Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-01-2011) 03-02-2011, n. 4142

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Assise di Palermo revocava il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in favore dell’imputato B. L. ritenendo che – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 4 bis, introdotto con il D.L. n. 92 del 2008, convertito in L. n. 125 del 2008 – il reddito dell’istante dovesse presumersi superiore al limite previsto, avendo il B. precedenti penali idonei a determinare in ossequio alla richiamata disposizione l’operatività della presunzione di superamento dei limiti reddituali per l’ammissione al beneficio.

Il Tribunale di Palermo rigettava poi il ricorso proposto nell’interesse del B., ritenendo condivisibili le argomentazioni del primo giudice ed affermando la retroattività del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 4 bis.

Avverso tale provvedimento veniva proposto nell’interesse dell’istante una ulteriore opposizione, dichiarata inammissibile dal Presidente della Corte di appello sul rilievo che l’unica impugnazione possibile sarebbe stata il ricorso per cassazione.

Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione B. L., tramite difensore, articolando un unico motivo con il quale lamenta la violazione dell’art. 568 c.p., comma 5, sul rilievo che il giudicante avrebbe dovuto convertire l’opposizione in ricorso per cassazione e rimettere gli atti a quel giudice per il giudizio.

Il ricorso è fondato con riferimento al motivo di carattere processuale.

In linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v.

Sezioni unite, 31 ottobre 2001, De Palma e, da ultimo, Sez. 5^, 28 aprile 2009, PM in proc. Mare, rv 243888), che il Collegio condivide, in tema di impugnazioni, allorchè un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchè l’esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente, stante la "ratio" dell’art. 568 c.p.p., comma 5, intesa a valorizzare il "favor impugnationis".

L’impugnazione proposta con atto del 20.9.2009 va, pertanto, qualificata come ricorso per cassazione, così come sostenuto dal ricorrente.

Ciò premesso, il ricorso è nel merito infondato.

La decisione dei giudici di merito non si appalesa inficiata da illogicità e/o violazione di legge, tenuto conto che si fonda sul consolidato principio affermato da questa Corte (da epoca ben antecedente alla Legge di Conversione 24 luglio 2008, n. 125, del D.L. 23 maggio 2008, che ha introdotto nel D.P.R. n. 115 del 2002 il citato art. 76, comma 4 bis) secondo il quale ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato rilevano anche i redditi da attività illecite, che possono essere accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c. (v. tra le tante, Sez. 4^, 4 ottobre 2005, B., rv 232908).

Nella fattispecie in esame, pertanto, come già rilevato da questa Corte con sentenza di questa Sezione in data 20 maggio 2010, Di Stefano, rv. 2473000, non rileva, quindi, la recente sentenza della Corte Costituzionale del 14-16 aprile 2010, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del precitato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76, comma 4-bis, "nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nella stessa norma il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non ammette la prova contraria". Il Giudice delle leggi, difatti, ha ritenuto che "ciò che contrasta con i principi costituzionali è il carattere assoluto di tale presunzione", come introdotta da quel precitato comma, e che "la norma censurata sia costituzionalmente illegittima nella parte in cui non ammette la prova contraria"; mentre "l’introduzione, costituzionalmente obbligata, della prova contraria, non elimina dall’ordinamento la presunzione prevista dal legislatore, che continua dunque ad implicare una inversione dell’onere di documentare la ricorrenza dei presupposti reddituali per l’accesso al patrocinio. Spetterà al ricorrente dimostrare, con allegazioni adeguate, il suo stato di non abbienza, e spetterà al giudice verificare l’attendibilità di tali allegazioni, avvalendosi di ogni necessario strumento di indagine".

Nel caso in esame, i giudici non sono pervenuti al divisamento espresso in virtù di una costituzionalmente censurata presunzione assoluta, ma hanno dato espressamente conto (v. in particolare sul punto il provvedimento della Corte di Assise di Palermo del 20 febbraio 2009 la cui motivazione può ritenersi integrare quella posta a base del provvedimento impugnato, in quanto conforme) che l’operatività della presunzione di superamento dei limiti reddituali previsti per l’ammissione al beneficio, determinata dai precedenti penali dell’imputato, non è stata caducata da elementi di prova di segno contrario, neppure allegati dall’interessato.

La valutazione afferente la insussistenza del requisito reddituale è stata, pertanto, compiuta in base a presunzioni semplici del tutto logiche, non inficiate da rinvenibili elementi di giudizio di prova contraria.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e, qualificata come ricorso per cassazione l’impugnazione proposta con atto del 20.9.2009, lo rigetta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *