Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-03-2011, n. 5418 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’architetto D.S.M. chiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale di Napoli che fosse ingiunto alla spa Bonifica il pagamento di L. 52.101.040 rappresentante l’acconto, pari al 10%, delle spettanze professionali, derivate dall’affidamento di un incarico -previsto da una convenzione che a suo tempo era intervenuta tra il Ministero dei Beni Culturali e l’associazione temporanea di imprese costituita tra la stessa spa Bonifica e l’Infrasud – avente ad oggetto l’elaborazione di una consulenza tecnica necessaria per l’istruttoria dei progetti redatti dagli appaltatori per i vari interventi previsti nella convenzione medesima. L’ingiunta propose opposizione sostenendo – per quanto qui ancora conserva interesse-: 1 – che la convenzione richiamata nel ricorso non aveva mai avuto attuazione ed era stata risolta a seguito di una sentenza del TAR Lazio; 2 – che l’opposto non aveva mai espletato le prestazioni oggetto dell’incarico. L’architetto D.S. si costituì contrastando l’opposizione e chiedendo in via riconvenzionale il pagamento del residuo importo per l’opera svolta, pari a L. 542.189.847.

L’adito Tribunale, dopo aver separato i giudizi relativi all’opposizione ed alla domanda svolta dall’opposto – per la quale si dichiarò incompetente per territorio – sospese anche il primo giudizio in attesa del passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato sulla perdurante efficacia della convenzione;

riassunto il procedimento lo stesso Tribunale, pronunziando sentenza n. 2323/2002, respinse l’opposizione, ritenendo che si fossero realizzati i presupposti previsti dalla convenzione a che il professionista potesse pretendere l’acconto oggetto di ingiunzione.

La Corte d’Appello di Napoli, sul gravame della spa Bonifica, pronunziò sentenza n. 1531/2004 con la quale riformò integralmente la sentenza, accogliendo l’opposizione: la Corte territoriale giunse a tale decisione ritenendo che il D.S. non avesse fornito la prova del compimento delle attività connesse all’incarico, dal momento che, da un lato, non si sarebbero rinvenuti in atti i faldoni contenenti la documentazione a riprova dell’espletamento del mandato professionale, pur se gli stessi erano descritti nel "foliario";

dall’altro che neppure sarebbe stato legittimo trarre – come invece operato dal primo giudice – argomenti di convincimento in merito all’effettuazione dell’incarico, da elementi presuntivi; del pari, sempre secondo la Corte, irrilevante sarebbe stato il riferimento al carattere di acconto forfettario che, secondo la convenzione, avrebbe rivestito la somma richiesta in via monitoria.

Il D.S. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, variamente articolato; la spa Bonifica ha risposto con controricorso e ricorso incidentale, tacendo valere due motivi.
Motivi della decisione

1 – Riuniti i ricorsi, a mente dell’art. 335 c.p.c. va preliminarmente scrutinato – per la sua pregiudizialità logica – il primo motivo di ricorso incidentale, con il quale la spa Bonifica lamenta la "omessa e contraddittoria motivazione circa la mancata dichiarazione di nullità del contratto di cui alla lettera d’incarico del 9 aprile 1992". 2 – Deduce la ricorrente incidentale che erroneamente, la Corte distrettuale avrebbe rilevato l’inammissibilità per tardività dell’eccezione di invalidità assoluta dell’accordo in questione – motivata dal fatto che, seguendo l’interpretazione patrocinata dal D.S., questi avrebbe avuto diritto quanto meno all’acconto a prescindere dall’effettiva prestazione dell’attività descritta in convenzione – non considerando che la nullità di un contratto della cui esecuzione si controverta in giudizio, può esser fatta valere anche in grado di appello.

Il motivo è inammissibile.

2/a – Deve innanzi tutto darsi atto che erroneamente la Corte d’Appello diede applicazione all’art. 345 c.p.c. nella formulazione derivante, dall’innovazione contenuta nella L. n. 353 del 1990, art. 52 – e successive modificazioni – non rilevando che la novella si applicava ai procedimenti iniziati dopo il 30 aprile 1995 (mentre dalla narrativa di fatto della gravata sentenza emergeva che il decreto ingiuntivo era stato emesso il 24 aprile 1995 – e quindi il ricorso monitorio doveva essere stato depositato in epoca anche anteriore-), residuando dunque la possibilità di far valere eccezioni in precedenza non proposte.

2/b – Ciò premesso deve peraltro constatarsi che. la ricorrente incidentale non ha riprodotto nè il testo della convenzione nè quello della lettera di affidamento di incarico al D.S.; va altresì escluso che la Corte possa effettuare idoneo scrutinio del motivo, sol basandosi su quanto riportato dal ricorrente principale a fol 14 dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità ("consulenza tecnica necessaria per l’istruttoria dei progetti redatti agli appaltatori per i vari interventi previsti nella convenzione di cui in premessa") per la parzialità della descrizione del testo che non permette di collegare il contenuto del mandato professionale al diritto a pretendere l’acconto – nesso che, se esistente nei termini esposti dal D.S., avrebbe dovuto essere scrutinato sotto il profilo del difetto di causa, giusta la prospettazione del ricorrente incidentale.

