T.A.R. Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 26-01-2011, n. 7 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto in data 12 ottobre 2004, richiamato l’episodio in cui il ricorrente aveva sparato ad un cane che nuotava nelle acque del torrente Rodano ed era stato per questo deferito all’Autorità giudiziaria per i reati di "uccisione o danneggiamento di animali" e "accensioni ed esplosioni pericolose", il Questore di Reggio Emilia ne desumeva che l’interessato non fosse più affidabile e che non offrisse garanzie di non abusare delle armi, donde la decisione di revocarne la licenza di porto di fucile per uso caccia. Proposto, poi, ricorso gerarchico, il Prefetto di Reggio Emilia lo respingeva con decreto in data 9 dicembre 2004, e in tale sede rilevava come il fucile fosse stato impiegato per un uso diverso da quello venatorio e in un’area appartenente a quartiere affollatissimo della città, sì da non apparire errata la valutazione di inaffidabilità del soggetto.

Avverso tali determinazioni ha proposto impugnativa il ricorrente (ricorso n. 158/2005), lamentando l’insufficienza della motivazione, l’inadeguatezza dell’istruttoria, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, l’indebita qualificazione di inaffidabilità per fatti non provati, non ancora oggetto di accertamento penale e comunque inidonei a giustificare la revoca del titolo di polizia, la mancata considerazione della condotta complessiva pregressa. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.

Si è costituita in giudizio la Prefettura di Reggio Emilia, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.

L’istanza cautelare del ricorrente veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 21 giugno 2005 (ord. n. 192/05).

Con distinto ricorso (n. 159/2005) l’interessato ha poi impugnato il decreto prefettizio in data 14 dicembre 2004, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. Essendo fondato il nuovo atto sullo stesso episodio già richiamato e sulla medesima valutazione di inaffidabilità, vengono riproposte le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, di errata qualificazione dei fatti, di omesso apprezzamento delle generali condizioni di vita del soggetto. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Reggio Emilia e la Questura di Reggio Emilia, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame.

L’istanza cautelare del ricorrente veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 21 giugno 2005 (ord. n. 193/05).

All’udienza del 12 gennaio 2011, ascoltati i rappresentanti delle parti, i due ricorsi sono stati assegnati in decisione.

Osserva preliminarmente il Collegio che, per evidenti motivi di connessione, si può provvedere alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 70 cod.proc.amm.

Nel merito, va premesso che l’art. 11 del "testo unico delle leggi di pubblica sicurezza" (approvato con il r.d. 18 giugno 1931, n. 773), in relazione ai titoli di polizia in genere, dispone che le "autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione", mentre il successivo art. 43, relativamente al porto d’armi, prevede che la "licenza può essere ricusata… a chi… non dà affidamento di non abusare delle armi", e l’art. 39 stabilisce che il "Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti… alle persone ritenute capaci di abusarne". Si tratta di norme poste a presidio dell’ordine e della sicurezza pubblica, giacché dirette a prevenire i danni che possano derivare a terzi dall’indebito uso di armi o dall’inosservanza degli obblighi di custodia ma anche dalla commissione di reati agevolati dall’utilizzo del mezzo di offesa, onde l’utilizzo e la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti devono essere consentiti solo a chi sia indenne da mende, osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile, così da potersene escludere sospetti di impiego improprio delle armi a disposizione o comunque di comportamenti incompatibili con i tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati (v. Cons. Stato, Sez. VI, 13 luglio 2006 n. 4487). Si comprende, dunque, come – dovendo l’espansione della sfera di libertà del soggetto recedere a fronte del bene della sicurezza collettiva, particolarmente esposto ove non vengano osservate tutte le possibili cautele – la facoltà di utilizzo e di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti sia necessariamente cedevole in presenza del ragionevole sospetto di abuso, anche se sulla base di mere considerazioni probabilistiche, e che sia a tale fine sufficiente l’emergere di una scarsa affidabilità nell’uso delle armi ovvero di una insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi e delle proprie emozioni (v. TAR Liguria, Sez. II, 28 febbraio 2008 n. 341), tanto più rilevante una simile inadeguatezza se si accompagna ad un comprovato clima di forte tensione e inimicizia con altri individui, suscettibile di piegare le scarse attitudini all’autocontrollo del soggetto (v. Cons. Stato, Sez. VI, 27 giugno 2008 n. 3272). In tale quadro, la motivazione del provvedimento interdittivo non richiede una particolare ostensione dell’apparato giustificativo, conformemente al potere ampiamente discrezionale dell’Autorità prefettizia, ed il successivo controllo del giudice deve limitarsi all’esame della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 2009 n. 7107). Quanto, poi, in particolare, alla revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, si è ripetutamente osservato che tale misura non presuppone un verificato e riscontrato abuso dell’arma, bastando che il soggetto di cui si tratti, in base ad una discrezionale valutazione, non susciti un obiettivo affidamento di non abusarne, anche in ragione di un impiego non adeguatamente prudente dell’arma (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2010 n. 1925).

