T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 28-01-2011, n. 126 Appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto n. 3577 del 27 giugno 1968 la Commissione provinciale assegnazione alloggi presso l’Ufficio del Genio civile di Catanzaro ha comunicato al sig. A.F., suocero dell’odierna ricorrente, l’assegnazione di un alloggio sito a Catanzaro, in piazza Dante n. 2. Dopo la morte dell’originario assegnatario, fino al 1997, l’appartamento è stato abitato dal figlio, sig. M.A., coniuge della ricorrente, il quale ha provveduto a pagare tutte le rate di riscatto dell’appartamento acquistandone in tal modo la proprietà (in qualità di figlio convivente).

Con ordinanza n. 51 del 18 dicembre 2000 l’Ufficio del riordino abitativo ha disposto la requisizione immediata dell’alloggio in questione per far fronte ad emergenze abitative. Questo provvedimento è stato impugnato davanti al T.A.R. Calabria – sede di Catanzaro ed annullato con sentenza n. 597 del 9 aprile 2001.

Con successiva ordinanza n. 25 del 26 novembre 2001 il Comune di Catanzaro dichiarava il sig. M.A. decaduto dall’assegnazione dell’alloggio.

Il ricorso proposto avverso detta seconda ordinanza è stato respinto dal T.A.R. Calabria con sentenza n. 2406/2004, riformata in appello con decisione della V Sezione del Consiglio di Stato n. 13/2006, che ha annullato l’ordinanza comunale n.25/2001, per essere risultata provata la qualità di erede e di legittimo proprietario del sig. A.M. per aver pagato integralmente il prezzo dell’appartamento.

Stante l’inerzia dell’Amministrazione nella restituzione dell’immobile, il Consiglio di Stato, adito in sede di giudizio di ottemperanza, con decisione n. 252/07 ha accolto il ricorso e dichiarato l’obbligo del Comune di Catanzaro e dell’ATERP di procedere a tale restituzione disponendo la nomina del commissario ad acta in caso di perdurante inerzia.

L’appartamento è stato restituito solo in data 17 settembre 2007, in seguito alla nomina del commissario ad acta.

L’odierna ricorrente, in qualità di moglie ed erede del sig. M.A. (deceduto in data 7 febbraio 2008) ha proposto il presente ricorso al fine di ottenere il risarcimento dei danni materiali e morali subiti a causa della illecita detenzione dell’immobile da parte del Comune e per il ritardo con cui lo stesso è stato restituito. In particolare, la ricorrente chiede che vengano condannate le amministrazioni resistenti a pagare (a titolo di danno patrimoniale) i canoni dovuti e che avrebbe percepito se l’appartamento fosse rimasto nella sua disponibilità dalla data del primo provvedimento di requisizione del 18 dicembre 2000 al 17 settembre 2007, data in cui è stato restituito l’immobile; la ricorrente chiede anche il pagamento degli importi calcolati per il ripristino dell’immobile requisito, e infine della somma di 30 mila euro da liquidarsi a titolo di danno non patrimoniale.

Si è costituito in giudizio il Comune di Catanzaro eccependo in primo luogo il difetto di giurisdizione in quanto la controversia posta all’attenzione del Tribunale non si riferisce alla fase antecedente a quella dell’assegnazione dell’alloggio requisito, ma al momento successivo della stipula del contratto. Trattandosi, quindi, di questione connessa a posizioni di diritto soggettivo, il giudice legittimato a conoscere della presente controversia dovrebbe essere il giudice ordinario e non quello amministrativo. Ancora di più sussisterebbe l’eccepito difetto di giurisdizione, secondo quanto affermato dalla difesa del Comune resistente, se si considera che la ricorrente va considerata proprietaria dell’appartamento requisito per averlo riscattato, secondo quanto statuito dal Consiglio di Stato nella sentenza 13/2006.

Il Comune eccepisce anche che l’azione risarcitoria sarebbe inammissibile per intervenuta prescrizione atteso che la ricorrente chiede il risarcimento dei danni subiti a seguito della sentenza del Tar Calabria n. 597/2001 e passata in giudicato nell’anno 2002.

