T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 28-01-2011, n. 566 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali Bellezze naturali e tutela paesaggistica Vincoli di inedificabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Col ricorso in esame M.G.C. impugna – in uno all’allegata relazione storicoarcheologica – il decreto indicato in epigrafe col quale il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha sottoposto a vincolo archeologico, dichiarandola di interesse particolarmente importante ai sensi del d.lgs. 29.10.1999, n. 490, insieme ad altre, l’area di sua proprietà, identificata in catasto al f. 2, p. 30 nelle mappe del Comune di Sant’Arpino, in quanto interessate dai resti archeologici descritti nell’allegata relazione redatta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta.

L’impugnativa censura:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, degli artt. 3 e 43 della legge n. 1089 del 1939, degli artt. 2, 5, 6 e 8 del d.lgs. n. 490 del 1999, difetto assoluto di istruttoria, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, in quanto l’applicazione delle misure di tutela previste dalla legge n. 1089 del 1939 presuppone, con riguardo al patrimonio archeologico, il compimento di attività volte al rinvenimento di depositi archeologici, il riscontro oggettivo della fondatezza delle fonti da cui dedurne la presenza e, in conseguenza, la certezza dell’esistenza di reperti sull’area da sottoporre a vincolo, nel mentre le attività poste in essere nel caso di specie dall’amministrazione si sarebbero risolte nella elencazione di fatti e riferimenti storici idonei a formulare mere ipotesi in ordine a ritrovamenti nell’area in questione, ma non anche ad attestare la presenza di resti archeologici che giustificherebbe l’imposizione di un vincolo definitivo;

2) ulteriore violazione della normativa sub 1, violazione del giusto procedimento, insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, travisamento dei fatti, sviamento dell’azione amministrativa, erroneità dei presupposti, in quanto il difetto di istruttoria si tradurrebbe in una insufficiente e inadeguata motivazione con riguardo all’esistenza di elementi concreti che diano certezza in ordine alla localizzazione di ritrovamenti archeologici sull’area in esame, risolvendosi il provvedimento gravato in una serie di mere ipotesi scientifiche inidonee a giustificare l’apposizione di un vincolo diretto, apparendo invece più idonea l’apposizione di un vincolo temporaneo, ex art. 43 l. n. 1089 del 1939, che ha come finalità proprio la ricerca di reperti;

3) ulteriore violazione e falsa applicazione della normativa sub 1) e sub 2), falsità dei presupposti, violazione del principio di contemperamento degli interessi pubblici e privati nonché di quello di proporzione e ragionevolezza dell’azione amministrativa in quanto, in assenza di elementi certi in ordine all’esistenza di reperti archeologici, è stato creato un vincolo su un’area, di proprietà della ricorrente, di ben 24.000 mq., così imponendo al privato un sacrificio non adeguato all’importanza archeologica del sito.

Si è difeso il Ministero intimato chiedendo la reiezione del ricorso.

All’esito dell’odierna udienza la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

La ricorrente censura sotto vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere il provvedimento statale che ha apposto il vincolo archeologico ex lege n. 1089 del 1939 su un’area di sua proprietà, non interessata direttamente da ritrovamenti di reperti archeologici, ma individuata in ragione dell’"altissimo grado di probabilità di rinvenire strutture da mettere in luce e successivamente da valorizzare", nonché della "possibilità di salvaguardare le caratteristiche storicoarcheologiche e topografiche dell’antico sito, vista anche l’eccezionalità della circostanza che esso è ancora recuperabile malgrado le trasformazioni subite dal territorio".

Sul punto la giurisprudenza, anche di questa Sezione (cfr. sentt. 15 dicembre 2010, n. 27388 e 14 gennaio 2011, n. 128), statuisce costantemente nel senso che "il vincolo può essere esteso ad intere aree in cui siano disseminati i ruderi archeologici, chiarendosi che è necessario che questi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e, dunque, in mancanza di possibilità d’adozione di soluzioni meno radicali ed, in ogni caso, in esclusione di un’imposizione sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse perseguita" (v. anche Tar Campania, Salerno, Sez. I, n. 11282/2010); e che "è legittima la sottoposizione a vincolo archeologico di un’intera zona, considerata come parco o complesso archeologico, anche se i reperti riportati alla luce siano stati rinvenuti soltanto in alcuni terreni vincolati, purché dalla motivazione del provvedimento di vincolo emergano le specifiche ragioni che giustificano una valutazione unitaria della zona di pregio archeologico e sia indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali della zona vincolata. Peraltro, la giurisprudenza ha sempre affermato che il provvedimento di imposizione di vincolo archeologico, costituisce espressione di valutazioni tecnicodiscrezionali, sindacabili dal g.a. sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione" (C.d.S., Sez. VI, n. 3962/2009).

