Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-10-2010) 28-01-2011, n. 3107 Liquidazione e valutazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 12 marzo 2009 il giudice di pace di Gela ha dichiarato D.N.E. colpevole dei delitti di ingiuria in danno di D.N.C. e di minaccia nei confronti di D. A.; lo ha quindi condannato alle pene pecuniarie di legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

Ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l’imputato, affidandolo a nove motivi.

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge, per essere stata ammessa la prova testimoniale dedotta dalle parti civili, sebbene le relative liste non fossero state depositate a norma di legge.

Col secondo motivo lamenta che sia stata omessa l’assunzione della teste A.P., indicata – sebbene irritualmente – dalla parte civile, benchè la rinuncia alla prova non fosse stata accettata dalla difesa dell’imputato.

Col terzo motivo denuncia, siccome illegittima, l’immotivata riduzione della lista testimoniale ritualmente depositata dalla difesa.

Col quarto motivo deduce la violazione dell’art. 149 disp. att. c.p.p., per essersi data ai testi la possibilità di assistere al dibattimento prima della loro assunzione.

Col quinto, sesto, settimo e ottavo motivo il ricorrente denuncia altrettanti vizi di carenza e contraddittorietà della motivazione nella ricostruzione dei fatti.

Col nono e ultimo motivo lamenta essersi disattesa senza alcuna motivazione la sua istanza di acquisizione di alcuni certificati medici volti a corroborare la propria versione dei fatti.

Vi è agli atti una memoria depositata nell’interesse delle parti civili, a contrastare il gravame.

In via del tutto preliminare osserva la Corte che, secondo un indirizzo giurisprudenziale da ritenersi ormai consolidato, alla stregua delle più recenti decisioni di questa e di altre sezioni (Cass. 10 luglio 2009 n. 41816; Cass. 12 maggio 2009 n. 23555; Cass. 20 gennaio 2009 n. 7063; Cass. 20 giugno 2008 n. 38733; 21 settembre 2006 n. 33545), è qualificabile come appello l’impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza del giudice di pace recante condanna a pena pecuniaria e al risarcimento dei danni, anche se non sia espressamente impugnato il capo riguardante gli interessi civili, qualora sia contestate la penale responsabilità; ciò in quanto il gravame così attivato estende i suoi effetti alla pronuncia di condanna al risarcimento dei danni a norma dell’art. 574 c.p.p., comma 4.

L’impugnazione qui proposta dal D.N. deve, pertanto, essere qualificata come appello, attesa l’ammissibilità di tale mezzo di gravame; nè ad essa può riconoscersi la valenza di ricorso per saltum, dal momento che alcune delle doglianze ivi svolte (in particolare quelle che informano gli ultimi cinque motivi) consistono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza, collocando il gravame nell’area di astratta operatività dell’art. 606 c.p.p., lett. e), il che ne determinerebbe la conversione in appello ai sensi dell’art. 569 c.p.p., comma 3, quand’anche l’attivazione del giudizio di legittimità omesso medio apparisse dipendere da una libera scelta dell’impugnante.

Conseguentemente gli atti vanno trasmessi al Tribunale di Gela, quale giudice competente per il giudizio di secondo grado.
P.Q.M.

La Corte riqualificata l’impugnazione come appello, dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Gela per il giudizio di appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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