Orbene, venendo al caso di specie, il giudizio di inaffidabilità risulta non illogicamente fondato su di un episodio caratterizzato non solo dall’uso del fucile per finalità estranee all’attività venatoria – per il cui esercizio era stato autorizzato il porto d’armi -, ma anche dall’utilizzo del mezzo d’offesa in condizioni ambientali idonee a creare pericolo per la pubblica incolumità, e ciò a prescindere dalla circostanza, rimessa all’autonoma valutazione del giudice penale, che la condotta del soggetto integrasse o meno la commissione di reati. Si tratta di un giudizio che supera indenne il sindacato giurisdizionale perché suffragato da concreti elementi di indubitabile valenza indiziaria, tali cioè da consentire un giudizio prognostico negativo in ordine all’affidabilità del detentore delle armi e alla sua idoneità a farne un uso corretto. D’altra parte, la giurisprudenza ha più volte rilevato che la capacità di abusare delle armi può desumersi anche da un singolo episodio, se indicativo del sussistere di una situazione suscettibile di sfociare in condotte violente o, in ogni caso, contraddistinte da una inadeguata capacità di controllo (v., tra le altre, TAR Liguria 31 agosto 2001 n. 933).

In conclusione, godendo l’Autorità amministrativa di un ampio potere discrezionale per valutare con il massimo rigore qualsiasi situazione che consigli l’adozione dei provvedimenti di diniego/revoca di licenza di porto d’armi e di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, non emergono nella fattispecie profili di irrazionalità o travisamento dei fatti, a fronte di circostanze che, all’esito di un’istruttoria imperniata anche sulla dichiarazione di un testimone e di una non inattendibile ricostruzione dell’accaduto, obiettivamente rivelano il concreto pericolo di condotte contrarie al quieto vivere civile; né, poi, era necessario fornire ulteriori elementi motivazionali, essendo sufficiente l’episodio indicato a dar conto del giudizio prognostico formulato dall’Amministrazione a proposito della posizione del ricorrente. Va ribadito che, ai fini dell’adozione delle misure interdittive in materia di armi, basta che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto alla loro corretta e prudente utilizzazione, in relazione alla finalità di prevenzione in tal modo perseguita e alla conseguente necessità di scongiurare qualsiasi possibile degenerazione di conflittualità latenti, ove ne siano coinvolti individui che non danno adeguata garanzia di uso appropriato delle armi di cui dispongono.

Quanto, infine, alla lamentata carenza di comunicazione di avvio del procedimento preordinato alla revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, si tratta di censura non formulata in sede di gravame gerarchico e per questo non più proponibile in sede giurisdizionale (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 22 giugno 2006 n. 3818).

Di qui il rigetto dei ricorsi.

La peculiarità della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’EmiliaRomagna, Sezione di Parma, pronunciando sui ricorsi in epigrafe, riuniti ai sensi dell’art. 70 cod.proc.amm., li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *