Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 22-12-2010) 03-02-2011, n. 4133 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.P. ricorre in cassazione avverso l’ordinanza, in data 15.10.2010, del Tribunale di Lecce – sezione riesame – di rigetto della richiesta di riesame riguardante l’ordinanza applicativa della misura cautelare nei suoi confronti emessa dal GIP del Tribunale dello stesso capoluogo il 20.09.2010, in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. Si denuncia violazione dell’art. 273 c.p.p. per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73;

violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), con riferimento alla autonoma indicazione dei gravi indizi di colpevolezza ed alla valutazione sulle esigenze cautelari; vizio di motivazione.

Si premette che G.P. risponde esclusivamente del reato di cessione di una dose di sostanza stupefacente, tipo cocaina, a tale M.F.. Si eccepisce che il GIP ha omesso qualsiasi autonoma valutazione rispetto alle richieste del P.M.: l’ordinanza di custodia cautelare si limita a trascrivere integralmente la richiesta del P.M.. Sul punto il Tribunale del riesame ha ritenuto di poter integrare con il proprio provvedimento l’originaria ordinanza cautelare. Si rileva, però, che l’ordinanza del GIP era mancante della parte argomentativa, nè il riferimento alle fonti indiziarie poteva ritenersi motivazione.

Il ricorso non può trovare accoglimento, laddove si risolve in una censura sulla valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del provvedimento de libertate che esula dai poteri di sindacato del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale nè manifestamente illogico, nè viziato dalla non corretta applicazione della normativa di settore.

Innanzitutto, la motivazione del Tribunale del riesame in ordine all’eccezione relativa alla nullità dell’ordinanza cautelare per carenza di motivazione (rectius per motivazione apparente sostenendosi l’apodittica condivisione da parte del GIP della richiesta del P.M.), è pienamente condivisibile in quanto aderente al dettato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte. Ed invero, è stato costantemente affermato che in tema di misure cautelari personali, il coordinamento fra il disposto dell’art. 292, comma secondo, lett. c) e c bis) e quello dell’art. 309 c.p.p. consente di affermare che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda "de libertate", onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra libertà del singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva deve essere relegata a ultima "ratio" delle determinazioni adottabili. Tale nullità può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso grafico ovvero, qualora, pur esistendo una motivazione, essa si risolva in una clausola di stile, onde non sia possibile, interpretando e valutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (V. Sez. 4, Sentenza n. 45847 del 08/07/2004 Cc. Rv. 230415; Sez. 3, Sentenza n. 41569 del 11/10/2007 Cc. Rv. 237903; Sez. 2, Sentenza n. 39383 del 08/10/2008 Cc. Rv. 241868; Sez. 5, Sentenza n. 16587 del 24/03/2010 Cc. Rv.

246875) Ciò precisato, quanto alla contestazione relativa alla sussistenza dei gravi indizi va ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice (di recente, ex pluribus, Cass., Sez. 4, 4 luglio 2003, Pilo; nonchè, Sez. 4, 21 giugno 2005, Tavella). Ciò che, nella specie, il ricorrente fa quando si limita a contestare "nel merito" il quadro probatorio a carico evidenziato nell’ordinanza cautelare, fondato sul contenuto di intercettazioni plurime, il cui significato probatorio è stato analizzato con attenzione ed è supportato da una motivazione dell’impugnata ordinanza ampiamente esaustiva, specie ove si consideri che si tratta di una decisione de libertate. Infatti, non può essere dimenticato che, nella materia de libertate, la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi" inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la "prova logica o indiretta", ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192 c.p.p., comma 2) che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. E ciò deve affermarsi anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 1 marzo 2001, n. 63: infatti, nella fase cautelare è ancora sufficiente il requisito della sola gravità ( art. 273 c.p.p., comma 1), giacchè l’art. 273 c.p.p., al comma 1 bis (introdotto, appunto, dalla suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non dell’art. 192 c.p.p., il comma 2, che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancora, Cass., Sez. 4, 4 luglio 2003, Pilo;

nonchè Sez. 4, 21 giugno 2005, Tavella). La censura non coglie, quindi, nel segno: non emergono nella decisione gravata violazioni di norme di legge e, nel merito, le argomentazioni a supporto della ordinanza custodiale non sono sindacabili in questa sede, a fronte della rappresentazione, non illogica, di un quadro indiziario senz’altro grave nei termini di cui si è detto, che consente, per la sua consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, sarà idoneo a dimostrare la responsabilità del prevenuto, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr. Cass., Sez. 2, 19 gennaio 2005, Paesano). Mentre non è inutile sottolineare, per corrispondere ad uno degli argomenti della doglianza, che, dal punto di vista probatorio, per ritenere il reato di detenzione a fini di spaccio e finanche quello di spaccio, non sono certamente indispensabili il sequestro o il rinvenimento di sostanze stupefacenti, poichè la consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie, quali nella specie il contenuto delle intercettazioni (cfr., per riferimenti, Cass., Sez. 6, 14 ottobre 1986, Manara).

Non miglior sorte può avere la doglianza articolata in punto di adeguatezza della misura cautelare, avendo il tribunale ampiamente motivato sulla pericolosità sociale dell’indagato (apprezzando la gravità del reato, dimostrata dalla pluralità di episodi di spaccio in cui il medesimo risultava coinvolto e dal quantitativo complessivo della droga trattata nell’arco temporale oggetto di investigazioni), in tal modo giustificando in modo adeguato la scelta della misura cautelare degli arresti domiciliari, del resto già più gradata rispetto a quella della custodia in carcere. Anche con questa doglianza, il ricorrente vorrebbe, inammissibilmente, che questa Corte esercitasse un controllo di merito, attraverso una non consentita rilettura della vicenda e una parimenti non consentita rinnovazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità, effettuato dal giudicante in modo rispettoso del disposto normativo ( art. 275 c.p.p., commi 2 e 3).

Mentre, parimenti in modo corretto ed adeguato, il giudicante ha motivato sulla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva. Come è noto, in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c), la pericolosità sociale dell’indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua pericolosità.

Peraltro, nulla impedisce di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere: in vero, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (ex pluribus, Cass., Sez. 1, 14 maggio 2003, Franchi; più di recente, Cass., Sez. 2, 22 giugno 2005, Pezzano).

E’ quanto risulta essere stato fatto nella vicenda de qua, per le ragioni suindicate.

Infine, per quanto attiene al profilo della pretesa applicabilità della fattispecie attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, cui il ricorrente attribuisce rilevanza perchè avrebbe potuto importare il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena (e con essa il divieto di applicare la misura carceraria), basta osservare che trattasi di doglianza priva di fondatezza (a non voler considerare che il numero degli episodi sub iudice e la quantità di droga all’evidenza trattata sono parametri oggettivi non conferenti con la concedibilità dell’attenuante de qua) in quanto il giudicante, con apprezzamento incensurabile, ha ritenuto comunque di formulare, in ragione dell’acclarato coinvolgimento del prevenuto (a livello professionale) nello smercio di sostanze stupefacenti, un giudizio prognostico sfavorevole.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende in considerazione delle ragioni del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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