T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 25-01-2011, n. 182 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, dopo essere entrato clandestinamente in Italia, nel 2004 beneficiava della sanatoria per emersione dal lavoro irregolare disposta con il D.L. 195 del 2002.

Negli anni successivi egli ha chiesto ed ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno, fino a quando, in data 17 settembre 2007 non ha ricevuto l’atto di cui in epigrafe con il quale il Questore di Lodi ha dichiarato la nullità del permesso di soggiorno in sanatoria, in quanto fraudolentemente ottenuto attraverso false dichiarazioni, ed ha denegato l’ultima richiesta di rinnovo dello stesso.

Avverso tale atto ha promosso ricorso l’interessato che lamenta la violazione degli artt. 21 septies e nonies della L. 241 del 1990 oltre che dell’art. 5 del D.Lgs 268 del 1998. Il ricorrente deduce inoltre il vizio di eccesso di potere sotto i profili della illogicità della motivazione, erroneità dei presupposti, ingiustizia manifesta, contraddittorietà, disparità di trattamento.

Secondo il Sig. H.M., il permesso di soggiorno in sanatoria non avrebbe potuto essere dichiarato nullo, e, quindi disapplicabile, ma al più, annullabile o revocabile, con la conseguente applicazione delle regole previste dalla L. 241 del 1990 in materia di autotutela che avrebbero imposto alla Autorità di P.S. una congrua motivazione sull’interesse pubblico concreto perseguito e una adeguata considerazione dell’inserimento lavorativo e sociale dello straniero consolidatosi in ragione del lungo tempo trascorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Innanzitutto occorre procedere alla esatta qualificazione del provvedimento impugnato, il quale, pur avendo formalmente ad oggetto la declaratoria di nullità del permesso di soggiorno in sanatoria rilasciato il 24/12/2004, possiede tutti i requisiti formali e sostanziali di un atto di annullamento d’ufficio di un precedente provvedimento viziato da violazione di legge per mancanza dei presupposti di fatto.

Risulta, infatti, essere stata rispettata la garanzia del contraddittorio attraverso la comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento di autotutela, e si trovano puntualmente indicati nella motivazione dell’atto i motivi di illegittimità che inficiavano il permesso di soggiorno in sanatoria il quale era stato fraudolentemente ottenuto dal ricorrente attraverso una falsa rappresentazione dei fatti (circostanza, peraltro, incontestata).

Premesso ciò risulta infondata la prospettazione giuridica contenuta nel ricorso, secondo cui il provvedimento impugnato avrebbe dovuto contenere una motivazione in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico concreto perseguito dalla p.a. sull’affidamento maturato dal beneficiario dell’atto al mantenimento dello stato di fatto consolidatosi a seguito della emanazione dell’atto illegittimo..

Infatti, il principio dell’affidamento, quale limite all’esercizio della potestà di autotutela, è finalizzato alla protezione di coloro che in buona fede hanno riposto un legittimo ed incolpevole affidamento su un provvedimento amministrativo che abbia prodotto effetti favorevoli consolidatisi nel tempo. L’ordinamento, invece, non tutela l’interesse dei soggetti che in mala fede abbiano posto in essere quella situazione di erronea valutazione della realtà sulla base della quale la p.a. ha emanato l’atto illegittimo che intende annullare (TAR Puglia, Lecce, 24/11/2007 n. 3982; Cons. St. V sez. 1/7/02 n. 3599).

Occorre poi tener presente che nell’ambito della disciplina della immigrazione degli stranieri gli istituti riconducibili alla cd "autotutela" assumono un connotato del tutto peculiare.

Infatti, a mente del D.Lgs 286/98, la permanenza dello straniero sul territorio nazionale è permanentemente condizionata alla sussistenza dei requisiti che ne hanno consentito l’ingresso, il cui venir meno costituisce non solo motivo del mancato rinnovo del permesso di soggiorno, ma anche una ragione di per sé sufficiente a giustificare la revoca dello stesso, la quale, in tal caso, si configura come provvedimento di carattere vincolato.

Nel caso di specie, in particolare, una volta stabilito che non sussistevano le eccezionali circostanze al ricorrere delle quali il D.L. 195 del 2002 consentiva la sanatoria per emersione dal lavoro irregolare al cittadino extracomunitario che potesse dimostrare di aver lavorato in Italia nei tre mesi precedenti alla sua entrata in vigore, vengono meno le condizioni poste dall’art. 5 del D.Lgs 268 del 1998 per giustificare la permanenza del Sig. H.M. nel Paese.

A tal fine, infatti, non è sufficiente l’affermazione di un suo radicamento lavorativo e sociale in quanto, come è noto, a tali condizioni deve accompagnarsi anche il rispetto delle quote di ingresso (eccezionalmente derogabile nelle ipotesi di sanatoria) che, nella specie, non ricorre non essendo mai stato rilasciato dalla Autorità competente il nulla osta all’ingresso in Italia previsto dal testo unico sull’immigrazione.

Il ricorso deve, quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 1.000.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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