Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-12-2010) 02-02-2011, n. 3845 Testimoni Prova penale Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.A. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Lecce, confermava quella del tribunale di Brindisi che in data 19 novembre 2008 lo aveva condannato alla pena di giustizia per i reati di cui a) art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, art. 609 ter c.p., art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1; b) art. 572 c.p.; c) art. 582 c.p., previa unificazione di essi con il vincolo della continuazione.

Si duole in questa sede il ricorrente della violazione di specifiche disposizioni di procedura e dell’illogicità e contraddittorietà dell’impianto motivazionale in ordine alla responsabilità per i reati contesati, al trattamento sanzionatorio ed, in particolare, alla negazione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Per quanto concerne le violazioni procedurali il ricorrente eccepisce anzitutto che:

– le dichiarazioni rese dai minori vittime di reati sessuali al consulente del pubblico ministero sono utilizzabili solo ai fini della conclusione dell’incarico di consulenza e che non possono essere utilizzate dal giudice quali dichiarazioni testimoniali;

– è incompatibile con l’ufficio di testimone il consulente tecnico (esperto di neuropsichiatria infantile) che abbia partecipato quale ausiliario nelle sommarie informazioni rese al pubblico ministero dal minore offeso dal reato.

Ora sotto il primo profilo la Corte d’appello ha già evidenziato che le dichiarazioni della minore rese alla dottoressa M., consulente tecnico del PM, sono state utilizzate solo da quest’ultima ai fini degli accertamenti peritali devoluti e correttamente è stato evidenziato anche che la dottoressa M. risulta esaminata in dibattimento unicamente sugli esiti della sua indagine peritale, senza alcun riferimento ai fini della ricostruzione del fatto, alle dichiarazioni acquisite dalla minore.

In ordine al secondo problema, quello dell’incompatibilità con l’ufficio di testimone del consulente tecnico, esperto in neuropsichiatria infantile, che ha partecipato quale ausiliario l’assunzione delle sommarie informazioni rese al pm dalla minore, correttamente la Corte di merito ha evidenziato che il consulente non ha mai rivestito la qualità di ausiliario dell’organo inquirente, avendo svolto in qualità di consulente tecnico un’apposita indagine peritale.

Il collegio, pur consapevole dei contrasti sul punto, condividendone le motivazioni, ritiene di doversi uniformare sulla questione all’orientamento indicato da Sez. 3, n. 42721 del 09/10/2008 Rv.

241426, secondo cui non è incompatibile ad assumere l’ufficio di testimone l’esperto di neuropsichiatria infantile che abbia partecipato all’assunzione delle sommarie informazioni rese al P.M. dal minorenne offeso dal reato, in quanto non annoverabile tra gli ausiliari del P.M. stesso. Nell’occasione si è evidenziato, infatti che nel sistema vigente le "deroghe" all’obbligo di rendere testimonianza, complementare alla capacità a testimoniare, non possono che essere tassative e di stretta interpretazione e, dunque, espressamente e tassativamente previste e che non sono dunque consentite applicazioni analogiche o interpretazioni estensive.

Di conseguenza la nozione di "ausiliario" non può che essere intesa in senso stretto o tecnico, senza la possibilità di comprendervi soggetti che tali non sono. Altrimenti verrebbe a derogarsi, in modo arbitrario, al principio che chiunque può rendere testimonianza (salvo i casi espressamente previsti), "creando" incompatibilità anche per soggetti non rientranti nelle categorie indicate e quindi non ritenuti dal legislatore incompatibili con l’ufficio di testimone.

Altro aspetto dedotto dal ricorrente è quello relativo all’erroneo respingimento della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad all’espletamento di apposita perizia medica diretta alla valutazione della sussistenza di eventuali infermità mentali dell’imputato.

In particolare si afferma essere stati del tutto obliterati nella sentenza i risultati della consulenza di parte redatta dal Prof. G., escusso nel corso del dibattimento, il quale aveva rilevato come disturbi della personalità dell’imputato potevano rientrare nel concetto di infermità mentale.

Anche sul punto tuttavia vi è adeguata risposta.

La Corte di merito infatti, dopo avere esaminato le argomentazioni del consulente, il quale ha concluso che il C. avrebbe agito in quanto timoroso di perdere la figura relazionale, a causa del disturbo patito, si è fatta carico di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto di non poter accedere alle conclusioni esposte.

Logicamente è stato rilevato al riguardo, infatti, che siccome le molestie risalivano all’epoca in cui la minore aveva sette o otto anni, a quell’età non poteva avere sviluppato tendenze manipolative in grado di sottomettere una persona adulta come il prevenuto, nè poteva avere sviluppato bisogni e interessi relativi alla sfera sessuale.

In più correttamente si fa rilevare anche come le tendenze manipolative citate non sono poi state riscontrate nè dal consulente del PM, dottoressa M., nè dal perito nominato dal gip avendo invece questi ultimi entrambi concordemente concluso che era invece proprio la ragazza a richiedere ancora rassicurazione e protezione.

Da ciò deriva che motivatamente le dichiarazioni del consulente di parte non sono state ritenute quali elementi indicativi di disturbi della personalità dell’imputato meritevoli di approfondimento nell’ambito del giudizio abbreviato.

Nè in questa sede può essere sindacata tale decisione in quanto, logicamente e correttamente motivata.

E ciò rende inattaccabile sul piano motivazionale la decisione del tribunale di non consentire al giudizio abbreviato condizionato in quanto motivata con l’insussistenza di elementi idonei a giustificare nuovi accertamenti.

Il riferimento alle risultanze convergenti dell’accertamento peritale della consulenza del PM in relazione alle modalità di accertamento, giustifica senz’altro il giudizio di attendibilità della minore rendendo infondato il rilievo del ricorrente secondo cui sul punto non vi sarebbe stato alcun sostanziale accertamento accertamento.

Correttamente si rileva come i due periti abbiano concordemente ritenuto la minore capace di comprendere, di rievocare di riferire in maniera corretta e realistica la sua storia esistenziale.

Quanto alla capacità manipolativa della minore si richiama quanto detto in precedenza.

Rimangono allora da esaminare i rilievi del ricorrente in relazione al contenuto delle dichiarazioni della minore.

Al riguardo l’imputato fa rilevare il contrasto esistente tra le dichiarazioni rese e le emergenze processuali denunciando l’illogicità del racconto e la non veridicità delle circostanze riferite.

Si fa in proposito rilevare che la denunciarne si è limitata ad affermare di aver subito solo molestie consistite in palpeggiamenti nelle parti intime ed in atti di masturbazione escludendo rapporti sessuali completi; che la madre ha smentito su alcune circostanze la figlia, che in realtà la bambina aveva un temperamento difficile, indocile comunque manifestava problemi saltando spesso alla scuola e disobbedendo all’imputato che per tali ragioni era stato costretto più volte a riprenderla.

Sostanzialmente la minore non avrebbe mai tollerato l’imputato come genitore impedendole di fare ciò che voleva. Di qui la denuncia per liberarsi di quest’ultimo.

Sul punto, tuttavia, appare del tutto logica la motivazione della Corte di merito che evidenzia come le dichiarazioni rese dalla minore abbiano trovato conferma, tra l’altro, proprio nella deposizione della madre.

Quanto al rilievo del ricorrente il quale evidenzia la tardività della denuncia di quest’ultima attribuendola al solo desiderio di riavere la figlia con sè dopo che la minore era stata allontanata dai servizi sociali, appare evidente il tentativo – inammissibile in questa sede – di sovrapporre alla valutazione della Corte di merito altra ritenuta più attendibile senza incrinare tuttavia sul piano logico la bontà della prima adeguatamente giustificata sul ritardo con il timore della donna di una reazione violenta dell’uomo da cui aspettava anche un figlio.

Nessuna censura può essere in conclusione validamente dedotta in questa sede alla motivazione sul punto della violenza sessuale.

Ugualmente appare correttamente e logicamente motivata la sentenza sulla reato di maltrattamenti per il quale è stata ritenuta provata l’abitualità delle condotte sulla base delle dichiarazioni della madre e della minore.

Appare infine adeguatamente motivata la decisione anche sul trattamento sanzionatorio essendo indubbiamente logica la motivazione articolata in punto di gravità dei fatti accertati anche per il protrarsi delle violenze. Nè appare in questa sede censurabile, pertanto, anche il diniego delle generiche.

Al rigetto del ricorso consegue per il ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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