Cass. civ. Sez. II, Sent., 01-03-2011, n. 5027 Comunione ,Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4 marzo 1991 S.G. B. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto, B.C., T.D., T.L., T. O. e T.G., esponendo di avere concluso in data 10.2.1968 contratto preliminare con il quale aveva acquistato dai convenuti, per il prezzo di L. 30.000.000, un fondo rustico in agro di (OMISSIS) con insistente costruzione, pervenuto ai predetti promittenti venditori per successione di T.V.; che divenuti maggiorenni G. e T.O. (minorenni al momento della conclusione del preliminare), aveva invitato i convenuti alla stipula del contratto definitivo, ma senza alcun esito; pertanto chiedeva la trascrizione del preliminare, accertata l’autenticità delle scritture, ovvero pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c. che tenesse luogo del contratto non concluso.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della sola B. (rimasti contumaci gli altri convenuti), che evidenziava la minore età di O. e T.G. all’epoca della stipula del preliminare, non avendo peraltro la stessa madre ricevuto dal giudice tutelare l’autorizzazione alla vendita del bene, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito, rigettava la domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto dallo S., con il quale si doleva che il giudice del gravame non avesse ritenuto che il contratto preliminare stipulato inter partes era da considerare scindibile in tanti preliminari quante erano le parti promittenti venditrici, ognuno dei quali aveva ad oggetto le singole quote del bene compromesso, la Corte di Appello di Lecce -Sezione distaccata di Taranto, nella resistenza dell’appellata B., respingeva l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che il contratto preliminare nella specie aveva ad oggetto un bene indiviso ("ciascuno per la parte di propria spettanza") e pertanto doveva presumersi che le parti lo avessero considerato un unicum inscindibile e la mancanza o l’invalidità della manifestazione di volontà di taluno dei comproprietari (che avrebbero dovuto essere supportate dalle necessarie autorizzazioni del giudice tutelare, ex art. 320 c.c.), impediva il trasferimento ex art. 2932 c.c. al promissario acquirente. Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto ha proposto ricorso per cassazione lo S., che risulta articolato su due motivi, mentre nessuna delle parti resistenti si è costituita.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2932 e 1362 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i giudici del merito non avrebbero considerato che in realtà il contratto concluso tra le parti non aveva ad oggetto tutta l’area in questione indicata in modo unitario, ma riguardava le quote di ciascun partecipante alla comunione, tanto che la promettente venditrice aveva conferito il possesso al promissorio acquirente. Da ciò doveva evincersi che i promettenti intendevano alienare ciascuno la propria quota e quindi avevano assunto l’impegno a vendere le quote dei partecipanti diversi da O. e T.G., minori al momento della stipula del preliminare, non ottenuta nelle more l’autorizzazione alla vendita dal giudice tutelare ex art. 720 c.c., per tale parte il contratto doveva essere ritenuto valido ed efficace e doveva dispiegare i suoi effetti.

Il motivo è infondato e va pertanto rigettato.

La corte di appello ha chiaramente messo in evidenza che nel caso in esame si configura un’ipotesi di vendita di bene considerato nella sua interezza ed unitarietà, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente che ha insistito per la fattispecie della pluralità di negozi tra loro connessi, ciascuno dei quali avente ad oggetto la quota spettante al singolo partecipante. In particolare, il giudice distrettuale ha affermato che l’intenzione delle parti ha manifestato in modo inequivoco la volontà di considerare il cespite oggetto del contratto come bene indiviso, con la conseguenza che i promettenti si sarebbero impegnati a vendere solo unitariamente l’intero il bene.

L’assunto è esatto e sul punto la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

Per orientamento consolidato di questa Corte nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa si deve ritenere che i promettenti venditori si pongano congiuntamente come un’unica parte contrattuale complessa e che, dunque, le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi siano prive di una specifica autonomia e destinate, invece, a fondersi in un’unica manifestazione negoziale, dovendosi presumere che il bene sia stato considerato dalle parti come un "unicum" giuridico inscindibile, e ciò in difetto di elementi desunti dal tenore del contratto, idonei a far ritenere che con esso siano state assunte – anche contestualmente – dai comproprietari promettenti distinti autonome obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento delle rispettive quote di comproprietà, inesistenti nella specie.

Da ciò consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria – come nella specie – ovvero venga caducata per una qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., restando, pertanto, escluso che il promissorio acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quelli tra i comproprietari promettenti dei quali esista o persista l’efficacia della relativa manifestazione negoziale preliminare (v.

Cass. S.U. n. 239 del 1999; Cass., Sez. 2, 19 maggio 2004, n. 9458;

Cass., Sez. 2, 23 febbraio 2007, n. 4227). Nè in sede di legittimità è consentito alla parte soccombente prospettare una valutazione alternativa delle convenzioni stipulate rispetto ai vaglio operato dai giudici di merito, se non quando il relativo iter logico – giuridico risulti chiaramente viziato. Questa corte in proposito ha statuito che in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter argomentativo seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. Quest’ultima violazione deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poichè in caso contrario la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si traduce nella proposta di un’interpretazione diversa, inammissibile come tale in sede di legittimità. Nel caso di specie, stante quanto sopra esposto, nessuna delle ipotesi ricorre avendo il giudice distrettuale ampiamente e chiaramente illustrato l’iter argomentativo seguito per giungere alle decisione pronunciata, che trova ampia conferma nei principi fissati in materia dalla Suprema Corte.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2932 c.c. con riferimento agli artt. 1419, 1420 e 720 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto pur avendo ritenuto la corte di appello che il contratto non prevedesse la vendita delle singole quote, tuttavia la nullità da cui era affetto non poteva travolgere l’intero contratto in virtù del principio di conservazione degli atti nulli, che non inficia la validità complessiva del negozio, conservando le singole manifestazioni di volontà una loro autonomia. La censura non va condivisa.

Oltre a rimanere parte assorbita da quanto enunciato con riferimento all’esame del primo motivo, occorre aggiungere che la corte distrettuale ha sottolineato che, venuto meno il contratto nella sua interezza per nullità, per non essersi formata la volontà di una parte plurisoggettiva, tale vizio necessariamente travolge ogni patto inserito nel contesto contrattuale che è da ritenere del tutto invalido.

Infatti, venuto meno il preliminare, che costituiva il solo titolo in virtù del quale lo S. era stato immesso nel possesso dell’area, egli non può ulteriormente continuare a possedere il cespite, essendo divenuta priva di causale la detenzione. Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto. Nulla va disposto sulle spese del giudizio di cassazione non essendo parte resistente costituita.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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