Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-11-2010) 02-02-2011, n. 3843 Diritti d’autore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 23.10.2008, confermava la sentenza 30.3.2005 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di I.S. in ordine al reato di cui:

– alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), per avere abusivamente posto in commercio n. 270 CD musicali, in numero superiore a 50 esemplari, illecitamente riprodotti e non contrassegnati dalla S.I.A.E. (acc. in (OMISSIS)) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, lo aveva condannato alla pena principale di mesi sei di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, nonchè alla pena accessoria di legge, concedendo i doppi benefici.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, il quale ha eccepito: – inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto proscioglierlo alla stregua di quanto enunciato dalla sentenza resa della Corte di Giustizia europea l’8/11/2007, nel procedimento C-20/05, Schwibbert.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. Questa Sezione – con le sentenze 12/2/2008 n. 13816, Valentino e 12/2/2008 n. 13818, Ndiaye, alle cui articolate motivazioni si rimanda e che, in questa sede, devono intendersi integralmente recepite – ha fissato, in relazione ai fatti di reato previsti con riferimento alla utilizzazione di supporti privi del contrassegno S.I.A.E., alcuni fondamentali principi interpretativi delle disposizioni incriminatrici della L. n. 633 del 1941.

In particolare è stato evidenziato che la Corte di Giustizia europea – con sentenza resa ai sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa l’8/11/2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert – ha stabilito che l’obbligo di apporre sui dischi compatti, contenenti opere d’arte figurativa, il contrassegno S.I.A.E. in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, rientra nel novero delle "regole tecniche" che, ai sensi delle direttive europee 83/189/CEE e 98/34/CEE, devono essere notificate dallo Stato alla Commissione della Comunità Europea. Con la conseguenza che, qualora tali regole tecniche non siano state notificate alla Commissione, non possono essere fatte valere nei confronti dei privati e devono essere disapplicate dal giudice nazionale.

La sentenza Schwibbert, pur riferendosi specificamente ai contrassegni relativi ai CD contenenti opere d’arte figurativa, ha stabilito un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione di contrassegno S.I.A.E. successiva alla direttiva 83/189/CEE per supporti di qualsiasi genere (cartaceo, magnetico, plastico etc.) e di qualsiasi contenuto (musicale, letterario, figurativo etc.) rende inapplicabile l’obbligo del contrassegno stesso nei confronti dei privati e le relative disposizioni interne debbono essere disapplicate dal giudice.

2. Da ciò deriva che:

a) l’obbligo di comunicare alla Commissione le "regole tecniche" introdotte nell’ordinamento italiano vale per tutte le regole istituite dopo l’entrata in vigore della citata direttiva 83/189/CEE, ossia dopo il 31 marzo 1983;

b) devono essere dichiarati non sussistenti i fatti di reato previsti dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. d), (nel testo modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248), che punisce appunto chiunque detiene per la vendita supporti musicali, audiovisivi, cinematografici etc. privi dei contrassegno S.I.A.E, risultando accertato che, fino alla data di emanazione della sentenza Schwibbert, lo Stato italiano era rimasto inadempiente all’obbligo di notificazione delle regole tecniche. Eventuali sentenze di condanna debbono, pertanto, essere annullate senza rinvio;

c) nessun effetto viene prodotto dalla citata sentenza Schwibbert sui fatti di reato previsti dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), (nel testo modificato dalla L. 18 agosto 2000, n. 248), sicchè restano in sè punibili le condotte di chiunque detiene a fini commerciali e di commercio di supporti illecitamente duplicati o riprodotti, pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione.

In questi casi la mancanza del contrassegno può essere semmai valutata come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, ma non assurge al ruolo costitutivo della condotta.

2.1 L’obbligo di apposizione del contrassegno – come si è detto – doveva essere previamente notificato alla Commissione Europea.

Tale notifica deve ritenersi effettuata successivamente dallo Stato italiano, attraverso un iter avviato con la comunicazione del 24 aprile 2008, che ha avuto il suo epilogo con l’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23/2/2009, n. 31, recante "Regolamento di disciplina del contrassegno da apporre sui supporti, ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 181 bis".

Detto decreto, entrato in vigore in data 21/4/2009, costituisce il testo definitivo della regola tecnica; ciò comporta la "ripenalizzazione" delle condotte ricollegabili alla mera carenza del contrassegno S.I.A.E. poste in essere a decorrere dal 21/4/2009, ma non può rendere penalmente illecite condotte nel frattempo "scriminate" dalla non opponibilità ai privati del contrassegno mancante.

3. Nella vicenda che ci occupa, però, dal contenuto delle decisioni di merito, si evince che l’imputato è stato condannato non per la semplice assenza del contrassegno S.I.A.E. sui supporti musicali sequestrati, bensì per avere posto in commercio supporti frutto di abusiva duplicazione del loro contenuto.

A carico del ricorrente non è stata ritenuta, come fonte di responsabilità, la mancanza del contrassegno, ma da tale mancanza si è fatta derivare solo una delle più circostanze indizianti ravvisate in ordine all’avvenuta illecita riproduzione.

Tale condotta è contemplata dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), anche secondo la qualificazione giuridica originariamente fissata dal pubblico ministero, e – come si è detto dianzi – nessun effetto viene prodotto dalla citata sentenza Schwibbert sui fatti di reato aventi ad oggetto l’utilizzazione di supporti abusivamente riprodotti, come previsti della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), così che restano in sè punibili le condotte lesive dei diritti poste a tutela della personalità dell’autore o lesive dei diritti alla utilizzazione economica dell’opera di ingegno.

4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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