Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-12-2010) 02-02-2011, n. 3858

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Milano ridusse la pena ad anni 7, mesi 7 e giorni 10 di reclusione, oltre risarcimento del danno in favore delle parti civili, e confermò nel resto la sentenza 7.10.2009 del GIP del tribunale di Milano, emessa a seguito di giudizio abbreviato, che aveva dichiarato T.A. colpevole dei reati di violenza sessuale, rapina, lesioni ed evasione.

L’imputato propone personalmente ricorso per Cassazione deducendo:

1) mancata assunzione di altre prove da parte del giudice di primo grado. Lamenta che gli sono stati attribuiti comportamenti che si discostano totalmente dalla normalità. 2) unicità dell’autore dei fatti. Lamenta che non è verosimile e comunque manca la prova che egli avesse commesso entrambi gli episodi contestati.

3) illogica valutazione delle dichiarazioni delle due parti offese.
Motivi della decisione

Il primo motivo è inammissibile sia perchè generico sia perchè consiste in una censura nuova non dedotta con l’atto di appello, e che non può quindi essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità.

Gli altri due motivi si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque manifestamente infondati perchè la Corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sia sulla valutazione delle dichiarazioni delle due parti offese sia sulle ragioni per le quali ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato per entrambi gli episodi contestati. In particolare, la Corte d’appello ha osservato che la prova che l’imputato era l’autore di entrambe le aggressioni derivava non solo dalla similitudine dei comportamenti e delle offese recate alle due donne nonchè dalla coincidenza dei luoghi, ma anche da una serie di altri elementi di prova riguardanti specificamente ciascuna delle due aggressioni. La Corte ha anche rilevato, quanto alla nazionalità dell’aggressore, che nessuna delle due donne era incorsa in contraddizioni e che le due dichiarazioni erano concordi. Quanto alla individuazione del colpevole, la Corte ha osservato che la N. aveva fatto una descrizione corrispondente a quella dell’ A., che la stessa non solo aveva riconosciuto l’imputato ma aveva anche descritto capi di abbigliamento indossati dall’aggressore e trovati poi in possesso dell’imputato e ne aveva altresì riconosciuto l’odore, mentre era irrilevante che non avesse fatto riferimento a tatuaggi data la grandezza e la posizione degli stessi e le modalità con le quali si era svolta l’azione (mentre aveva riferito degli orecchini e di un piercing). Quanto alla G., era decisiva la circostanza che una impronta digitale dell’ A. era stata trovata sull’auto della donna, mentre era irrilevante che questa non avesse riconosciuto l’imputato (pur non avendo comunque escluso che l’ A. potesse essere l’aggressore) dato che prima della ricognizione aveva dichiarato di non averlo visto in faccia. A fronte di tutti gli elementi di prova, congruamente ed adeguatamente valutati, è poi irrilevante che la Corte non abbia approfonditamente motivato su alcuni elementi di dettaglio, inidonei comunque a rendere manifestamente illogica la conclusione raggiunta, quali il fatto che la N. aveva presentato denuncia dopo 4 giorni ed aveva lavato i suoi abiti o il fatto che sulle vetture non erano state trovate tracce di liquido seminale e che sulla vettura della G. furono rinvenute altre due impronte digitali non sottoposte ad analisi.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00. Il ricorrente va altresì condannato alla refusione in favore di entrambe le parti civili delle spese di questo grado, che si liquidano complessivamente, per le due parti civili, in Euro 2.750,00, di cui Euro 250,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonchè alla refusione delle spese del grado in favore delle parti civili, che liquida complessivamente in Euro 2.750,00, di cui Euro 250,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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