3 – Il D.S. lamenta, sotto diversi profili " minzione e falsa applicazione dell’art. 115 e dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 nella parte in cui si accoglie l’appello sull’erroneo presupposto che la parte appellata – oggi ricorrente – non ha adempiuto all’onere di provare la sua domanda, omettendo di esaminare la documentazione in atti", assumendo che la Corte distrettuale, oltre a ritenere addebitarle ad esso esponente il mancato reperimento della documentazione, sarebbe anche caduta in errore in ordine alla ripartizione della prova, avendo ritenuto che tosse onere dell’allora appellato dimostrare il proprio adempimento, mentre sarebbe stata la controparte – che assumeva la posizione di debitore – tenuta a dimostrare la soddisfazione del credito.

3/a – La censura è destituita di fondamento sia perchè, proprio per la giurisprudenza di legittimità citata dal D.S., spetta al creditore dimostrare la fonte del credito per la cui soddisfazione agisce e quindi – per dare un senso alla censura in sede di legittimità- riprodurre il testo del mandato professionale dalla cui esecuzione ripeteva il proprio diritto, sia anche perchè l’opposizione della spa Bonifica – che contestava il mancato perfezionamento del sinallagma – concretizzava un’eccezione riconvenzionale di inadempimento, a fronte della quale il creditore era onerato dal dimostrare di aver soddisfatto la propria prestazione, costituente il prius logico e temporale del pagamento dell’acconto.

4 – Assume poi il ricorrente principale che comunque la documentazione prodotta avrebbe di per sè dimostrato che il presupposto dell’espletamento – pur se iniziale – dell’incarico si era realizzato; sul punto del mancato rinvenimento dei faldoni contenenti la documentazione sostiene il D.S. che, da un lato, l’esistenza degli stessi doveva dirsi accertata in quanto attestata dalla indicazione di deposito, sottoscritta dal Cancelliere, contenuta nel fascicolo di primo grado; dall’altro che il mancato reperimento degli stessi avrebbe semmai determinato la necessità della rimessione della causa sul ruolo per far condurre dall’ufficio di cancelleria le opportune ricerche.

– Le censure esposte non meritano accoglimento.

4/a – Va innanzi tutto sottolineato che la convenzione originaria, in esecuzione della quale sarebbe stato dato incarico al professionista, non è stata riprodotta nel ricorso, violando dunque il principio di autosufficienza: dal momento che il contenuto di quei faldoni non illustrava l’opera professionale compiuta dal D.S. ma, semmai, ne costituiva il presupposto (sul punto v. infra), ciò comporta l’irrilevanza, ai fini della delibazione della censura di violazione delle norme sul procedimento, dell’inosservanza dell’obbligo di accertamento d’ufficio del presumibile errore della cancelleria nel non consegnare – sempre secondo prospettazione – al consigliere designato gli allegati al fascicolo di parte.

4/b – Non è quindi delibabile il punto centrale della controversia – seguito dal Tribunale nella semenza poi riformata – a mente del quale non sarebbe stata addirittura necessaria alcuna elaborazione progettuale da parte del D.S. in quanto il mandato professionale allo stesso si sarebbe limitato come detto, ad un’attività preparatoria e preliminare allo svolgimento di lavori progettati ed elaborati da altri: se dunque i faldoni non allegati avessero contenuto – come afferma il D.S. nel ricorso – "documenti che …provengono dalle società che parteciparono alla gara d’appalto per ciascuno del cantieri" ( (OMISSIS))…" il loro esame sarebbe stato comunque irrilevante dal momento che la Corte di Appello collegò, con motivazione congrua e logica – e comunque non censurata per violazione delle regole di ermeneutica negoziale – il mancato riconoscimento del diritto all’acconto alla mancata prova di una personale attività del professionista che avrebbe dovuto svolgersi su quegli elaborati.

4/c – Va altresì sottolineato che lo stesso ricorrente ammette che i faldoni, non esaminati dal giudice di appello, sarebbero stati ritirati dal proprio procuratore all’esito del giudizio di primo grado cfr. fol. 10 del ricorso: "…tutta questa documentazione non poteva essere conservata in uno al fascicolo d’ufficio ma era stata appoggiata su di un armadio della cancelleria (ove poi è stata rinvenuta e, a sentenza pubblicata, ritirata dal sottoscritto procuratore e difensore):- rafforzando così il giudizio di inammissibilità – per irrilevanza – della dedotta censura.

5 – Violano del pari il principio di autosufficienza gli ulteriori motivi esposti dal D.S., relativi alla mancata valutazione:

della lettera di conferimento d’incarico al professionista – motivo 1/b; della comunicazione della spa Bonifica di voler recedere dalla convenzione – motivo 1/c; delle missive intercorse tra il Ministero e la spa Bonifica – motivo 1/d – il cui contenuto non forma oggetto di riproduzione nel ricorso, nè essendo ammissibile chiedere a questa Corte di formulare un qualunque giudizio, pur se solo di rilevanza, su quanto parzialmente riportato nei passi della sentenza di primo grado in merito alla suddetta documentazione.

6 – Con il secondo motivo del ricorso incidentale la spa Bonifica fa valere la "illogicità e mancanti della motivazione in ordine alla compensazione delle spese di lite" pur avendo riformato la sentenza di primo grado.

6/a – La censura è infondata nel merito perchè le particolarità, sostanziali e procedimentali, che ha presentato la vicenda sottoposta all’esame dei giudici di mento, consentivano di stilare un, qui ribadito, giudizio di compensazione delle spese del doppio grado di merito.

7 – Il rigetto poi di entrambi i ricorsi consente di operare analoga compensazione per il presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi; dichiara inammissibili i motivi del ricorso principale e respinge il ricorso incidentale, compensando le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *