Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-01-2011, n. 693 Amministratori comunali e provinciali, Consigliere comunale e provinciale Deliberazioni Piano di lottizzazione convenzionato Competenza e giurisdizione Sospensione del processo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

di e Sciolla;
Svolgimento del processo

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte l’attuale appellante C.V. proponeva le seguenti domande: l’annullamento della variante deliberata dal consiglio Comunale di Carrù e dei consequenziali titoli edilizi rilasciati; la declaratoria di nullità dell’atto di vendita con cui è stata ceduta ai privati l’area prima vincolata a verde pubblico sulla base della originaria convenzione urbanistica; la abusività del muro di contenimento realizzato; la condanna al risarcimento dei danni.

Il ricorrente premetteva che la società A., che aveva nel 2003 con lui sottoscritto convenzione attuativa di un PEC, approvato con delibera di Consiglio Comunale n.38 del 2002, aveva presentato progetto di variante avente a oggetto esclusivamente l’area a verde pubblico situata a margine della via Checco, area prevista in dismissione su area di sola proprietà della società A.; per effetto di tale variante l’area in questione – di cui era prevista la dismissione al Comune e la destinazione a verde pubblico – rimaneva in proprietà esclusiva della società A., che la destinava a verde privato previa monetizzazione a favore del Comune.

Il Comune con nota del 28 maggio 2007 comunicava al signor C., ricorrente odierno appellante, l’avvio del procedimento inteso alla approvazione della variante proposta; l’avvisato riscontrava tale nota rappresentando che aveva alienato con atto del 19 settembre 2007 alla società I. i suoi terreni compresi nel PEC, tranne il mappale 778; con delibera consiliare n.44 del 2007 il Comune quindi approvava la proposta di variante al PEC; con atto notarile del 15 gennaio 2008 la società A. srl alienava ai signori F.- S., proprietari del lotto 20 del PEC, la area in questione.

Il ricorrente di primo grado proponeva ricorso avverso tale variante con il quale deduceva quanto segue: 1) illegittimità per omessa acquisizione del suo consenso, in quanto sussiste la necessità di acquisire l’assenso e comunque la partecipazione di tutti i proprietari convenzionati al fine di modificare la convenzione; 2) violazione dell’art. 78 TUEL in quanto la variante è stata approvata con la partecipazione favorevole del consigliere comunale P.A., genitore di A.L., titolare del lotto 15 e quindi interessato alla variante; 3) illegittimità e abusività del muro di contenimento alto mediamente 3 metri, posto sul confine dell’area trasformata a verde privato mediante modificazione del piano di campagna; 4) invalidità degli atti di alienazione successivi alla illegittima variante; 5) il ricorrente proponeva altresì azione risarcitoria.

Il giudice di primo grado, con la sentenza impugnata, respingeva in parte il ricorso ritenendolo infondato e in parte lo dichiarava inammissibile. In particolare, il primo giudice così statuiva: 1) rigettava la censura relativa alla esigenza di adeguata partecipazione e consenso del C., valorizzando la comunicazione da questi effettuata con la quale, in risposta all’avviso di avvio del procedimento teso alla variante della convenzione, precisava che egli aveva alienato i suoi fondi alla società I.; il primo giudice inoltre osservava che non è necessario il consenso unanime dei partecipanti alla convenzione, per approvare la variante, ma ai sensi delle norme applicabili, erano sufficienti i due terzi; 2) veniva rigettata la censura relativa alla violazione dell’art. 78 del TUEL, ritenendosi che non sussiste l’interesse immediato e diretto tra la posizione del congiunto (figlio del consigliere comunale A., proprietario del lotto 15) e la variante approvata, che riguarda i lotti 20 e 22; 3) venivano dichiarate inammissibili le censure riguardanti il comportamento consistente nella realizzazione del muro di mantenimento e la invalidità delle alienazioni tra privati successive alla variante asseritamente illegittima, in quanto al di fuori della cognizione del giudice amministrativo.

Avverso tale sentenza, propone appello il signor C., il quale, dopo avere esposto i fatti e rappresentato la pendenza di procedimento penale (pagina 10 dell’appello) a carico degli amministratori comunali che hanno approvato la variante, oltre che del segretario comunale, del tecnico comunale e del legale rappresentante della società A., deduce i seguenti motivi di appello:

1) con il primo motivo si ripropone il vizio di violazione dell’obbligo di astensione e quindi dell’art. 78 del TUEL, contestando la motivazione del TAR secondo cui non sussisterebbe interesse diretto e immediato perché il figlio del consigliere A. è proprietario della particella 15, mentre la variante avrebbe toccato solo le particelle 20 e 22: secondo l’appello, la particella 15 non può non essere interessata concretamente dalla variante, che muta la destinazione di un’area oggetto della convenzione, trasformandone la destinazione da verde pubblico a verde privato;

2) con il secondo motivo di appello viene riproposto il motivo relativo alla mancata partecipazione a al mancato consenso del ricorrenteappellante e di numerosi altri lottizzanti; si sostiene che la avvenuta alienazione, come comunicata dal C. al Comune, non elimina di certo il suo interesse, anche perché il medesimo è rimasto proprietario di altra particella (mappale 778) oggetto della convenzione; si insiste nella deduzione del necessario assenso di tutti i partecipanti alla originaria convenzione, contestando la sentenza nel punto in cui ha sostenuto che, in applicazione della L.R. 18 del 1996, erano sufficienti i due terzi dei proprietari delle aree interessate (rectius, rappresentanti almeno i due terzi del valore degli immobili interessati, percentuale calcolata sulla base della volumetria), osservando inoltre che, anche sulla base di tale parametro normativo, in realtà il consenso è pervenuto da proprietari che rappresentavano un valore di solo il 31, 07 %; infine, viene richiamato l’art. 17 della convenzione, secondo cui è necessario il consenso alla unanimità formalizzato in forma scritta ai fini della modifica degli accordi;

3) si contesta la parte della sentenza che ha ritenuto inammissibili le domande relative alla costruzione abusiva di un muro di contenimento – per il quale non risulta rilasciato apposito titolo abilitativo – e alla declaratoria di invalidità degli atti di alienazione, in ipotesi inficiati dalla invalidità della variante approvata.

Si è costituita con memoria la società A. srl, deducendo la infondatezza dell’appello e in via preliminare, rispetto al ricorso originario, la tardività rispetto alla pubblicazione, la inammissibilità per carenza di interesse, e nel merito la infondatezza dei motivi di appello proposti. Con riguardo alla esigenza del consenso, l’appellata società fa presente che esso è stato acquisito, in taluni casi, dai coniugi non proprietari ma che successivamente, è stato ratificato determinandone gli effetti. Infine, con riguardo al rilievo di parte appellante del richiamo alla convenzione di PEC, che prevedeva la unanimità, si sostiene che trattasi di nuovo motivo, inammissibile in appello.

Si è costituito il Comune di Carrù, che conclude ribadendo la legittimità del suo operato e chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Con memoria del 15 novembre 2009 l’appellante rappresenta, fra l’altro, il rinvio a giudizio (in realtà da pagina 1 della memoria si evince la richiesta di rinvio a giudizio da parte del P.M.) dinanzi al tribunale penale di Mondovì nei confronti del l.r.p.t. della società A. (per l’art. 44 del DPR 380/2001), del sindaco, del vicesindaco, degli altri consiglieri, del tecnico comunale, per gli articoli 110,479, 476 codice penale, nonché per l’art. 323 cp (per il sindaco e il consigliere A.) per mancata astensione, sussistendone i presupposti di potenziale conflitto di interessi.

In data 4 novembre 2010 l’appellante ha depositato atti relativi al procedimento penale (in particolare avviso di fissazione udienza preliminare del GIP di Mondovì e richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mondovì) e altri documenti.

Con ulteriore memoria del 25 novembre 2010 l’appellante ha ribadito le sue posizioni.

Con memoria del 16 novembre 2010 la società A. srl ha dedotto la inammissibilità dei nuovi documenti depositati dall’appellante ai sensi dell’art. 104 cpa, perché antecedenti alla proposizione dell’appello e non è stata data prova rigorosa della impossibilità di produrli in primo grado; per il resto insiste per il rigetto dell’appello.

Con altra memoria del 25 novembre 2010 la medesima società A. deduce nuovamente la inammissibilità delle ultime produzioni documentali concernenti il procedimento penale e insiste nel rigetto dei motivi di appello.

Il Comune di Carrù con memoria del 24 novembre 2010, dopo avere dedotto in merito alla insussistenza di alcuna pregiudizialità tra procedimento penale pendente e il giudizio innanzi al giudice amministrativo, insiste nella inammissibilità e irricevibilità del ricorso originario e comunque chiede che nel merito l’appello sia rigettato perché infondato.

Alla udienza pubblica del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. In via preliminare, il Collegio deve preoccuparsi di affrontare la eccezione di inammissibilità della produzione di nuovi documenti, che la difesa della società A. srl ha proposto, deducendo che non sussiste la prova della impossibilità di produrli prima e che si tratta di documenti preesistenti rispetto alla proposizione dell’appello.

Il Collegio osserva che da un lato tali documenti – riguardanti in sostanza lo stato del procedimento penale – in realtà nulla aggiungono alle censure proposte con l’appello; dall’altro tali atti sarebbero necessari nella misura in cui consentono di valutare la sussistenza o meno di possibili pregiudizialità tra i giudizi; in parte, tali documenti sono successivi, nella parte relativa al prosieguo del procedimento penale, rispetto alla proposizione dell’appello.

Il Collegio, in ogni caso, fa rilevare che da tali documenti può del tutto prescindersi per la decisione della controversia.

2.Il Collegio ritiene a questo punto di dover esaminare il rapporto tra il procedimento penale (o processo) e il giudizio amministrativo: oggetto (sia pure in parte) di entrambi è la violazione dell’obbligo di astensione.

Va esclusa altresì la sussistenza della pregiudiziale penale e quindi la esigenza di sospendere il giudizio dinanzi al giudice amministrativo, sulla base della disciplina della sospensione (art. 79 nuovo CPA, che rinvia alla disciplina generale del codice di procedura civile) e in assenza di una norma quale era l’art. 3 dell’abrogato codice di procedura penale, che la prevedeva come necessaria.

La sospensione necessaria del processo presuppone che la decisione della controversia dipenda dalla definizione di altra causa, richiede cioè non un mero collegamento tra due emanande statuizioni, ma un vincolo di consequenzialità, per cui l’altro giudizio (civile, penale o amministrativo), oltre ad essere in concreto pendente ed a coinvolgere le stesse parti, deve investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logicogiuridico, la soluzione del quale sia determinante, in tutto o in parte, per l’esito della causa da sospendere (Consiglio Stato, sez. VI, 28 settembre 2006, n. 5701).

L’art. 295 c.p.c., nel testo novellato dalla l. n. 353 del 1990, richiamato anche dal codice di rito, laddove prevede la sospensione del processo civile quando la decisione "dipenda" dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva conseguenzialità fra due emanande statuizioni e, quindi, in coerenza con l’obbiettivo di evitare un conflitto fra giudicati, non ad un mero collegamento fra le dette statuizioni, per l’esistenza di una coincidenza od analogia di riscontri fattuali o di quesiti in diritto da risolvere per la loro adozione, bensì ad un collegamento per cui l’altro giudizio (civile, penale od amministrativo), oltre ad essere pendente in concreto ed a coinvolgere le stesse parti, investa una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logicogiuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto od in parte l’esito della causa da sospendere. Siffatta nozione di dipendenza trova conferma, sia nella soppressione nel nuovo testo dell’art. 295 c.p.c. del riferimento all’art. 3 dell’abrogato c.p.p. (il quale prevedeva la sospensione per effetto della sola influenza dell’indagine sui fatti affidata al giudice penale), sia nella previsione dell’art. 211 delle disposizioni di attuazione dell’attuale c.p.p., il quale, al di fuori del caso regolato dall’art. 75 dello stesso codice (giudizio civile promosso per le restituzioni od il risarcimento del danno dipendenti da reato), contempla la sospensione della causa civile soltanto qualora la futura sentenza penale possa assumere nella causa medesima autorità di giudicato, cioè se, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. il diritto contesto in sede civile dipenda dall’accertamento inerente al reato (così, Cassazione civile, sez. I, 26 maggio 1999, n. 5083).

Nella specie, non sussiste tale rapporto di consequenzialità logicogiuridica, in quanto è autosufficiente la cognizione dell’adito giudice amministrativo, al fine di accertare la legittimità o meno della variante, sulla base delle censure di sostanza addotte – violazione dell’obbligo di astensione di cui all’art. 78 TUEL e necessità del consenso unanime dei partecipanti alla convenzione originaria – anche se talune di tali censure sono alla base anche delle contestazioni di reato nel senso sopra descritto, ma il procedimento penale non è un assunto logicamente prioritario.

3. Vanno rigettate, ad opinione del Collegio, per come proposte, le eccezioni, sollevate dalla parte appellata, di irricevibilità e inammissibilità del ricorso originario, dedotte nelle memorie difensive di costituzione.

Il primo giudice di primo grado ha ritenuto implicitamente tempestivo il ricorso, pronunciando sul merito del medesimo; ha ritenuto che la avvenuta alienazione sia "di sicuro" sinonimo di mancata fruizione della facoltà di intervento procedimentale, ma che "potrebbe anche rilevare agli effetti processuali".

Quindi, la sentenza non ha accolto in modo chiaro e definito le eccezioni di tardività e inammissibilità del ricorso originario e la parte appellata aveva l’onere di proporre appello incidentale sul punto.

L’appellato, ove intenda riprodurre nel giudizio di appello le eccezioni di inammissibilità del ricorso giurisdizionale di primo grado respinte dal T.A.R. ha l’ onere d’impugnare in via incidentale la sentenza del tribunale (Consiglio Stato, sez. V, 04 luglio 1986, n. 339); l’appellato che voglia riprodurre in appello le eccezioni e le questioni pregiudiziali disattese (anche implicitamente) dal giudice di primo grado, ha l’ onere di proporre appello incidentale (Consiglio Stato, sez. VI, 05 marzo 1982, n. 107).

4. Va accolta, secondo questo organo giudicante, la censura di violazione dell’art. 78 del TUEL, concretantesi nel fatto che alla delibera avrebbe partecipato il consigliere A., padre del proprietario del lotto 15, anche essa oggetto della convenzione originaria e a nulla rilevando che la variante riguarderebbe soltanto i lotti 20 e 22.

Come condivisibilmente deduce la parte appellante, rileva la esistenza di un interesse concreto e diretto del Consigliere, in quanto la variante incide su di una parte comune del PEC e cioè di quella parte che sarebbe stata destinata a verde pubblico.

Della parte comune, su cui incide concretamente la variante, sia pure destinando la zona a verde privato (con successiva alienazione da parte di A. a terzi) fa parte anche la proprietà A., anche se essa riguarda il lotto 15 e la variante interessa i soli lotti 20 e 22.

La sostanza è che la destinazione a verde pubblico rappresentava un bene per tutti i proprietari della convenzione, per cui la decisione relativa alla destinazione o meno a verde rileva nei confronti di tutti, né può valere, al fine di escludere il potenziale conflitto di interessi, che di per sé determina l’obbligo di astensione, il fatto che poi nella specie la decisione sia stata dannosa anziché vantaggiosa per il congiunto del consigliere comunale.

Il vizio incentrato sulla violazione dell’obbligo di astensione assume carattere logicamente pregiudiziale atteso che la partecipazione alla discussione, prodromica al voto, del soggetto che avrebbe dovuto astenersi, potrebbe in astratto averne influenzato l’esito (in tal senso, Consiglio di Stato, IV; 18 giugno 2008 n.2970).

L’ art. 78, co. 2, t.u. enti locali sancisce che "Gli amministratori…….. devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L’obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado".

La norma in esame è espressione di un obbligo generale di astensione dei membri di collegi amministrativi che si vengano a trovare in posizione di conflitto di interessi perché portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in contrasto potenziale con l’interesse pubblico (Cfr. Cons. St., sez. II, 18 febbraio 2004 n. 5486\03; sez. IV, 7 ottobre 1998 n. 1291).

Il conflitto d’interessi, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo "istituzionale" ed un altro di tipo personale (cfr. Cass., 18 maggio 2001, n. 6853 in materia condominiale; Cass. 28 dicembre 2000, n. 16205, su casi di conflitto di interessi relativi a titolari di cariche pubbliche.

Come emerge dal tenore letterale dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dalla sua ratio, la regola generale è che l’amministratore debba astenersi al minimo sentore di conflitto di interessi, reale o potenziale che sia; la deroga divisata per gli atti generali e normativi, oltre a non essere assoluta (perché qualora si profili il concreto interesse personale si ripristina l’obbligo di astensione), è da considerarsi tassativa ed incapace quindi, di incidere sul perimetro della fattispecie ampliandolo internamente (Consiglio Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2970).

La regola della astensione del consigliere comunale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui il consigliere, per ragioni obiettive, non si trovi in posizione di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale; in tal senso il concetto di "interesse" del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire alla adozione di una delibera (Consiglio Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2970).

L’amministratore pubblico, in base al disposto dell’art. 78 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, relativamente agli atti a carattere generale (quali gli strumenti urbanistici) deve astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione nei soli casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado. Tale obbligo di allontanamento dalla seduta, in quanto dettato al fine di garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa, sorge per il solo fatto che l’amministratore rivesta una posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un conflitto di interesse, a nulla rilevando che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la p.a. (sulla indifferenza del vantaggio oppure di uno svantaggio, si veda Consiglio di Stato, IV, 17 giugno 1996, n.860)

Il conflitto d’interessi, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo "istituzionale" ed un altro di tipo personale (cfr. Cass., 18 maggio 2001, n. 6853 in materia condominiale; Cass. 28 dicembre 2000, n. 16205, su casi di conflitto di interessi relativi a titolari di cariche pubbliche).

Inoltre, non sussistono dubbi in ordine alla applicabilità dell’obbligo di astensione anche con riguardo alle convenzioni aventi valore di piani esecutivi, oltre che ai piani generali.

Certamente da affrontare è la problematica della applicabilità o meno del dovere di astensione di cui all’art. 78 con le conseguenze demolitorie, anche ai piani esecutivi e omologhi atti, oltre che ai piani generali, e cioè se si applichi anche ai piani esecutivi la disciplina di cui alla seconda parte del secondo comma dell’art. 78.

La deroga divisata per gli atti generali e normativi, che comporta un annullamento parziale e non in grado di inficiare l’intero provvedimento, deve essere riguardata anche quando si profila il concreto interesse personale, che deve fare ritenere ripristinato l’obbligo generale di astensione (così si evince da Consiglio Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2970).

La seconda parte del secondo comma, nel porre una regola di attenuazione alla generale annullabilità, seguendo una ratio di conservazione degli atti potenzialmente invalidi, prevede che l’obbligo di astensione non si applica agli atti normativi e generali (regola generale) se non quando sussista un interesse immediato e diretto fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi del consigliere o del congiunto (eccezione).

E’ evidente che, se sussiste un interesse immediato e diretto in caso di adozione di piano attuativo (cosa molto più facile a verificarsi, data la maggiore determinatezza del piano di livello esecutivo o attuativo), sussiste certamente l’obbligo di astensione.

Se la attenuazione delle conseguenze che la legge dispone per la violazione del dovere di astensione nella seconda parte del secondo comma all’art. 78 si giustificano a causa della natura di atto generale del piano, a maggior ragione l’obbligo di astensione di cui al primo periodo del secondo comma deve essere rispettato, pena la illegittimità, nella ipotesi in cui, a causa della natura attuativa dell’atto, sia ancora più evidente il concreto, diretto e immediato conflitto di posizioni tra il consigliere comunale e il suo congiunto, perché proprietario, titolare di diritto di godimento o altro rispetto alla zona interessata dalla variante.

Come emerge dal tenore letterale dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 e dalla sua ratio, la regola generale è che l’amministratore debba astenersi al minimo sentore di conflitto di interessi, reale o potenziale che sia.

L’accoglimento del motivo di appello riguardante la violazione dell’obbligo di astensione assume carattere assorbente, in grado di inficiare la delibera gravata.

5.) E’ fondato anche il motivo di appello riguardante la necessità del consenso di tutti gli originari partecipanti alla convenzione.

Al riguardo, la società A. eccepisce la inammissibilità quale nuovo motivo del richiamo all’art. 17 della convenzione perché non dedotto in primo grado.

Il motivo di appello è fondato e deve essere respinta la relativa eccezione di inammissibilità.

La variante del piano esecutivo convenzionato di libera iniziativa presuppone la libera iniziativa dei proprietari dei terreni interessati e, quindi, il consenso degli stessi (Consiglio Stato, sez. IV, 12 febbraio 1997, n. 99).

La natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di accordo sostitutivo del provvedimento di cui all’art. 11 L. 7 agosto 1990 n. 241.

Trattandosi di atti negoziali, che presuppongono la ricerca da parte della pubblica amministrazione del consenso del privato su un certo assetto di interessi ed attribuiscono allo stesso posizioni di dirittoobbligo, ne consegue, quale immediato corollario, che la loro modifica necessita della manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla loro formazione, ivi compresi, ovviamente, anche i soggetti privati che, pur non essendo proprietari dei lotti incisi dalla variante, hanno proposto il piano ed hanno sottoscritto la relativa convenzione urbanistica.

Non può rilevare, inoltre, la invocata legge regionale, che prevederebbe una maggioranza qualificata, il cui raggiungimento in fatto viene anche negato dall’appellante.

Infatti, ciò che rileva è che sulla base delle regole della convenzione si richiedeva il consenso unanime e esso non è stato ottenuto.

Né può rilevare la eccezione di motivo nuovo e quindi inammissibile in relazione alle clausole previste dalla convenzione: è proprio il rispetto della generale regola della unanimità dei consensi, ribadita in convenzione, che fin dall’inizio dell’azione proposta dall’appellante è da ritenere causa petendi del rimedio azionato.

La variante ad una convenzione pianificatoria richiede di regola il necessario coinvolgimento di tutti i proprietari interessati al piano che abbiano sottoscritto la convenzione (in tal senso, Consiglio di Stato, IV, 27 giugno 2008, n.3255).

E’ assorbente la considerazione che la regola del consenso unanime era stata adottata in forma di autolimitazione dalla originaria convenzione, sicchè in senso contrario non soccorre l’articolo 5 comma 4 della legge regionale del Piemonte n. 18 del 9 aprile 1996, laddove prevede la proponibilità della modifica di variante con la rappresentanza dei due terzi del valore degli immobili interessati, a parte la esigenza di verificarne comunque il rispetto.

6) E’ invece da rigettare il motivo con il quale si contesta la sentenza e si reitera la domanda per l’accertamento della abusività del muro di mantenimento.

Tale attività, che non si è concretata in atti o attività della pubblica amministrazione, è da attribuire, per come prospettata, ala mera attività di privati. Non rientra quindi nella sfera di cognizione del giudice amministrativo la controversia prospettata per l’accertamento della abusività di una costruzione, in quanto, quando l’art. 7 cpa fa riferimento all’esercizio o al mancato esercizio o ai comportamenti o omissioni della pubblica amministrazione non può ritenersi esteso fino a ricomprendere anche l’inerzia nella attività di vigilanza, non stimolata, nei confronti di attività dei privati: in sostanza, se si lamenta la mancata vigilanza o la inerzia, essa deve essere stimolata dalla parte interessata, che può poi azionare rimedi avverso l’inerzia amministrativa o eventuali atti negativi.

7) Certamente è da respingere il motivo di appello con il quale si sostiene la erroneità della sentenza, in quanto avrebbe erratamente ritenuto di non potersi pronunciare sulla invalidità degli atti notarili di compravendita successivi e consequenziali rispetto alla variante della convenzione asseritamente illegittima.

La cognizione della validità dei contratti di diritto privato, ammessa secondo i casi solo in via incidentale e mai principale (non si tratta di contratti di cui sia parte la pubblica amministrazione, la cui cognizione è anche essa limitata a ipotesi specifiche) secondo i noti principi sul riparto di giurisdizione, è devoluta alla generale giurisdizione del giudice ordinario.

8. Va respinto il motivo di appello relativo alla domanda risarcitoria per i danni consequenziali subiti dal ricorrente: in primo luogo, le posizioni soggettive di cui l’appellante è titolare debbono ritenersi pressoché pienamente tutelate dalla demolizione della variante impugnata per i motivi sopra esposti; in secondo luogo, non sono stati dedotti mezzi di prova al riguardo, idonei a dimostrare danni eventualmente medio tempore verificatisi.

9.Per le considerazioni sopra svolte, va accolto in parte l’appello nei limiti e ai sensi di cui in motivazione, con conseguente parziale accoglimento del ricorso originario e conseguente annullamento della variante impugnata; per il resto va confermata la sentenza impugnata.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del doppio grado.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo accoglie in parte ai sensi e limiti di cui in motivazione, con conseguente accoglimento in parte del ricorso originario ed annullamento della variante impugnata; respinge l’appello per il resto.

Spese doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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