Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-12-2010) 31-01-2011, n. 3344 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Bolzano, con ordinanza in data 5 luglio 2010, confermava il decreto di sequestro probatorio del Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bolzano, in data 14 aprile 2010, avente ad oggetto la cassetta di sicurezza numero 13 intestata a R.C. presso la Ubi Banca, filiale di (OMISSIS), contenente la somma di Euro 117.000 in denaro.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore di R.C., terza sequestrata, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione avendo il Tribunale attribuito natura di corpo di reato al danaro ritrovato nella cassetta senza che ne sia certa la provenienza diretta e immediata da reato (truffa ai danni di G.M.).
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

Premesso che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 28 gennaio 2004, Ferrazzi (in Cass. pen., 2004, n. 620), hanno affermato che "anche per le cose che costituiscono corpo di reato il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti", e che, pertanto, in ogni caso il sequestro probatorio richiede una motivazione sulle finalità probatorie da perseguire", osserva il Collegio che nella specie il Pubblico Ministero, prima e il Tribunale della libertà successivamente hanno indicato le finalità probatorie perseguite con riferimento alla necessità di accertamento della pertinenza del denaro sequestrato al reato di truffa per cui si procede e di ulteriori accertamenti probatori, sicchè appare plausibile l’esigenza, parimenti prospettata dal Pubblico Ministero, di procedere, anche con riferimento a tali somme, a ogni altra attività utile per accertare se tale somma sia corpo del reato.

Nell’ambito delle indagini concernenti il reato di truffa è, infatti, emerso che assegni per un importo di Euro 101.700,00 sono stati versati da G.M., querelante parte offesa, al marito della ricorrente L.R., con assegni incassati direttamente dallo stesso, senza avere mai in realtà provveduto ad inoltrare domanda di finanziamento da parte della società BZmatic, come concordato in precedenza; tali elementi, come ben evidenziato dal Tribunale, sono sufficienti a fondare il fumus delicti relativamente alla commissione del reato di truffa da parte del Re. con conseguente concreta possibilità che il denaro sequestrato sia corpo di reato o, comunque, cosa pertinente al reato di truffa, sia pure con conseguente necessità di compimento di ulteriori accertamenti.

E’ vero, infatti, che con riferimento alla qualificazione del denaro oggetto di gestione fiduciaria, questa Corte ha ripetutamente affermato che "una somma di denaro può essere definita corpo di reato solo ove sia proprio quella acquisita attraverso l’attività criminosa, mentre, ove rappresenti esclusivamente la misura del valore di un credito – come avviene dopo il suo eventuale deposito in un istituto bancario – essa è sequestrabile solo in quanto cosa pertinente al reato" (Sez. 3^, 8 maggio 2003, Zorzi e altri); ma quando, come nella specie, la somma di denaro viene sequestrata all’interno di una cassetta di sicurezza, nel corso di una operazione di polizia giudiziaria, non può certo escludersi, anzi può ragionevolmente ritenersi, alla luce delle concrete modalità tramite le quali appare essere realizzato il reato di truffa, e degli altri elementi emersi nel corso delle indagini, che proprio quella somme di denaro, incassata dal Re. sia stata messa a disposizione della moglie, fiduciariamente, per consentire la concreta realizzazione del profitto del reato.

Il Tribunale, peraltro, evidenzia, con motivazione coerente e logica, come non si comprenda per quale motivo la R. dovrebbe depositare denaro in contanti in una cassetta di sicurezza senza percepire alcun interessi sul capitale e, quindi, accendere un mutuo, con connesse spese e interessi da pagare alla banca, per ottenere denaro in prestito.

Gli argomenti contrari proposti dalla ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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