In conseguenza, ai fini dell’imposizione del vincolo archeologico (cfr., sul punto, questa Sezione, sentt. 3 agosto 2006, n. 7794 e 15 dicembre 2010, n. 27388 cit.), l’effettiva esistenza delle cose da tutelare con vincolo diretto – e, dunque, a prescindere dalla imposizione di un vincolo temporaneo – può essere dimostrata anche per presunzioni ed è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il sito da vincolare risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato (in tal senso C.d.S., Sez. VI, 1° marzo 2005, n. 805), finalità fra le quali sono ricomprese quelle di consentire la prosecuzione delle ricerche dei reperti archeologici re adhuc integra (C.d.S., Sez. VI, 27 marzo 2001, n. 1766).

Posto tale quadro interpretativo, nel caso di specie il provvedimento ministeriale appare motivato in modo sufficiente e congruo sia con riguardo all’unitarietà dell’area dal punto di vista storicoarcheologico che da quello della esatta individuazione degli immobili incisi dal vincolo e dell’interesse pubblico alla loro integrale conservazione.

Emerge infatti dalla relazione storicoarcheologica (la quale – in uno alla planimetria catastale allegata che vale a precisamente individuare tutte le aree sottoposte a vincolo – costituisce parte integrante del decreto impositivo) che l’immobile della ricorrente, costituito dalla particella di terreno n. 30 affoliata al n. 2 del catasto, rientra nella più vasta area urbana dell’antica Atella, esistente già dal periodo sannitico, ed è delimitata, da un lato, dalla Strada comunale S. Maria a Piro, identificata dalle fonti con il Cardine Massimo dell’antica città. In quest’area (e, come precisato dal Ministero nelle osservazioni depositate in giudizio il 10.6.2003, segnatamente sulle attigue particelle 33 e 80/b, già vincolate con decreto dell’1.8.1967), sono avvenuti numerosi ritrovamenti archeologici relativi ad una villa d’epoca romana e, più in generale, sono emersi tratti stradali realizzati fino all’epoca tardo imperiale, alcuni dei quali individuati attraverso saggi eseguiti nel 1984 proprio in via S. Maria a Piro. Ancora, nel 1933 è stato rinvenuto un tesoretto monetale sulla vicina particella n. 89; nel 1984, proprio nella zona compresa tra via S. Maria a Piro e le sue traverse sono state messe in luce evidenze del III secolo a.C. riferibili ad un quartiere di abitazioni con strutture in opus incertum e pavimenti in opus signinum, rinvenuti in grossi frammenti; nel 1982, a seguito di una indagine effettuata lungo la s.p. CaivanoAversa, nel tratto adiacente all’area considerata dal provvedimento impugnato, sono state individuate fosse utilizzate prima come cave e poi riempite con materiali di risulta dell’edilizia e dell’uso di ceramiche domestiche, nonché resti di strutture abitative con pavimenti in cocciopesto, tutti riferibili ad età tardorepubblicana e protoimperiale; tutto ciò oltre al complesso termale della stessa epoca rinvenuto in zona centrale ed alla attigua ricca doums pure rinvenuta e alle strutture murarie pertinenti ad un edificio a pianta quadrata e a tamburo circolare con resti di pavimento musivo e di muratura con tracce di rivestimento marmoreo, rivenuti a più riprese tra 1934 e il 1976 non lontano dal c.d. Castellone che è via comunale la quale pure delimita per altro lato l’area in questione.

Pertanto, si ipotizza fondatamente – e con ampie indicazioni bibliografiche pure richiamate nella relazione storicoarcheologica – che l’intera zona entro cui ricade l’immobile della ricorrente delimitato dal Cardo Massimo e adiacente il Decumano Massimo, sia interessata dall’area pubblica della città antica in un evidente collegamento unitario col tessuto urbano, già messo in evidenza dalle numerose emergenze archeologiche attestate sin dai primi anni del secolo scorso.

Peraltro, come evidenziato nella medesima relazione a maggiore attestato della necessità di considerare unitariamente l’area in questione, parte della città antica è già stata sottoposta a vincolo con dd.mm. intervenuti tra il 1967 ed il 2002 e "una vasta area è oggetto tra l’altro di un progetto di valorizzazione da parte del Comune e distinta nel PRG come Parco Archeologico".

Il complesso di questi elementi, ben rappresentati nel provvedimento de quo, è dunque idoneo, alla stregua del quadro normativo e giurisprudenziale più sopra rassegnato, a far ritenere il vincolo archeologico in questione senz’altro adeguato, sia nell’intensità che nell’estensione, alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato, in particolareper consentire la prosecuzione delle attività di ricerca e tutela dei reperti archeologici re adhuc integra.

La reiezione del ricorso impone di regolare le spese secondo il principio della soccombenza, con la liquidazione effettuatane in dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna M.G.C. a rifondere al Ministero per i Beni e le Attività Culturali le spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila), oltre maggiorazioni, I.V.A. e c.a.p., se dovuti, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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