Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-01-2011) 31-01-2011, n. 3398

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza in data 23-7-2008 il GUP presso il Tribunale di Torino ha dichiarato A.R. e M.A., colpevoli dei reati loro ascritti (in concorso tra loro e con Al.Ar.) ai capi A) (sequestro di persona a scopo di estorsione), B) (Lesioni personali ai danni di V.E.), C) (illecita detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola Beretta cal. 7,65), D) (porto fuori della propria abitazione di tre coltelli), F) (strage), I) (rapina aggravata e tentata), G) (limitatamente al reato di cui agli L. n. 895 del 1967, artt. 1, 2 e 4, fabbricazione, detenzione e porto di materia esplodenti) e J) (resistenza a pubblico ufficiale) nonchè il solo A.R. colpevole altresì dei reati di cui ai capi K) (ricettazione di una pistola Beretta cal. 7,65) e L) (false attestazioni in ordine alla sua identificazione), unificati sotto il vincolo della continuazione con riferimento al più grave reato sub A), e, esclusa la aggravante di cui all’art. 92 c.p., comma 2, e art. 93 c.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche da ritenersi per A. prevalenti sulla contestata recidiva, ritenuto l’assorbimento delle fattispecie contestate sub E) (incendio), G) (limitatamente al reato di danneggiamento) e H) (tentato omicidio ai danni di C.R.) nel reato di strage contestato sub F), operata la diminuzione per il rito abbreviato, ha condannato A. R. alla pena di anni 12, mesi 9 e giorni 20 di reclusione e M.A. alla pena di anni 12, mesi 8 di reclusione, con le pene accessorie e le confische stabilite in dispositivo, con espulsione a pena espiata e con risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, liquidati come da dispositivo.

Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di Assise di Appello di Torino in data 21-1-2010, in parziale riforma della suindicata decisione, ha dichiarato il reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2, di cui al capo G) assorbito nel delitto di cui all’art. 1 della medesima Legge, ha qualificato come rapina consumata tutti gli episodi descritti al capo I), ha dichiarato non diversi procedere nei confronti di A.R. in ordine ai reati di cui al capo L) limitatamente a quelli commessi in data (OMISSIS) per essere gli stessi estinti per prescrizione, ha ridotto la pena inflitta a A. a anni 12, mesi 9 e giorni 6 di reclusione e a M.A. a anni 12, mesi 7 e giorni 20 di reclusione, confermando nel resto e condannando gli imputati alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, liquidate come da dispositivo.

2. – Oggetto del processo è il dirottamento di un autobus di linea partito da (OMISSIS) alle ore 13,35 del (OMISSIS) e diretto ad (OMISSIS), dirottamento terminato verso le ore 16 in località (OMISSIS). Sull’autobus erano saliti alla fermata di partenza antistante la stazione di (OMISSIS), insieme agli altri passeggeri, tre albanesi, A.R., Al.

A. e M.A., i quali, armati di una pistola, di alcuni coltelli e forniti di taniche di benzina e di bottiglie molotov, oltre che di corde e nastri adesivi, a un certo punto della corsa, quando erano presenti, oltre a loro, 14 passeggeri (tra i quali due agenti di polizia in abiti civili e disarmati, V. e C.), avevano costretto l’autista a cambiare strada e ad imboccare l’autostrada per Milano. Durante il tragitto, tra violenze e minacce di ogni tipo, i tre avevano raccolto tutti i cellulari dei passeggeri. A un certo punto il V. aveva realizzato che l’intento dei tre non era affatto quello di compiere una rapina e aveva deciso di agire alla prima occasione propizia. Ne era nata una colluttazione, nel corso della quale il V. era stato ripetutamente accoltellato e innaffiato di benzina con la minaccia di dargli fuoco. Uno dei malviventi aveva anche esploso un colpo di arma da fuoco, che aveva infranto il parabrezza del bus. Alla fine V. era riuscito ad aprire la porta anteriore del bus e, gettatosi fuori dal veicolo, aveva dato l’allarme fermando un automobilista di passaggio e chiamando il 113. A questo punto i tre malviventi avevano cominciato a litigare tra loro e erano diventati ancora più determinati ("Adesso la pagheranno tutti"). Nel controllare i documenti dei passeggeri, si erano accorti che anche il C. era un agente di polizia. Inferociti, lo avevano picchiato con il calcio della pistola e il manico dei coltelli, lo avevano fatto sedere sul fondo del bus e legato mani e piedi e alla maniglia del sedile e gli avevano innaffiato i vestiti di benzina, mentre uno dei tre albanesi gli si era piazzato vicino con in mano una bottiglia piena di benzina e un accendino. Anche gli altri passeggeri erano stati legati con nastro adesivo. I tre erano sempre più agitati e sniffavano reiteratamente cocaina. Fatto fermare il bus in una piazzola di sosta, erano state fatte scendere dal pullman le cinque donne più anziane. L’autobus aveva poi proseguito sulla A26 in direzione Milano. Subito dopo il casello di Vercelli est, il bus era stato fatto proseguire sulla SS 11 in direzione Novara e, giunto nel Comune di Trecate, il mezzo era stato circondato dalle auto della Polizia e dei Carabinieri. Nonostante l’alt intimato dalle Forze dell’Ordine, su ordine di uno dei malviventi, armato di pistola, l’autista era stato costretto a forzare il posto di blocco e a superare la barriera in direzione di Milano. Contemporaneamente erano stati esplosi vari colpi di pistola all’interno del bus e alcuni passeggeri erano stati minacciati di morte, coltello alla gola. Dopo circa 500 metri dal posto di blocco, il bus si era immesso in una stradina laterale in direzione del Ticino. Al fondo della strada davanti ad una barriera metallica l’autista aveva fermato il mezzo ed era saltato giù dal finestrino, seguito da uno dei malviventi, mentre iniziava divampare un incendio. I tre albanesi erano stati visti poco prima mentre spargevano benzina sul bus e due di loro erano stati visti appiccare il fuoco sui sedili anteriori.

Contestualmente l’autobus era stato circondato da vari agenti di polizia, che avevano visto le fiamme divampare e scendere dal mezzo i tre malviventi ed i passeggeri. Tutti i passeggeri erano stati posti in salvo. Uno dei tre malviventi ( M.) era stato subito bloccato;

un altro ( Al.) era stato trovato poco dopo nella vicina boscaglia. Entrambi erano risultati avere nel sangue una concentrazione di cocaina altissima. Il giorno dopo alle ore 3,09 era stato fermato A. nella sua abitazione milanese, ancora in possesso della pistola Beretta. L’agente C., rimasto legato ad una maniglia all’interno del bus, era stato tratto in salvo grazie all’aiuto di altro passeggero.

3.-. Avverso la suindicata sentenza del 21-1-2010 hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il loro difensore, A.R. e M.A., chiedendone l’annullamento.

I ricorrenti deducono:

– Violazione dell’art. 630 c.p., e vizio di motivazione là dove si è ritenuta arguitole la finalità estorsiva asseritamene perseguita da essi imputati, ignorando le evidenti condizioni psicofisiche nelle quali essi versavano e attribuendo rilievo dirimente alle loro prime dichiarazioni e non, invece, agli elementi oggettivi emersi nella ricostruzione della vicenda. Contraddittorietà manifesta della motivazione là dove non si è rilevata la insuperabile alternativa tra la finalità di ingiusto profitto posta a fondamento della imputazione di rapina capo 1) e quella del conseguimento di un prezzo per la liberazione delle persone sequestrate, perseguita attuando la medesima e pur articolata condotta perpetrata.

– Violazione dell’art. 422 c.p., e vizio di motivazione nella parte in cui si assume, oltre tutto per relationem rispetto a quanto osservato con riguardo all’elemento soggettivo del delitto di tentato omicidio (già ritenuto assorbito in primo grado in quello di strage) che il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice sarebbe stato integrato dall’obiettivo intermedio strumentale" perseguito rispetto a quello finale degli imputati che, anche nella condotta stragista, era quello della fuga. In particolare incompatibilità del dolo alternativo ritenuto sussistente per il tentato omicidio ai danni di C.R. con il reato di strage (in cui tale delitto è stato assorbito), per il quale è necessario il dolo specifico omicidiario e plurimo.

– Per il solo A. vizio di motivazione in riferimento al reato di false generalità a lui contestato, in quanto non vi sarebbe stato da parte del prevenuto alcun occultamento della propria identità ma le divergenze nei nominativi a lui riconducibile sarebbe derivata da errori causati da inesatta o distratta interpretazione fonetica.

– Vizio di motivazione in riferimento al reato di porto di armi in luogo di oggetti atti ad offendere, in quanto non vi sarebbe alcuna prova che i due coltelli branditi dagli imputati (andati distrutti insieme all’autobus) potessero rientrare tra le vere e proprie armi.

4.-. Tutte le censure prospettate dai ricorrenti sono infondate. hi ordine alla finalità estorsiva, perseguita (quanto meno nella prima fase dei fatti) dagli imputati, i Giudici di merito hanno fornito ampia ed analitica spiegazione, chiarendo che erano stati gli stessi imputati A. e M. ad ammettere di avere avuto come obiettivo proprio quello di chiedere un riscatto per il rilascio degli ostaggi. Le ammissioni degli imputati avevano, d’altra parte, trovato conferma nelle risultanze del processo, in quanto era stato accertato che i tre albanesi avevano portato con sè una pistola (pagata ben mille Euro a fronte di un presumibile ben minor ricavo da una rapina ai danni di cittadini di certo non abbienti), si erano attrezzati con coltelli vari, nastri adesivi e corde per legare, oltre che con una cartina stradale, benzina e l’occorrente per confezionare bottiglie molotov, avevano inizialmente rifiutato oggetti di valore e soldi loro offerti dalle vittime, avevano espresso la volontà di liberare subito solo una parte dei passeggeri, e avevano dirottato il bus verso Milano, prolungando la loro azione per oltre due ore e mezza. Queste emergenze erano palesemente confliggenti con una azione rapida di rapina, che si realizza nel depredare e scappare.

Si tratta di argomentazioni ineccepibili sul piano della logica e perfettamente rispondenti alle emergenze processuali, sicchè correttamente il fatto è stato inquadrato nel reato di sequestro di persone a scopo di estorsione. Anche il secondo motivo è privo di fondamento.

E’ vero che la Corte di Appello, nell’esaminare dettagliatamente il tentato omicidio ai danni di C.R., ha affermato che i tre imputati, "nel raggiungimento dell’unico obiettivo perseguito (fuga)", avevano perseguito un obiettivo strumentale intermedio (lasciare C. ancorato alla maniglia del sedile anteriore con corde, con i vestiti imbibiti di benzina, al fondo del bus, e quindi lontano dalle due vie di fuga, e poi appiccare il fuoco con accendini e provocare l’incendio del mezzo), il che equivaleva a dire che essi avevano voluto direttamente la sua morte, "almeno nella forma del dolo alternativo, giacchè la probabilità di dargli la morte era altissima".

E’ altresì vero, come osservato dai ricorrenti, che il tentato omicidio è stato assorbito nel più grave reato di strage, in ordine al quale è necessario il dolo specifico omicidiario e plurimo e non sembra compatibile il dolo alternativo. Tuttavia deve rilevarsi che al di là della etichetta (erroneamente) attribuita all’elemento psicologico dai Giudici di Appello, la descrizione dei fatti contenuta in sentenza indica chiaramente che la Corte di merito ha ritenuto sussistente in riferimento al tentato omicidio ai danni del C. il dolo diretto, posto che ha specificato che la volontà dei tre malviventi era chiaramente diretta a dargli la morte, anche perchè lo avevano ritenuto, unitamente all’altro poliziotto V., responsabile del fallimento della loro azione e a più riprese gli avevano esplicitamente preannunciato che lo avrebbero ucciso bruciandolo. In particolare, nella sentenza censurata la Corte di Appello, nel soffermarsi sugli elementi dai quali derivava la sussistenza nel caso di specie del dolo di strage, ha significativamente chiarito che "per quel che riguarda(va) il richiesto dolo specifico omicidiario, basta(va) richiamare il capitolo in cui si era dimostrata la responsabilità degli imputati per il tentato omicidio di C., sottolineando ancora una volta come l’obiettivo finale degli imputati anche nella condotta stragista era quello della fuga, ma l’obiettivo intermedio strumentale era quello di dare la morte".

Infine la Corte di Torino ha ricordato che tra i documenti sequestrati all’ Ab. vi era una tessera che l’ A. aveva fatto confezionare con false generalità e che teneva con sè fino a poco prima, risultanza che dimostrava che quest’ultimo si era reso autore anche del reato di false generalità.

Quanto ai reati relativi ai coltelli (non ritrovati, in quanto distrutti nell’incendio ovvero dispersi nella fuga), le loro articolate descrizioni fornite da diversi testimoni avevano consentito di qualificarli come armi.

In definitiva, il tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta affatto quella macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può indurre a ritenere sussistente il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), nel quale sostanzialmente si risolvono le censure. Come si è visto, le argomentazioni della Corte di Appello, oltre a costituire corretta applicazione di consolidati orientamenti giurisprudenziali, sono logiche e adeguate e, a fronte di esse, i ricorrenti si sono limitati sostanzialmente a dedurre, in modo apodittico, tesi di segno contrario e a sostenere la manifesta intrinseca incoerenza ed illogicità della sentenza censurata. Ma non può costituire vizio deducibile in sede di legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per i ricorrenti, più adeguata) valutazione delle risultanze processuali. Non rientra, infatti, nei poteri di questa Corte quello di compiere, come sostanzialmente si chiede, una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa sede circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione.

5.-. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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