Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2011, n. 5389 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’avv. S.M., con distinte missive datate 1.2.2000, ha richiesto alla snc Giovanni Caliarella costruzioni edili, alla srl Collepardo e ad + ALTRI OMESSI l’importo complessivo di L. 191.612.822, per pregresse prestazioni professionali espletate a loro favore.

Con citazione dello stesso anno, i predetti adivano il tribunale di Roma, chiedendo darsi atto dell’avvenuta corresponsione di complessive L. 154.331.000 a favore del predetto legale a comunque chiedendo accertarsi e quantificare le eventuali maggiori somme ancora dovute; si costituiva lo S., il quale insisteva nella sua richiesta e chiedeva altresì, in via riconvenzionale, la condanna delle controparti per fatto illecito con condanna delle stesse per danni morali, all’onore ed all’immagine, quantificati in L. 200.000.000, oltre alla condanna dei medesimi ex art. 96 c.p.c..

Con sentenza del 2003, l’adito Tribunale, in composizione monocratica, accoglieva la riconvenzionale, respingeva la domanda di risarcimento danni da illecito e quella ex art. 96 c.p.c. e regolava le spese.

Proponevano appello gli originati attori, cui resisteva la controparte.

Con sentenza in data 21.12.2005 – 31.10.2006, la Corte di appello di Roma accertava l’avvenuto pagamento di L. 154.331.000 a favore dello S., e compensava parzialmente le spese del giudizio di primo grado, regolando altresì quelle di appello, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Osservava sostanzialmente la Corte capitolina che lo S. aveva dato sufficiente prova dei suoi crediti professionali e che non si era avuta contestazione specifica della documentazione prodotta, con riferimento all’effettività dell’attività svolta, agli scaglioni del valore delle singole controversie ed alle singole voci della tariffa professionale.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, sulla base di quattro motivi, i soccombenti: resiste con controricorso lo S..
Motivi della decisione

Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., comma 1, art. 167 c.p.c., comma 2, artt. 184 e 342, 112 e 115 c.p.c. nonchè vizio di motivazione; in primo luogo ci si duole del fatto che la Corte di appello avrebbe omesso di rilevare che nella proposizione della domanda riconvenzionale si era completamente omesso di esporre l’esposizione dei fatti e gli elementi di diritto posti a base della domanda stessa.

Tale censura lamenta un vizio che risulta comunque sanato dalla mancata tempestiva eccezione della nullità lamentata nel corso del giudizio di primo grado e risulta pertanto inammissibile; quanto alle ulteriori censure mosse, le stesse appaiono generiche, non costituendo che un imprecisato richiamo alla mancanza di prove relative alla sussistenza dei crediti azionati ed una indicazione di eccessività degli stessi, senza peraltro che di tanto si offrano precisi riscontri. Il motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Con il secondo mezzo, si lamenta violazione dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, dell’art. 5 della normativa delle tariffe forensi; degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonchè omessa motivazione su punti decisivi della controversia; si lamenta in buona sostanza carenza motivazionale sulla prova dell’attività svolta e sul valore delle cause in ordine a cui si richiedono gli onorari.

Va al riguardo evidenziato che la sentenza impugnata ha affermato che tale prova era stata data con il deposito di tutti gli atti relativi ai vari giudizi, cosa questa che rende incongruo il richiamo all’art. 112 c.p.c. mentre l’apprezzamento della congruità probatoria della documentazione prodotta è giudizio di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità.

Anche tale mezzo non può pertanto trovare accoglimento.

Con il terzo motivo si lamenta violazione,sotto altri profili, dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 2607 c.c., commi 1 e 2 e dell’art. 5 della normativa sulle tariffe forensi, nonchè degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonchè vizio di motivazione; si assume al riguardo che, ai fini della prova del credito, le fatture ed i pareri del Consiglio dell’Ordine non avrebbero valenza alcuna.

Va al riguardo considerato che la sentenza impugnata, in ordine a tale profilo, ha ravvisato la sussistenza delle prove del credito facendo precipuo riferimento all’attività documentata dagli atti prodotti, cosa questa che elide la valenza decisiva delle fatture e dei pareri; quanto alla tabella inserita in ricorso e contenente un quadro riassuntivo dell’attività professionale svolta dall’odierno resistente a favore dei propri clienti, gli stessi, oggi ricorrenti, ammettono che le deduzioni ivi contenute non erano state prospettate come censura alla sentenza di prime cure e pertanto non possono essere considerate utili in questa sede di legittimità, atteso che il riscontro delle stesse comporterebbe accertamenti in fatto non compatibili con il giudizio per cassazione.

Anche tale meno non può essere pertanto accolto.

Con il quarto motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 384 c.p.c., comma 2, nonchè di vizio di motivazione.

In buona sostanza, si ripropongono le censure svolte nei motivi che precedono per trame la conclusione che la sentenza impugnata è incorsa nelle violazioni lamentate, sotto i diversi profili prospettati e si invoca la giurisprudenza relativa al necessario rapporto di correlazione che deve sussistere tra la sentenza e le argomentazioni istruttorie, estrinsecatisi in istanze o altre richieste attinenti al medesimo profilo sì da dar conto di tutte le decisioni assunte onde pervenire alla soluzione della controversia;

il motivo, che si basa su presupposti condivisi, è peraltro del tutto generico, in quanto non indica specificamente come, quando e perchè la Corte capitolina avrebbe violato tali principi, se non riferendosi alle censure svolte nei precedenti motivi di ricorso, che sono stati esaminati e respinti, donde la sostanziale inconferenza del motivo in esame che non può pertanto trovare accoglimento.

Quanto poi alla istanza proposta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con cui si chiede a questa Corte di decidere la presente causa anche nel merito, in base a nuova valutazione delle prove, la stessa è inammissibile, in ragione del fatto che il giudizio di legittimità non preclude la decisione nel merito, ma tale ipotesi è legata alla insussistenza della necessità di ulteriori accertamenti in fatto, cosa questa che non si può ravvisare nel caso che ne occupa, atteso che non può, in assenza del riscontro di vizi motivazionali, invocarsi il richiesto riesame del merito in questa sede.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui 4.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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