Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 28-01-2011, n. 3112 Importazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Roma in data 20.5.2008, con cui M.G. veniva condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il reato di cui all’art. 474 c.p..

Il ricorrente lamenta:

1. nullità della sentenza per la mancata indicazione nella stessa del capo di imputazione;

2. violazione dell’art. 474 c.p., e carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla idoneità lesiva della contraffazione, avente caratteristiche di grossolanità.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo ala mancata indicazione nella sentenza del capo di imputazione, è infondato.

La trascrizione del capo di imputazione non è compresa fra gli elementi essenziali la cui mancanza o incompletezza determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 546 c.p.p., comma 3, considerato che l’oggetto dell’accusa può essere desunto dal complessivo contenuto della decisione (Sez. 5^, n. 1137 del 17.12.2008, imp. Vianello, Rv. 242548). Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata precisava espressamente come l’imputato avesse posto in vendita numerosi capi di abbigliamento recanti marchi contraffatti di diverse marche; e tanto è già sufficiente ad identificare adeguatamente l’oggetto della decisione di condanna, senza contare come quest’ultimo risulti anche dall’integrazione della sentenza impugnata con quella di primo grado, che recava la descrizione del fatto contestato con la precisione che esso riguardava la detenzione di ottantadue maglie di marche Puma, Landsdale e Guru, sedici pantaloni di marche Levis, Diesel e Napamiri e quindici tute di marca Adidas.

L’eccezione di nullità in oggetto deve pertanto essere respinta.

2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, relativo all’asserita grossolanità del falso.

La sentenza impugnata richiamava in proposito gli orientamenti giurisprudenziali per i quali il bene tutelato dall’art. 474 c.p., deve essere identificato nella pubblica fede e, conseguentemente, l’inoffensività della condotta non può essere desunta unicamente dalle condizioni di vendita o dalla qualità dell’offerente, ma richiede che le caratteristiche intrinseche del prodotto escludano la lesione della pubblica fede rispetto all’intera collettività, con un giudizio riferibile ad una persona di comune discernimento.

Il ricorrente rileva che la grossolanità della contraffazione, per come emerge dagli esami testimoniali ed in particolare dalle conclusioni del perito e del consulente tecnico, appare riconoscibile anche dalla persona più avveduta, considerato che in alcuni capi compariva perfino un nome diverso dall’originale, quale Lavis in luogo di Levis.

Il provvedimento impugnato evocava correttamente il principio di diritto per il quale il reato in discussione ha quale oggetto giuridico la pubblica fede nella forma dell’affidamento dei cittadini nei marchi che contraddistinguono i prodotti industriali (Sez. 5^, n. 33324 del 17.4.2008, imp. Gueye, Rv. 241347), e di conseguenza l’attribuzione alla contraffazione del carattere della grossolanità richiede che le caratteristiche intrinseche del marchio e del prodotto siano tali da escludere immediatamente che una persona di comune avvedutezza possa esserne tratta in inganno (Sez. 2^, n. 16821 del 3.4.2008, imp. Diop, Rv. 239783).

Ciò posto, nella sentenza di primo grado, il cui contenuto è richiamato dalla decisione qui impugnata e ne integra l’argomentazione motivazionale, si osservava che il verbalizzante F. riferiva come i marchi apposti sui prodotti sequestrati al M. riproducessero fedelmente quelli originali; e che tale conclusione era confermata dal perito, il quale precisava che i marchi erano tali da ingannare un acquirente di media esperienza, che solo su tre capi compariva la dicitura Lavis in luogo di quella di Levis e che aspetti di grossolanità erano ravvisabili solo per i pantaloni Levis e Diesel.

In questi termini, la motivazione fornisce logica ed esaustiva giustificazione dell’idoneità dei marchi dei capi in oggetto a trarre in inganno l’affidamento di un cittadino di comune esperienza, certo non sufficientemente avvertito dalla differenza di una vocale su tre dei marchi e dalla difformità nel tessuto di alcuni pantaloni, dato non agevolmente rilevabile da persona non esperta del settore. Detta motivazione è dunque esente da censure rilevanti in questa sede; ed il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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