Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-01-2011) 02-02-2011, n. 3863 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.S. proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Cassino, il 10 marzo 2010, quale giudice dell’esecuzione, con la quale veniva disposta la revoca della sospensione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo emesso dal Pretore di Arce con sentenza del 12 maggio 1997, confermandone l’efficacia e disponendo la contestuale trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le determinazioni di competenza in ordine al permesso di sanatoria rilasciato il 30 aprile 2009.

Il ricorrente premetteva in fatto:

di essere stato destinatario del provvedimento del Pubblico Ministero con il quale gli veniva intimata la demolizione di un capannone edificato in assenza di titolo abilitativo ed oggetto della richiamata sentenza pretorile;

di aver proceduto, nel tempo, all’ampliamento dell’originario manufatto mediante: ultimazione dei lavori di costruzione del capannone originario; realizzazione di un nuovo capannone in blocchetti di cemento e copertura in lamiera da adibire a deposito di attrezzi; costruzione di un modesto vano/portico in ferro;

costruzione di un locale rettangolare con strutture portanti in ferro di m. 7,00 X 5,75 X 4,00h;

di aver chiesto ed ottenuto, per il complesso così edificato in epoca antecedente al 31 marzo 2003, la sanatoria per "condono edilizio" ai sensi della L. n. 326 del 2003 come da provvedimento rilasciato dal Comune di Roccasecca il 30 aprile 2009.

Date tali premesse, lamentava che il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente disapplicato il titolo abilitativo sanante sull’erroneo presupposto della non perfetta coincidenza tra l’immobile oggetto della sanzione demolitoria e quello sanato e sulla circostanza che le opere erano state originariamente indicate come aventi destinazione ad uso diverso da quello residenziale (uso artigianale).

Ricordato che la non coincidenza tra i manufatti era conseguenza dei successivi interventi, osservava che la diversa indicazione della destinazione degli immobili abusivi era frutto di un errore ed aveva dato luogo all’apertura di una procedura di revisione della domanda di condono, favorevolmente risoltasi con il rilascio del titolo sanante, trattandosi di errore non rientrante nelle ipotesi di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40.

Rilevava così il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice nel non considerare l’effettivo oggetto della sanatoria rilasciata, riguardante un unico complesso edificato e l’errore in cui sarebbe incorso nel disapplicare il permesso in sanatoria ritenendo mancanti i presupposti di legge per la concessione del condono.

Insisteva, pertanto, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso va dichiarato inammissibile perchè proposto per motivi manifestamente infondati.

Va in primo luogo osservato che correttamente il Giudice dell’esecuzione ha proceduto alla valutazione del titolo abilitativo sanante esibito nel corso dell’udienza.

La giurisprudenza di questa Sezione ha da tempo chiarito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensì doverosa verifica dell’integrazione della fattispecie penale (si vedano Sez. 3^, n. 21487, 21 giugno 2006, contenente dettagliata ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza sul tema; Sez. 3^, n. 40425, 12 dicembre 2006,. Sez. 3^, n. 1894, 23 gennaio 2007; Sez. 3^, n. 41620, 13 novembre 2007; Sez. 3^, n. 35389, 16 settembre 2008; Sez. 3^, n. 9177 2 marzo 2009; Sez. 3^, n. 28225,10 luglio 2008; Sez. 3^, n. 14504, 2 aprile 2009; Sez. 3^, n. 34809, 8 settembre 2009; Sez. 3^, n. 35391, 30 settembre 2010).

Il menzionato potere dovere del giudice in presenza dell’atto abilitativo illegittimo deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poichè il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3^, n. 23080, 10 giugno 2008;

conf. Sez. 3^, n. 26144, 1 luglio 2008; Sez. 3^, n. 12869, 24 marzo 2009; Sez. 3^, n. 27948 8 luglio 2009; Sez. 3^, n. 31479, 29 luglio 2008).

Le argomentazioni poste a sostegno dell’orientamento appena richiamato valgono, ovviamente, anche per quanto riguarda il giudizio di esecuzione, con riferimento al quale questa Corte ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di "condono edilizio" non determina l’automatica revoca dell’ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l’obbligo di accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge (Sez. 3^, n. 39767,11 novembre 2010; Sez. 3^, n. 46831,22 dicembre 2005).

Alla luce di tali principi emerge chiaramente il corretto operato del giudice dell’esecuzione, il quale ha doverosamente valutato il titolo abilitativo esibito dalla difesa non limitandosi a prenderne atto come si pretenderebbe in ricorso.

Altrettanto corretto appare l’esito negativo di tale valutazione.

Invero, il provvedimento impugnato non si limita a porre in evidenza la non coincidenza tra l’immobile descritto in sentenza e quello indicato nel permesso in sanatoria, perchè sottolinea anche la macroscopica divergenza tra l’originaria destinazione artigianale del manufatto, indicata nella domanda di condono e quella residenziale menzionata nel provvedimento amministrativo che definisce la procedura di sanatoria, frutto peraltro di una procedura di revisione intervenuta a distanza di oltre cinque anni dalla presentazione della domanda, riconoscendo, all’esito di tale complessivo giudizio, l’assenza dei presupposti di legge per il rilascio del condono.

Sotto tale profilo il provvedimento impugnato è immune da censure e contiene una valutazione complessiva degli elementi fattuali completa, del tutto priva di contraddizioni ed esente da cedimenti logici.

Le opere, come descritte in ricorso, non potevano beneficiare del condono edilizio.

Il D.L. n. 269 del 2003, art. 32 convertito nella L. n. 326 del 2003 limita infatti l’applicabilità del condono edilizio alle sole nuove costruzioni aventi destinazione residenziale.

E’ di tutta evidenza che il requisito di condonabilità della destinazione residenziale non può essere conseguenza di una scelta soggettiva e discrezionale della persona interessata ad ottenere la sanatoria, ma deve risultare da dati oggettivi quali, ad esempio, le caratteristiche costruttive, l’ubicazione, i materiali utilizzati.

Nel caso di specie, come risulta dalla descrizione contenuta nel ricorso e nel provvedimento impugnato, il complesso dei manufatti per i quali è stato rilasciato il titolo sanante non possiede tale requisito, trattandosi di due capannoni, uno dei quali in blocchetti di cemento e copertura in lamiera da adibire a deposito di attrezzi, di un modesto vano/portico in ferro di un locale rettangolare con strutture portanti in ferro di m. 7,00 X 5,75 X 4,00h ubicati all’interno di una cava in disuso oggettivamente non destinati, quindi, ad un uso residenziale.

L’evidenza di tale situazione era tale da poter essere immediatamente valutata anche dall’autorità comunale ed anche di ciò ha evidentemente tenuto conto il giudice trasmettendo gli atti alla Procura per le determinazioni di sua competenza.

All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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