Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2011, n. 5392 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.B. con atto notificato il 26.11.91 citava in giudizio avanti al tribunale di Vasto, PO.Ar. e, premesso di essere proprietaria di una porzione di fabbricato per uso civile abitazione sita in (OMISSIS), su tre livelli e con soffitta, a lei pervenuta con atto di divisione del 25.11.63, e che l’altra porzione dello stesso fabbricato- attribuita per effetto del menzionato atto di divisione a P.C. – successivamente perveniva al convenuto Po.; tutto ciò premesso chiedeva che si disponesse lo scioglimento della comunione in relazione ad una "torretta" situata sul tetto dell’edificio, formata da due terrazzini (che non era stata oggetto, all’epoca della disposta divisione), con attribuzione all’attrice del terrazzo sovrastante la sua abitazione. Il Po., costituitosi in giudizio, eccepiva che il menzionato terrazzino era invece di sua proprietà, per averlo ricevuto in vendita dai suoi danti causa e comunque per averlo posseduto in via esclusiva per oltre vent’anni.

Il tribunale di Vasto, istruita la causa mediante espletamento di CTU, con sentenza 16.05.2000 rigettava la domanda, che qualifica come azione di rivendicazione, ritenendo che l’attrice non avesse allegato la prova della proprietà del terrazzino, nè aveva prodotto in giudizio l’atto di divisione relativo a tale cespite, di cui peraltro non aveva neppure il possesso, visto che ad esso di accedeva soltanto attraverso una soffitta appartenente in via esclusiva al convenuto.

Avverso la sentenza proponeva appello la P. chiedendone la riforma; resisteva l’appellato insistendo nel rigetto dell’impugnazione. L’adita Corte d’Appello dell’Aquila con la decisione n. 77/04 depos. in data 16.2.2005 rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado. La Corte territoriale ribadiva che la P. aveva proposto un’azione di rivendicazione in relazione alla quale non aveva fornito, come doveva, la prova della proprietà del cespite, che non era stato menzionato nell’atto di divisione, il quale, d’altra parte, non aveva dato luogo a due distinti edifici ma ad un condominio; per cui i manufatti esistenti sul terrazzo (non contemplati in tale atto) dovevano considerarsi rimasti tra le parti comuni, come il tetto e le mura perimetrali.

Per la cassazione delle predetta sentenza ricorre la P., sulla base di 4 censure. Resiste il Po. con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa di nome di diritto ( art. 112 c.p.c.), omessa pronuncia e vizio di motivazione sulla domanda di divisione del manufatto sovrastante il tetto "attribuendosi a ciascuno la parte di torretta soprastante la propria porzione di fabbricato". Censura la qualifica dell’azione da lei proposta come azione di rivendica anzichè come domanda di divisione così come (originariamente) richiesto.

Il motivo è infondato , atteso che la sentenza si è pronunciata su tale questione; la corte di merito ha infatti affermato che non era stata impugnata la qualificazione dell’azione dell’attrice come rivendica data dal tribunale, per cui sul punto si era formato il giudicato; ha inoltre sottolineato che sia nelle conclusioni del giudizio di primo grado che nell’appello, l’attrice aveva formulato l’azione unicamente in termini di rivendicazione e si era anche doluta con l’appello che nella sentenza di primo grado fossero stata riportate le originarie conclusioni dell’atto di citazione (concernenti la divisione) e non quelle definitive (che invece si riferivano all’azione di rivendica). A questo riguardo giova aggiungere che "nel vigente sistema processuale è consentito solo al giudice di primo grado il potere incondizionato di qualificazione della domanda, mentre al giudice di appello – in ragione dell’effetto devolutivo di tale impugnazione e della presunzione di acquiescenza di cui all’art. 329 c.p.c. – non è più permesso di mutare "ex officio" la qualificazione ritenuta dal primo giudice, a meno che questa non abbia formato oggetto di impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica di un motivo di impugnazione espressamente formulato". (Cass. n. 20730 del 30/07/2008). Con il 2 motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e il vizio di motivazione;

deduce che a fronte della produzione dell’atto di divisione e il principio dell’accessione "verticale" da lei pure invocato, incombeva al convenuto l’onere di dimostrare la proprietà del bene.

La doglianza è infondata. In realtà la sentenza ha affermato che dall’atto di divisione non poteva ricavarsi l’attribuzione del terrazzino a nessuno dei condividendi e in difetto di essa il bene doveva ritenersi comune, tenuto conto delle presunzioni delle parti comuni della disciplina del condominio (art. 1117). Infondata appare poi la censura (che non sembra proposta in precedenza) che richiama l’istituto dell’accessione in quanto, tra l’altro, il terrazzino preesisteva rispetto alla cennata divisione avvenuta tra gli originari proprietari dell’intero complesso.

Con il terzo motivo l’esponente denuncia "la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 938 c.c. e "di ogni principio in materia di condominio e di comunione"; nonchè il vizio di motivazione. Stante le eccezioni proposte da convenuto (che non contestava la provenienza della proprietà del bene da un comune dante causa) e sulla deduzione dello stesso convenuto di un acquisto derivativo o per usucapione, non v’è dubbio che doveva ritenersi attenuto il rigore probatorio proprio dell’azione di rivendicazione.

Anche tale doglianza è infondata; in realtà la sentenza ha in effetti riconosciuto che nella fattispecie si era verificata l’attenuazione del rigore probatorio proprio in conseguenza della difesa del convenuto, ma, ciò nonostante, ha ritenuto che anche tale prova pur attenuta non era stata mai fornita dall’esponente.

Con il quarto motivo ed ultimo motivo l’esponente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 244 in relazione all’art. 2721 c.c. (lamenta il rigetto della prova testimoniale dedotta che a suo avviso doveva ritenersi rilevante). Il motivo è inammissibile perchè non autosufficiente; in ogni caso la sentenza si è pronunciata tanto sull’irritualità della deduzione della prova quanto sulla sua rilevanza. In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1800,00, di cui Euro 1600,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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