Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-12-2010) 31-01-2011, n. 3347 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale della libertà di Napoli, con ordinanza in data 14 giugno 2010, confermava l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Napoli in data 20 maggio 2010, con la quale veniva disposta nei confronti di P.G., S.C., P.E., P.L. la misura della custodia cautelare in carcere, (ad eccezione della posizione di S.C. con riferimento alla rapina alla Banca di Puglia Basilicata del (OMISSIS), per la mancanza di gravi elementi indiziati, solo formalmente scarcerata in relazione a tale imputazione), con riferimento all’imputazione di associazione a delinquere di stampo camorristico.

Proponevano autonomi ricorsi per cassazione il difensore di P. G. e gli altri indagati personalmente.

Nell’interesse di P.G. veniva dedotta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e) per violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine all’ipotesi associativa qualificata anche in riferimento all’arco temporale riportato nella contestazione, ritenendo che gli elementi indiziari, con riferimento all’associazione camorristica non superino la soglia dell’equivocità.

Gli altri ricorrenti deducevano la mancanza, carenza e illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 273 c.p.p., e l’erronea applicazione dell’art. 416 bis c.p., ritenendo i fatti non può suscettibili, nemmeno in via indiziaria, di essere ricondotti nell’alveo della contestazione dell’associazione mafiosa di stampo camorristico, mancando qualunque discorso giustificativo concernente l’elemento soggettivo, con una motivazione generica ed una valutazione globale dei fatti che sfugge a qualsiasi contestualizzazione che afferisca al ruolo dei singoli indagati, ritenendo che le propalazioni dei collaboratori di giustizia, le intercettazioni ambientali e telefoniche non forniscano alcun spaccato indiziario del reato associativo, facendo riferimento a fatti reati autonomi, risalenti nel tempo e incompatibili con la natura delle contestazioni che vorrebbe il sodalizio operativo nel 2009.
Motivi della decisione

Tutti i ricorsi sono inammissibili in quanto propongono censure di merito ad un’ordinanza che risulta congruamente motivata.

I ricorrenti, indagati per il delitto di associazione mafiosa di stampo camorristico, si dolgono della motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame che appare loro, sul punto, lacunosa, illogica e a volte contraddittoria.

In realtà, secondo la difesa dei ricorrenti, dagli elementi raccolti, al massimo, potrebbero ravvisarsi dei delitti commessi in concorso, ma non certo reati associativi.

I temi principali, e ripetuti, sui quali i ricorrenti fondano tali censure sono:

1) accuse fondate quasi esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche e ambientali;

2) insussistenza della prova degli elementi necessari per ritenere integrato il reato associativo con riferimento all’epoca della contestazione (marzo-giugno 2009);

Tali motivi del ricorso sono inammissibili perchè propongono, con evidenza, censure attinenti al merito della ordinanza impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 4^, Sent. n. 4842 del 02/12/2003 Ud. dep. 06/02/2004 Rv. 229369; Sez. 5^ Sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 Rv. 215745).

La Corte territoriale ha, invero, affrontato tutti i motivi di appello fornendo una risposta esauriente, logica e non contraddittoria.

Il Tribunale del riesame ha, infatti, motivatamente evidenziato che l’imputazione di associazione a delinquere di stampo camorristico appare oggettivamente supportata da convincenti elementi, già compiutamente rappresentati dal G.I.P. e sinteticamente evidenziati nella ordinanza impugnata, idonea a individuare un forte grado di probabilità che i ricorrenti siano coinvolti e partecipi del gruppo delinquenziale composto da loro stessi e dai loro familiari affiliati, dediti alla commissione di estorsioni, rapine e traffico di droga.

Il Tribunale evidenzia, inoltre, che le prove sono costituite dalle intercettazioni telefoniche, dalle dichiarazioni – che trovano pieno riscontro e conferma dall’esito delle stesse intercettazioni – dei numerosi collaboratori di giustizia che hanno fatto parte di sodalizi camorristici di rilievo ( St., M., Sc., G.), che hanno avuto con gli indagati rapporti relativi ad affari criminali di vario genere, nonchè di affiliati e componenti del sodalizio dei P. sin dagli anni 90 (la cui attendibilità è stata correttamente valutata dal giudice di primo e secondo grado) e che, a giudizio del Tribunale, indiscutibilmente evidenziano la ricorrenza di elementi fortemente significativi della sussistenza di un sodalizio criminoso organizzato dagli indagati in via (OMISSIS), per affermare il loro predominio nella zona e commettere una serie di attività illecite che, con motivazione implicita, si è protratta anche fino all’epoca indicata nel capo d’imputazione di commissione del reato.

Il Tribunale, tra le altre intercettazioni ambientali, ritiene significativa la conversazione in carcere del 21 maggio 2009, tra P.G., Pr.Gi. e S.C., già segnalata dal G.I.P., dal tenore indiscutibile e con argomenti eloquenti rappresentativi di un’attività delinquenziale svolta da persone tra loro collegate e dipendenti da una struttura di vertice che decide e ordina.

Inoltre, è stato coerentemente desunto dal Tribunale che il sodalizio avesse la disponibilità di armi e droga dalla circostanza che i Carabinieri, nell’operare in data 11 agosto 2009, l’arresto di P.L., lo hanno trovato in possesso di 30 g di cocaina, nonchè, con riferimento al possesso di una pistola, da quanto emerso dalle conversazioni captate in data 28 maggio 2009, tra il predetto e P.G. in Trecase, presso il ristorante (OMISSIS).

Di fronte ad un così esaustiva motivazione – che conteneva anche continui richiami alla motivazione del GIP, pienamente condivisa dal Tribunale del riesame – i ricorrenti si sono limitati a ripresentare a questa Corte le stesse doglianze già oggetto dell’appello, supportandole con critiche generiche e non specifiche alla decisione impugnata.

Infatti, le difese degli imputati contestano, genericamente, la sussistenza dei presupposti dell’associazione mafiosa di stampo camorristico, che si fondono, prevalentemente, sull’affermazione apodittica della non sussistenza degli elementi caratterizzanti il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., non supportata dall’indicazione di quale dichiarazioni dei collaboratori di giustizia o quali intercettazioni siano state male interpretate dal Tribunale, che invece risulta averle correttamente lette e valutate singolarmente, non dimenticando di esaminarle anche collegandole al complessivo contesto in cui si sviluppavano.

I ricorsi sono, quindi, inammissibili anche perchè manca ogni correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.

I motivi dei ricorsi sono sostanzialmente coincidenti con i motivi di appello senza confutare le argomentazioni del Tribunale che ha – come si è visto, con dettagliata motivazione – rigettato tali motivi.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario dove i ricorrenti sono ristretti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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