Infine, il Comune resistente afferma l’inammissibilità dell’azione risarcitoria per mancanza dei relativi presupposti.

Si è costituita in giudizio l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica di Catanzaro affermando in primo luogo la propria estraneità alla vicenda di cui al contenzioso non avendo emanato nei confronti della ricorrente o del suo dante causa alcun atto illegittimo né adottato alcun materiale comportamento illecito, nemmeno nella fase di restituzione dell’alloggio prima requisito.

Si è, infine, costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno chiedendo, in primis, che venga dichiarato il proprio difetto di legittimazione passiva, eccependo poi la prescrizione del diritto al risarcimento ed infine affermando l’infondatezza nel merito del ricorso proposto.

Alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2009 è stata disposta, con ordinanza n. 22/2010, una verificazione in contraddittorio fra le parti per accertare la consistenza dei danni arrecati all’immobile e il relativo valore locativo di cui il legittimo proprietario è stato privato.

L’incarico per l’espletamento della verificazione è stato affidato all’Ufficio Tecnico del Comune di Catanzaro.

Assolto il prescritto incombente istruttorio, alla pubblica udienza del 19 novembre 2010 il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione.

Preliminarmente il Collegio ritiene di estromettere dal giudizio il resistente Ministero dell’interno per difetto di legittimazione passiva.

Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Il primo luogo vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal Comune resistente.

Per quanto concerne il difetto di giurisdizione, per essere la controversia all’origine della presente pretesa patrimoniale riservata alla cognizione del giudice ordinario, l’eccezione così formulata è infondata. Infatti, sulla giurisdizione dell’adito giudice amministrativo in ordine alla controversia concernente l’ordinanza recante decadenza dall’alloggio si è oramai formato giudicato. In quella occasione la medesima amministrazione comunale aveva eccepito il difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo. E questo Tribunale con la sentenza n. 2406/2004 si è su detta questione puntualmente pronunciato, ritenendo che " la controversia concernente censure mosse ad un provvedimento che dichiara la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale popolare emesso all’esito di un procedimento amministrativo rientra nella nuova giurisdizione esclusiva disegnata per i servizi pubblici dalla Corte Cost. n. 204/2004". L’eccezione, così decisa dal giudice di prima istanza, non è stata riproposta davanti al giudice di appello, per cui sul punto la pronuncia è diventata definitiva.

Occorre al riguardo ricordare che "l’effetto devolutivo dell’appello esplica i propri effetti solo nei limiti in cui le censure vengano riproposte dai soggetti interessati, con formazione di giudicato parziale per i capi della sentenza che non risultino oggetto di impugnazione ("tantum devolutum, quantum appellatum") "(cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 06 maggio 2008, n. 2013)

Conclusivamente sul punto, la questione della giurisdizione è oramai coperta da giudicato e la riproposizione della medesima eccezione nella presente controversia risarcitoria sarebbe peraltro segnata dalla violazione della regole del ne bis in idem.

Con specifico riferimento poi alla presente pretesa risarcitoria, osserva il Collegio che, avendo il giudice amministrativo giurisdizione sulla domanda di annullamento dell’atto impugnato, lo stesso dovrà decidere anche la domanda di risarcimento danni proposta successivamente ed in via autonoma. La giurisprudenza amministrativa a tal proposito ha, infatti, affermato che "anche se il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un atto amministrativo illegittimo e lesivo di interessi legittimi è, a sua volta, un diritto soggettivo, la giurisdizione amministrativa sussiste costituendo il risarcimento del danno uno strumento di tutela ulteriore che completa quella prevista dall’art. 24 cost., anche se non proposta unitamente al ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo." (cfr. T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 16 maggio 2006, n. 321).

Rientra, quindi, nella giurisdizione del giudice amministrativo la decisione sulla domanda di risarcimento danni anche se proposta in via autonoma dopo l’annullamento del provvedimento che li ha causati e ciò in quanto il nesso tra illegittimità dell’atto e responsabilità dell’Autorità amministrativa che lo ha posto in essere non ha diversa natura nè è meno stretto o di diversa intensità se le due questioni dibattute (id est, quella di non conformità a legge della misura autoritativa e quella di responsabilità per i danni che ne sono derivati) sono esaminate e risolte uno actu o in separati giudizi (cfr. T.A.R. Lazio n. 2268/2006).

La configurazione del risarcimento come strumento di tutela ulteriore, unitamente a ragioni di economia processuale, non disgiunte dalle esigenze di ragionevole durata del processo, inducono alla concentrazione, davanti a un unico giudice, delle pronunce sui diritti consequenziali all’annullamento.

Il Comune resistente eccepisce anche la prescrizione dell’azione risarcitoria in quanto la ricorrente, con il ricorso in esame, chiede il risarcimento dei danni subiti a seguito della sentenza del Tar Calabria n. 597/2001 e passata in giudicato nell’anno 2002. Afferma il Comune che l’azione risarcitoria sarebbe prescritta per il decorso dei cinque anni previsti dalla legge sia che il termine prescrizionale venga riferito al passaggio in giudicato della sentenza 597/2001, sia che invece venga collegato alla data, anteriore, di adozione del provvedimento comunale poi annullato(dicembre 2000).

Anche detta eccezione non è fondata.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha costantemente affermato che il termine prescrizionale di cinque anni per far valere l’azione di risarcimento decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’atto ritenuto illegittimo e non dalla data dell’illecito (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 30 aprile 2010, n. 8979 – T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 04 giugno 2010, n. 2392). Il dies a quo per il computo della prescrizione non va, quindi, fatto risalire al momento dell’adozione del provvedimento amministrativo lesivo in quanto, a tal fine occorrendo il previo annullamento dell’atto amministrativo. Per cui, in applicazione della regola civilistica secondo cui la prescrizione comincia a decorrere non già da quando il diritto è sorto, bensì da quando il diritto può essere fatto valere ( art. 2935 c.c.), la pretesa risarcitoria può farsi valere solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento e, dunque, la prescrizione inizia a decorrere solo da tale momento. (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 14 luglio 2010, n. 16772).

Peraltro, va soggiunto che la sentenza di annullamento che fonda l’azione risarcitoria è quella del Consiglio di Stato n. 13/06 che ha riformato la sentenza n. 2406/04 del Tar Calabria ed ha condotto all’annullamento del provvedimento n. 25/2001 con cui era stato dichiarata la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica del sig. M.A., coniuge dell’odierna ricorrente, concludendo in via definitiva la vicenda. Alla sentenza n. 597/2001 del Tar Calabria, con la quale era stata disposto l’annullamento del provvedimento di requisizione dell’alloggio della ricorrente, infatti, non è seguita la restituzione dell’appartamento, ma un nuovo provvedimento recante decadenza dall’assegnazione dell’alloggio, il cui esito processuale è stato appena richiamato.

In applicazione della innanzi richiamata giurisprudenza, la sentenza passata in giudicato da considerare quale termine iniziale per la decorrenza del termine prescrizionale di cinque anni è quella del giudice di appello, per cui essendo stata questa pubblicata il 3 gennaio del 2006 ed essendo stato il presente ricorso notificato alle parti resistenti in data 12 dicembre 2008 risulta evidente che l’azione risarcitoria è proposta nei termini e non può considerarsi prescritta.

Per quanto concerne il merito del ricorso, questo va in parte accolto perché fondato ai sensi e nei limiti di cui meglio in seguito.

La ricorrente chiede che le venga liquidato una somma per ripristinare le condizioni dell’appartamento, i canoni meglio indicati in fatto e un importo pari a 30.000 euro a titolo di danno non patrimoniale.

La responsabilità patrimoniale della p.a. per attività provvedimentale illegittima si inserisce, com’è noto, nello schema della disciplina della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., per cui dall’annullamento dell’atto illegittimo non consegue automaticamente il risarcimento del danno, rendendosi prima necessario l’accertamento dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione.

