Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 03-02-2011, n. 3878

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 17/6/08, dichiarava R.S. colpevole del reato di cui agli artt. 6 e 14, sanzionato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, lett. b), e lo condannava alla pena di Euro 6.000,00 di ammenda.

L’imputato a mezzo del proprio difensore proponeva appello, che ex art. 568 c.p.p. è stato rimesso all’esame di questa Corte, muovendo le seguenti censure:

-non sussiste l’elemento materiale del reato riguardo al deposito incontrollato dei filtri di olio, visto che la affermazione di colpevolezza, pronunciata dal giudice di merito, trae fondamento da meri indizi e non da prova certa;

-insussistenza dell’elemento materiale del reato di deposito incontrollato di olio esausto, in quanto, anche sul punto, non è ravvisabile alcuna emergenza istruttoria, che possa permettere di ritenere cristallizzato il reato;

-prescrizione del reato, perchè il relativo termine si è compiuto già alla data del 19/10/08, considerando la commissione dell’illecito al (OMISSIS).
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

La sentenza assoggettata ad impugnazione si palesa sorretta da una argomentazione motivazionale logica ed esaustiva.

Il giudice di merito, con puntuali richiami alle emergenze istruttorie, ha evidenziato come sia emerso, nel corso di un controllo effettuato in data (OMISSIS) dalla Polizia Ambientale presso la ditta "Reitano Gomme s.r.l.", che l’imputato aveva ivi depositato rifiuti speciali, prodotti dalla attività di officina e costituiti da filtri di olio e da olio esausto, in misura eccedente a quanto risultante dai registri di carico, nonchè batterie usate, non smaltite per un periodo di sedici mesi, di tal che, risultava provata la penale responsabilità del prevenuto in ordine al reato ad esso ascritto.

La difesa del R. con il ricorso muove censure in fatto, contestando la valutazione della piattaforma istruttoria, della quale fornisce una diversa interpretazione.

Orbene, nel momento del controllo di legittimità sulla motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. 1/10/02, Carta).

Di conseguenza il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dal giudice di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se detto decidente abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Esula, pertanto, dai poteri del giudice di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Cass. 19/9/02, Di Benedetto).

Quanto alla eccepita prescrizione rilevasi che la inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 22/11/2000, De Luca).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il R. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 c.p.p., deve essere, altresì, condannato a versare, in favore della Cassa delle Ammende, una somma, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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