Cass. civ. Sez. II, Sent., 01-03-2011, n. 5028 Danno, Liquidazione e valutazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 12 aprile 1994 A. e G. C. evocavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di La Spezia, C.C. per sentirlo condannare alla restituzione di un posto auto realizzato su parte di un fondo di proprietà delle attrici, sito in (OMISSIS), censito nel N.C.T. di detto comune, nel foglio 36 con il mappale 270, concesso in comodato ai convenuto nel 1980 e dallo stesso non rilasciato a seguito della cessazione del rapporto contrattuale, nonchè al risarcimento dei danni per la protratta occupazione (in difetto di titolo) nel periodo successivo.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 12/18 giugno 2001 n. 818, dato atto dell’appartenenza del bene in comproprietà alle attrici, condannava il convenuto al rilascio, ma non essendo stata raggiunta la prova del danno da illegittima occupazione, disponeva la prosecuzione del procedimento per addivenire, mediante consulenza tecnica, alla determinazione del reale valore locativo del bene. All’esito della seconda fase del giudizio, i Tribunale emetteva sentenza 1/3 giungo 2003 n. 674, con la quale condannava il convenuto al pagamento di L. 13.900.000, con interessi legali dalle singole scadenze mensili dei canoni, determinati come da motivazione, di cui all’accertamento peritale, oltre alla rifusione delle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto dal C., con il quale lamentava l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure deducendo l’inesistenza del danno richiesto in via risarcitoria dalle proprietarie del bene, nonchè l’infondatezza della sua determinazione, la Corte di Appello di Genova, nella resistenza della appellata G.C. (non costituita G.A.), accoglieva l’appello e in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda attorea di risarcimento danni.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che non era sufficiente l’assenza di un titolo che legittimasse l’occupazione del bene per riconoscere l’esistenza di un pregiudizio a carico delle proprietarie, ma occorreva prova reale ed effettiva dello stesso.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione G.C. (la quale ne ha curato la notificazione anche agli eredi di G.A., deceduta nelle more), che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso il C., mentre non si sono costituiti gli eredi di G.A.. Parte resistente ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente contesta la violazione di legge per avere la Corte territoriale negato la sussistenza del danno pure in presenza dell’accertata violazione del diritto di proprietà vantato sul bene dalle ricorrenti, danno che pertanto doveva considerarsi esistente "in re ipsa".

Con il secondo motivo la stessa G. censura il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte distrettuale ritenuto arbitraria la valutazione fatta dal consulente tecnico – recepita dal primo giudice – sul rilievo che non poteva essere liquidato un danno senza la dimostrazione che la presenza dell’occupante senza titolo avrebbe impedito alle proprietarie di esercitare, direttamente o indirettamente, il godimento del bene. In altri termini, la ricorrente, si duole che la Corte abbia escluso la possibilità di una liquidazione equitativa del danno, in applicazione dell’art. 2056 c.c. e secondo i principi previsti dall’art. 1223 c.c..

E’ evidente la ragione di connessione dei motivi dedotti, attenendo entrambi alle argomentazioni illustrate dal giudice del gravame per il rigetto della domanda risarcitoria, che pertanto vanno esaminati congiuntamente.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che in fattispecie del genere di quella in esame, concernenti occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed alla impossibilità per costui di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (v. da ultimo, Cass., Sez. 2, dell’8 marzo 2010, n. 5568; Cass., Sez. 3, dell’11 febbraio 2008, n. 3251; Cass., Sez. 3, dell’8 maggio 2006, n. 10498). La determinazione del risarcimento del danno ben può essere operata, in tali ipotesi, facendo riferimento al cosiddetto "danno figurativo" e, quindi, al valore locativo del cespite usurpato. Il fatto, poi, che il valore locativo sia stato individuato in una somma determinata non fa perdere all’obbligazione risarcitoria la sua natura di debito di valore, come tale suscettibile di rivalutazione monetaria, in quanto, mirando alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, la somma di denaro stabilita non rappresenta l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria, ma solo un elemento di commisurazione del danno (v. Cass., Sez. 2, del 7 giugno 2001, n. 7692; Cass., Sez. 2, del 18 febbraio 1999, n. 1373). La corte territoriale, nell’impugnata sentenza, di converso, si è espressa sull’an della domanda risarcitoria per occupazione abusiva, che avrebbe dovuto decidere applicando il supportato principio, limitandosi ad una pronunzia di reiezione basata sulla sola considerazione di un’apoditticamente ritenuta carenza di prova in ordine alla possibilità di utilizzazione del bene, presumendone anzi la inutilizzabilità stante il sostanziale abbandono in cui sarebbe rimasto il bene nel periodo successivo al rilascio e dunque ha argomentato con motivazione palesemente viziata.

Il ricorso va, dunque, accolto, dovendosi cassare la pronuncia relativamente alla declaratoria di insussistenza del danno per carenza di prova sulla utilizzabilità in ipotesi di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, dovendosi invece affermare il principio del danno in re ipsa, la cui determinazione nel quantum ben può essere operata facendo riferimento al cosiddetto "danno figurativo" e, quindi, al valore locativo del cespite usurpato.

L’accertamento che ha comportato la cassazione della sentenza impugnata non determina però automaticamente il rinvio della medesima sentenza. Nella giurisprudenza della corte, a seguito della modifica dell’art. 384 c.p.c., avvenuta già con la riforma di cui alla L. n. 353 del 1990 e della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo, si è osservato che è configurabile il potere di decidere nel merito la causa, senza disporre conseguentemente il rinvio, fermi restando i limiti della non necessità di indagini di fatto e del rispetto del principio dispositivo.

Orbene nel caso di specie, essendo stata affermata l’erronea applicazione di un principio da parte del giudice del gravame, intervenuta la decisione in riforma della sentenza di primo grado, che di converso aveva fatto corretto uso del medesimo principio, disponendo ed espletando consulenza tecnica di ufficio proprio per la determinazione del c.d. danno figurativo, la decisione nel merito va pronunciata con il rigetto dell’appello proposto dal C., per cui rivivono le statuizioni disposte con la sentenza de Tribunale di La Spezia n. 674/2003 del 1/3.6.2003.

Infine, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., si deve provvedere sulle spese dell’intero giudizio di appello, ferma sul punto la sentenza di primo grado (per quanto suesposto), nonchè su quelle di cassazione.

Vanno, altresì, poste definitivamente a carico dello stesso resistente i costi di c.t.u..
P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata senza rinvio;

pronunziando nel merito, rigetta l’appello proposto dal C. avverso la sentenza del Tribunale di La Spezia n. 674/2003 del 1/3.6.2003;

condanna parte resistente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, nonchè a quelle del giudizio di appello, che liquida in complessivi Euro 2.400,00, di cui Euro 180,00 per esborsi ed Euro 1.000,00 per diritti;

pone definitivamente a carico dello stesso resistente per intero i costi di c.t.u..

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