Infatti, il risarcimento del danno a carico della Pubblica amministrazione non costituisce un semplice effetto automatico dell’annullamento del provvedimento impugnato, richiedendo esso la verifica positiva di specifici requisiti, quali l’accertamento dell’imputabilità dell’evento dannoso alla responsabilità dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale ingiusto, il nesso causale tra l’illecito compiuto e il danno subito, e una condotta dell’Amministrazione caratterizzata dalla colpa (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5160). Ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno deve quindi valutarsi la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa e come è stato già affermato da questa Sezione, l’imputazione dell’elemento dannoso a titolo di dolo o colpa della P.A. può ritenersi sussistente nell’ipotesi in cui l’adozione della determinazione illegittima, che apporti lesione all’interesse del soggetto, si sia verificata in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione a cui deve ispirarsi l’attività amministrativa nel proprio esercizio, ovvero quando l’azione amministrativa sia caratterizzata da negligenza nell’interpretare ed applicare la vigente normativa (cfr. T.A.R. Catanzaro, I Sezione, 7 luglio 2010 n. 1545).

I provvedimenti dell’amministrazione comunale che hanno condotto alla complessa vicenda contenziosa e cioè quello di requisizione dell’alloggio e quello di decadenza dell’assegnazione dell’alloggio medesimo si riferiscono ad un alloggio di cui, alla data di adozione dei medesimi, era già proprietario il sig. A.M., coniuge dell’odierna ricorrente, che a suo tempo era subentrato al padre originario assegnatario, per essere intervenuto il pagamento di tutte le quote per il riscatto dello stesso. Tale dato di fatto emerge chiaramente anche dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 13/2006 laddove si legge che "è provato e non contestato l’avvenuto pagamento integrale del prezzo, e la qualità di erede dell’appellante (sig. M.A.) è addirittura affermata, per due volte, nel provvedimento impugnato" altresì osservando il giudice di appello che "chi è divenuto proprietario non può essere dichiarato decaduto per mancata abitazione".

Il Comune pur essendo a conoscenza di detta circostanza, e cioè che l’appartamento era stato assegnato a riscatto, dopo l’adozione della prima ordinanza di requisizione dell’appartamento e il suo annullamento da parte del Tar Calabria con la sentenza 597/2001, invece di restituire l’appartamento ha adottato un nuovo provvedimento dichiarativo della decadenza dell’assegnazione dello stesso.

Ma vi è di più. A sostegno della sussistenza nella specie di una condotta colpevole dell’amministrazione va rilevato che l’appartamento non è stato rilasciato neanche a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 13/2006, che ha annullato il secondo provvedimento, ma ciò è avvenuto solo in seguito alla nomina del Commissario ad acta, a seguito del giudizio di ottemperanza (decisione n. 252/07), che in data 17 settembre 2007 ha provveduto alla restituzione dell’appartamento requisito.

Alla luce di tali fatti si può ritenere accertato e sussistente l’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione per essere stata la sua condotta palesemente violativa delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, il che fonda la responsabilità del Comune di Catanzaro e il conseguente obbligo di questo di risarcire i danni prodotti dalla sua illegittima attività provvedi mentale, nei limiti del solo danno patrimoniale.

Riconosciuto alla ricorrente il diritto ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, la quantificazione dello stesso, trattandosi di mancato godimento di un bene, può essere commisurata all’impossibilità di ritrarre le utilità normalmente derivanti dalla fruizione dell’immobile, in relazione alla natura fruttifera di esso. Tale danno può essere, quindi, quantificato facendo riferimento al valore locativo del cespite (in tema, tra le altre, Cass. Civ., Sez. II, 11 marzo 1995 n. 2859; id., 18 febbraio 1999 n. 1373; id., 7 giugno 2001 n. 7692; id. 29 gennaio 2003 n. 1294).

I danni patrimoniali possono essere liquidati secondo la relazione predisposta dal verificatore in contraddittorio tra le parti e individuato nell’Ufficio tecnico del Comune di Catanzaro da questo giudice con l’ordinanza collegiale n. 22/2010 del 3 febbraio 2010.

Dalla relazione del verificatore versata agli atti di causa in data 7 aprile 2010 emerge che il valore locativo mensile dell’immobile è pari all’importo di 300 euro. Tale valore locativo è riferito dal verificatore all’intero periodo durante il quale l’appartamento è stato sottratto alla disponibilità della ricorrente (5 gennaio 2001 – 17 settembre 2007). L’importo complessivo del danno riferito al mancato percepimento dei canoni locativi va quindi calcolato tenendo conto della rivalutazione secondo gli indici istat e degli interessi compensativi, che andranno calcolati sul singolo rateo dalla maturazione del diritto fino all’effettivo soddisfo. Inoltre, il verificatore ha fissato in euro 8.163,14 euro la somma necessaria per il ripristino delle condizioni per l’utilizzo dell’appartamento. Giova rammentare che la ricorrente ha, giusta verbale di verifica in contraddittorio del 29 marzo 2010, ritenuto soddisfacenti le valutazioni del verificatore e quindi concordato con le stesse.

Il pagamento degli importi dovuti a titolo di risarcimento del danno per le indicate voci (ripristino dell’appartamento e mancata disponibilità dello stesso) è posto a carico del Comune di Catanzaro per aver detta amministrazione posto in essere i provvedimenti illegittimi produttivi di danno.

La ricorrente chiede, infine, che le venga riconosciuto il danno non patrimoniale, in quanto la vicenda contenziosa ha prodotto su di essa riflessi esistenziali negativi, oltre al peggioramento della qualità della vita del coniuge assegnatario dell’appartamento, sig. M.A..

In particolare, tra i diritti costituzionalmente tutelati e collegati alla personalità dell’individuo, la cui lesione legittimerebbe la domanda risarcitoria della ricorrente, vi sarebbero il diritto all’abitazione e alla serenità della vita familiare, che nella specie la ricorrente afferma lesi.

Come è noto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con quattro contestuali sentenze di contenuto identico (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11 novembre 2008) hanno di recente proceduto ad una rilettura in chiave costituzionalmente orientata del disposto dell’art. 2059 cc, ritenuto principio informatore del diritto, come tale vincolante anche nel giudizio di equità, da leggersi – non già come disciplina di un’autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all’art. 2043 c.c. – bensì come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie) sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 c.c., e cioè: la condotta illecita, l’ingiusta lesione di interessi tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.

In tale prospettiva la peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua tipicità, avuto riguardo alla natura dell’art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge (e quindi ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali inviolabili presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la precisazione in quest’ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguentemente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e cioè superi la soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario) (cfr. Corte di Cassazione, Sez..Un., n. 18356 del 19 agosto 2009).

Ciò precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste la lamentata lesione di valori costituzionalmente garantiti, tale da poter essere risarcita. In primo luogo, infatti, deve ritenersi insussistente la violazione del diritto all’abitazione, atteso che l’appartamento requisito non era occupato dalla famiglia della ricorrente in quanto la stessa abita stabilmente in altro appartamento di proprietà. Inoltre, la serenità familiare (peraltro di ben difficile monetizzazione) non può dirsi seriamente turbata dalla vicenda contenziosa, la quale è piuttosto inquadrabile in quegli sconvolgimenti della quotidianità "consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione" ritenuti non meritevoli di tutela risarcitoria (vedi Corte Cass. Sez. 3^ n. 8703/2009).

Alla luce di tali argomentazioni, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale non può essere accolta.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il Collegio accoglie il ricorso per quanta parte concerne la richiesta di risarcimento di danno patrimoniale e lo respinge per quanta parte concerne la richiesta di risarcimento di danno non patrimoniale.

Sussistono giustificate ragioni per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna il Comune di Catanzaro a pagare le somme dovute alla ricorrente a titolo di danno patrimoniale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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