanna alla pena di anni uno e mesi due di reclusione pronunciata in data 4 febbraio 2004 dal Tribunale di Bergamo per il reato di tentato furto e tentata rapina, ha disposto il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

L’interessato, dopo aver premesso di soggiornare regolarmente in Italia sin dal 1996 e di aver reperito stabile attività lavorativa, ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato, per errata motivazione del decreto medesimo, in quanto fondato sulla rilevanza ostativa di un’unica condanna per reato di lieve entità, senza alcuna verifica e valutazione circa la effettiva pericolosità sociale del cittadino straniero.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, controdeducendo con memoria e provvedendo al deposito di documenti.

All’udienza il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2) Il Collegio ritiene di doversi discostare dalle valutazioni espresse in sede di ordinanza cautelare tenuto conto del diverso orientamento nelle more consolidatosi nella giurisprudenza della Sezione. Il provvedimento è immune dalle censure dedotte.

Il rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per la concessione del permesso medesimo (art. 5, quarto comma, T.U. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002); tra le circostanze che impediscono il rilascio del permesso di soggiorno (e quindi anche il suo rinnovo) assume portata preclusiva l’esistenza di una sentenza di condanna per uno dei reati indicati nell’articolo 4, comma 3, terzo periodo, del T.U., come modificato dall’articolo 4 della legge 189/2002.

Tra i reati considerati dalla disposizione sono compresi quelli (furto tentato e rapina tentata) per i quali è stato condannato il ricorrente, per fatti commessi in epoca successiva all’entrata in vigore della l. 30.7.2002 n. 189, con sentenza definitiva, a pena detentiva.

Il sistema normativo non ha inteso riservare margini di discrezionalità all’amministrazione per la valutazione della pericolosità sociale, della personalità dello straniero o ancora della modesta entità dell’episodio criminoso, ma ha configurato la sussistenza di determinate tipologie di condanne penali quale presupposto ex se ostativo al rilascio del permesso di soggiorno, il cui diniego assume – in presenza di quel presupposto – carattere rigidamente vincolato (cfr CdS VI, 8 febbraio 2008 n. 415; id., 21 aprile 2008 n. 1803).

La stessa giurisprudenza ritiene inoltre che tale automatismo si applichi, per espressa disposizione dei summenzionati articoli, anche nel caso di pena applicata su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., senza che ciò comporti violazione di principi e norme di rango costituzionale (cfr. Corte Cost. 16/05/2008 n. 148; TAR Umbria Perugia, 13/02/2007 n. 235).

Ciò premesso, si deve osservare che il provvedimento impugnato dà atto che il ricorrente è stato condannato per un reato riconducibile a quelli previsti dal summenzionato articolo 4, comma 3, del d.lgs. 286/98. In tale quadro, costituisce giustificazione sufficiente del diniego impugnato il solo riferimento alla condanna riportata dal ricorrente.

Con riguardo, infine, ai dubbi di compatibilità del delineato sistema legislativo con i principi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, la Sezione ha già provveduto a sollevare questione di legittimità costituzionale con le ordinanze nn. 78 e 79 del 2007, senza tuttavia incontrare il consenso della Consulta, che con sentenza n. 148 del 2008 ha giudicato non fondata la questione medesima. In particolare, la Corte costituzionale ha considerato da un lato non irragionevole l’inclusione di determinate condanne tra le cause ostative all’ingresso e alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale e ha dall’altro affermato che l’automatismo espulsivo costituisce applicazione del "principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione".

3) Facendo applicazione dei suesposti principi alla fattispecie in esame, non può che concludersi per l’infondatezza dei rilievi contenuti nel gravame.

L’art. 4 comma 3, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286 come sostituito dall’art. 4 l. 30 luglio 2002 n. 189 è applicabile alle sentenze di condanna intervenute successivamente alla citata modifica legislativa, anche se riportate da immigranti soggiornanti in Italia da epoca anteriore alla sua entrata in vigore.

E’ inoltre palesemente insussistente il dedotto difetto di motivazione, perché – sostiene il ricorrente – dall’art. 4, comma 3, cit. non deriverebbe alcuna preclusione automatica al rinnovo del permesso di soggiorno.

Al contrario, come già precisato, è la stessa sentenza di condanna, per la qualità del reato ascritto e sanzionato, ad essere di per sé ostativa ad una valutazione favorevole da parte della P.A. in merito al rilascio o rinnovo del suddetto permesso. Ciò, giacché è stato lo stesso Legislatore, direttamente ed in proprio, ad attribuire una valenza ostativa alla permanenza nel territorio dello Stato a certi comportamenti penalmente sanzionati, considerati di particolare rilievo sul piano delle relazioni sociali e del mantenimento dell’ordine pubblico. In questo si coglie, anzi, una fondamentale differenza nei confronti della previgente normativa, la quale rimetteva, invece, la valutazione della pericolosità e della minaccia alla P.A. (cfr. CdS, Sez. VI, n. 1803/2008, cit.).

Quanto al grado di inserimento del ricorrente la cui valutazione avrebbe potuto consentire il rinnovo del permesso di soggiorno, si osserva che le circostanze invocate dal ricorrente sono in parte preesistenti (regolare e prolungato soggiorno in Italia) rispetto all’epoca di commissione del reato; il che, contrariamente a quanto l’interessato mostra di ritenere, denota la loro concreta inidoneità a fungere da deterrente e controspinta alla condotta criminosa.

Il reato commesso dal ricorrente (per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza) è invero particolarmente grave, denota una spiccata pericolosità del soggetto e desta forte allarme sociale. In base a queste premesse è allora agevole osservare come il provvedimento impugnato, facendo riferimento a tali elementi, sia fondato su solide circostanze di fatto, che fanno ragionevolmente ritenere sussistente la pericolosità sociale dell’interessato.

Non è poi invocabile a favore del ricorrente la disciplina relativa ai soggiornanti di lungo periodo. Infatti, l’applicazione della predetta normativa non è automatica ma presuppone il rilascio della carta di soggiorno che, nel caso in esame, non risulta essere stata mai chiesta.

4) In conclusione il ricorso si rivela infondato in tutte le sue censure e deve conseguentemente essere respinto.

Quanto alle spese, ricorrono tuttavia giustificati motivi per disporne l’integrale compensazione tra le parti, in ragione delle condizioni di disagio sociale in cui versa il ricorrente e le precedenti oscillazioni della giurisprudenza in tema di reati ostativi all’ingresso e permanenza nello Stato Italiano.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge il ricorso;

compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *