Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-11-2010) 03-02-2011, n. 4105 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ordinanza del 18.9.20098, il GIP del Tribunale di Roma disponeva la custodia cautelare in carcere nei confronti di P. M., indagato per i reati di cui all’art. 306 c.p., commi 1 e 2 aggravato ai sensi della L. n. 15 del 1980, art. 1, nonchè dell’art. 270 bis, in relazione agli artt. 302, 283 e 284 c.p., siccome ritenuto partecipe di associazione terroristico – eversiva costituita in banda armata, denominata, fino al 1999, Nuclei Comunisti Combattenti e, in vista dell’omicidio del prof. D.M. ed in esito ad esso, Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente.

Pronunciando sulla richiesta di riesame proposta in favore dell’indagato, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 20 ottobre 2009, respingeva l’istanza, confermando il titolo custodiale.

1.1. – Ad avviso del Tribunale, a carico del P. erano ravvisabili gravi indizi di colpevolezza, tratti da plurime risultanze investigative, come di seguito rappresentate.

– Dalle indagini condotte dalla Digos di (OMISSIS) era emersa la militanza del P. nell’organizzazione sovversiva in questione, con un ruolo inquadrabile nel c.d. terzo livello, consistente nell’intrattenimento di rapporti costanti con un singolo militante e nella disponibilità ad assicurare, occasionalmente, un apporto volontario in rapporto a specifiche contingenze, entrando solo in tal caso in contatto con l’intera organizzazione. Inoltre, l’atto statutario dell’organizzazione terroristico – eversiva (c.d. attesta, dal nome del file rinvenuto in occasione di precedenti indagini nei confronti delle BR) conteneva una serie dettagliata di regole di comportamento, alle quali il P. aveva in concreto ispirato la sua condotta:

a) divieto dell’uso del telefono per comunicazioni di lavoro o con compagni con cui sussista un rapporto politico (art. 17 attosta);

b) dispersioni delle comunicazioni storielle con i predetti mediante "abbandono dei contatti pregressi" (art. 17 attosta);

c) utilizzo di telefonici pubblici lontani dai luoghi di abitazione o di abituale frequentazione, con uso di schede telefoniche prepagate c.d. dedicate, ossia utilizzate solo per la comunicazione con determinati sodali, conservate in luoghi adeguati e destinate poi alla distruzione (artt. 18 e 19 attosta);

d) divieto di portare apparecchi cellulari personali nel corso delle operazioni (art. 20 attosta).

– Gli accertamenti svolti in merito ai contatti mediante apparecchi pubblici e schede telefoniche prepagate, intercorsi nel periodo agosto 2001 – agosto 2003 tra P. e B.M.D., conclamata brigatista, imputata degli omicidi dei prof. D. e B. – facenti seguito al pregresso utilizzo delle utenze telefoniche da parte dei due soggetti – consentivano di ricostruire una significatività statistica apprezzabile proprio in coincidenza di momenti di straordinario rilievo nella vita dell’organizzazione; e precisamente:

a) il 2 aprile 2002, data in cui era avvenuto il recupero dei mezzi impiegati a (OMISSIS) per l’omicidio B.;

b) il 4 novembre 2002, giorno antecedente la tentata rapina commessa dai brigatisti in via (OMISSIS), con finalità di autofinanziamento dell’organizzazione;

c) nel gennaio 2003, in coincidenza con la preparazione della rapina, poi effettivamente commessa, il (OMISSIS), ai danni dell’ufficio postale di via (OMISSIS);

d) nel marzo e nel maggio 2003, in coincidenza con le operazioni logistiche di trasloco dal covo di via (OMISSIS).

Le indagini svolte sul telefono cellulare che P. aveva utilizzato, contravvenendo alle regole statutarie dell’organizzazione (trasgressioni, nelle quali – in verità – erano incorsi altri associati di più alto livello, come B.C. e la stessa B.) permettevano di stabilire alcune significative presenze dello stesso indagato. Infatti, il (OMISSIS) egli era transitato nella zona della stazione (OMISSIS) – ove si trovavano militanti dell’organizzazione – da cui era partita la rivendicazione dell’omicidio B., pur se nessun coinvolgimento in tale delitto era stato accertato a suo carico, peraltro espressamente escluso dal GIP del Tribunale di Bologna, che aveva rigettato la richiesta di ordinanza di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti in ordine all’ipotizzato concorso nello stesso omicidio.

– Il (OMISSIS), vi era stato un incontro tra il P. e B.M.D. presso l’abitazione del primo, circostanza, peraltro, non negata dallo stesso indagato, che l’aveva giustificata con la necessità di aiutare l’amica nella riparazione del suo computer.

All’indomani di arresti e perquisizioni nell’area brigatista, P. chiamava più volte B.M.D. dalla (OMISSIS), ove si trovava per ragioni di lavoro, quale operatore cinematografico.

– Il (OMISSIS), presso l’abitazione di P., veniva sequestrato materiale informatico tra cui: a) un cd rom contenente un file protetto con il sistema di criptazione pretty goodprivacy identico a quello in uso alla B.; le due chiavi di criptazione e accesso ai file (una pubblica e una privata in rapporto biunivoco) erano dagli stessi condivisi; b) un floppy disk, contenente un file cifrato cancellato – recuperato dagli esperti mediante il sistema encase – simile ad altri file trovati negli archivi informatici di M.R. e B.C., con alta probabilità consegnato a P. nell’ambito di un dibattito politico realizzato attraverso lo scambio di file tra militanti dell’organizzazione eversiva, in esecuzione della strategia consacrata negli artt. 8, 9, 10 dello statuto dell’organizzazione.

– gli accertamenti svolti dalla Polizia postale permettevano di stabilire che il file anzidetto era stato cifrato con una chiave pubblica presente nei supporti informatici della B. e in quelli trovati nel covo di via (OMISSIS) e conteneva una chiave privata identica a quella rinvenuta negli strumenti informatici sequestrati alla donna. L’identità assoluta tra le chiavi di criptazione in uso al P. ed alla B.M. era desunta dal fatto che le dette chiavi di criptazione avevano la stessa lunghezza di 2048 bit, essendovi una possibilità prossima allo zero percentuale che due operatori possano, all’insaputa uno dall’altro, realizzare chiavi di accesso con identica lunghezza. A fronte di tale significativo riscontro, era ritenuta particolarmente significativa la versione reticente e mendace resa dal P. il 22.9.2004, che, tra l’altro, asseriva di non ricordare la password di accesso, avvalorando il convincimento che egli occultasse dati informativi rilevanti per la conoscenza delle nuove brigate rosse.

Alla luce di tale compendio investigativo il Tribunale contestava le deduzioni difensive in riferimento alla natura esclusivamente affettiva dei rapporti intercorsi tra P. e B.M. – tale da indurre il ricorrente ad accettare supinamente tutte le indicazioni della donna in merito alle modalità dei loro contatti telefonici anche in considerazione delle precarie condizioni psichiche dell’amica e delle sue vicissitudini personali – ed alla completa estraneità ai fatti dello stesso P., comprovata dalla lettera di saluto scrittagli dalla B.M.D. nell’ottobre 2003 e letta dall’indagato al ritorno dal suo viaggio di lavoro in (OMISSIS).

In merito alle esigenze cautelari, il Tribunale osservava che la custodia cautelare fosse legittimata dalla presunzione fissata dall’art. 275 c.p.p., comma 3, in assenza di elementi di segno contrario addotti ex adverso. Sottolineava, poi, che ogni altra misura meno afflittiva dovesse ritenersi inadeguata e non proporzionata all’obiettiva gravità dei reati contestati.

1.2 – Avverso l’anzidetta pronuncia i difensori dell’indagato hanno proposto ricorso per cassazione e questa Corte Suprema, con sentenza del 16 febbraio 2010, n. 743/10, annullava l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame allo stesso Tribunale di Roma.

Dopo una ricognizione normativa, in tema di delitti di banda annata e di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento democratico, e la ricostruzione degli elementi strutturali dei reati in questione, la Corte delineava, nel solco della giurisprudenza tracciata dalle Sezioni Unite in tema di delitto associativo previsto dall’art. 416 bis c.p., la nozione di partecipe, ravvisata nella posizione di chi, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione, non solo è, ma fa parte della stessa o, meglio ancora, prende parte alla stessa: tale locuzione è da intendere non in senso statico, come mera acquisizione dì uno status, bensì in senso dinamico e razionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perchè l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima (Cass., Sez. Un., 12 luglio 2005, rv. 231673).

Alla stregua di tale nozione, la prova della partecipazione ad associazioni terroristiche non poteva essere desunta dalla mera adesione psicologica o ideologica al programma criminale, atteso che il riconoscimento di responsabilità presupponeva la dimostrazione dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte univocamente sintomatiche consistenti nello svolgimento di attività preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale (Cass., Sez. 1^, 15 giugno 2006, n. 30824). Con la conseguenza che la partecipazione di un soggetto ad un gruppo terroristico potrebbe concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell’associazione che inequivocamente rivelino il suo inserimento nell’organizzazione, tenendo peraltro conto che, sul versante soggettivo, il delitto di cui all’art. 270 bis c.p. si caratterizzava per il dolo specifico. Ed infatti, la consapevolezza e la volontà del fatto – reato dovevano essere indirizzate al perseguimento della peculiare finalità di terrorismo che connotava l’attività dell’intera associazione, che la stessa legge (comma 1) indicava, alternativamente, nell’obiettivo di spargere terrore tra la popolazione o nell’eversione dell’ordine democratico interno.

Il Supremo Collegio richiamava, poi, il precedente arresto di legittimità (Cass., sez. 1, 11 ottobre 2006, n. 1072, rv. 235288) secondo cui la struttura della fattispecie dell’art. 270 bis c.p. era compatibile con l’applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di concorso eventuale nel delitto associativo. Riteneva, infatti, che l’ampia e diffusa frammentazione legislativa in autonome e tipiche fattispecie criminose delle diverse condotte in materia di terrorismo non ostava all’espansione operativa della clausola generale di estensione della responsabilità per i contributi atipici ed esterni diversi da quelli analiticamente elencati, secondo il modello dettato dall’art. 110 c.p. sul concorso di persone nel reato, in mancanza di espressa disposizione derogatoria escludente l’applicabilità della clausola anzidetta (Cass., Sez. Un. 12 luglio 2005, rv. 231673). Dopo tali premesse teoriche, volte a verificare l’esatta applicazione dei parametri valutativi delle risultanze investigative e le corrette conclusioni in ordine alla configurabilità nelle condotte ascritte al P. degli estremi dei reati in questione, la Corte rilevava che il giudice del riesame, dopo avere elencato gli elementi investigativi acquisiti (esito delle indagini svolte dagli uffici Digos di (OMISSIS), contenuto dello statuto dell’organizzazione, accertamenti espletati in merito al complesso dei contatti telefonici intervenuti tra P.M. e B. M.D., materiale informatico sequestrato all’esito della perquisizione domiciliare effettuata il 9 marzo 2004 presso l’abitazione di P.; ricostruzione dei movimenti e dei contatti di quest’ultimo con la B.M.D. in coincidenza con avvenimenti significativi), aveva però omesso una loro complessiva valutazione in relazione all’operatività del gruppo terroristico denominato brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente, ai rapporti intercorsi tra il predetto gruppo e P., all’apporto causalmente rilevante fornito dal ricorrente, alla condivisione da parte di quest’ultimo delle finalità perseguite dall’associazione terroristico – eversiva costituita in banda armata. Rilevava, altresì, in tale prospettiva, anche ai fini del doveroso distinguo tra mera adesione psicologica ad un’ideologia, sia pure aberrante, e contributo consapevole e volontario alla vita di un sodalizio terroristico, la mancanza di motivazione circa il contenuto dei documenti rinvenuti, in parte, nel file protetto con il sistema di criptazione pretty good privacy – trovato nel cd rom – e, in parte, in un file cifrato cancellato (e recuperato dagli esperti mediante il cd. sistema encase) presente in un floppy disk, entrambi sequestrati al P.. L’illustrazione e la valutazione critica del contenuto di tali documenti era indispensabile al fine di stabilire se i documenti stessi costituissero espressione dell’operatività dell’associazione terroristico – eversiva costituita in banda armata e dell’apporto dei suoi componenti; se la loro conoscenza fosse riservata ai componenti del gruppo terroristico al fine della strategica elaborazione collegiale di condotte e obiettivi condivisi da perseguire; se gli stessi presentassero effettivamente profili di coincidenza o di analogia con i file trovati negli archivi informatici di M.R. e di B.C..

Una volta chiariti tali passaggi dell’indagine probatoria, i giudici del riesame avrebbero dovuto stabilire se i comportamenti posti in essere da P. – descritti nell’ordinanza custodiale senza alcuna correlazione logico – causale con la vita dell’associazione terroristico – eversiva costituita in banda armata – e il possesso della documentazione in precedenza indicata, contenuta in file cifrati, potessero costituire, anche alla luce delle deduzioni difensive sulle risultanze della relazione tecnica redatta dal servizio di Polizia postale il 31 maggio 2007, l’obiettiva espressione di una partecipazione alla banda armata e di un effettivo inserimento nell’associazione con finalità di terrorismo e di una consapevole volontà orientata alle attività terroristiche.

Infine, in caso di esclusione di un organico inserimento di P. M. nel gruppo terroristico, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto pure verificare, anche alla luce dell’asserita riconducibilità del ruolo di P. al cd. terzo livello, se gli elementi investigativi acquisiti consentissero di ritenere dimostrata la sua responsabilità per attività terroristiche a titolo di concorso esterno nel delitto associativo, ai sensi degli artt. 270 bis e 110 c.p., alle precise condizioni precedentemente indicate.

In conclusione, le operazioni valutative compiute dal giudice del riesame erano carenti e lacunose a cagione dell’omesso esame di taluni punti essenziali dell’indagine probatoria e del mancato approfondimento di altri punti di decisiva rilevanza.

1.3. – Pronunciando come giudice del rinvio, il Tribunale di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe, confermava il provvedimento impugnato, con consequenziali statuizioni.

Avverso la pronuncia anzidetta i difensori del P. hanno proposto nuovo ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in epigrafe.

1.4. – Con unico, articolato e ponderoso, motivo d’impugnativa parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) in relazione agli artt. 125 e 273 c.p.p. in relazione al reato contestato. Lamenta, in particolare, la sostanziale elusione del dictum del Supremo Collegio, per avere ritenuto la gravità del compendio indiziario in totale assenza di necessari presupposti e con evidente e macroscopica distorsione dei dati di fatto disponibili.

Sostiene, in sostanza, l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza tali da legittimare il titolo custodiale.

L’inconsistenza dell’impianto accusatorio nei confronti dell’indagato emergeva dalla stessa formulazione del capo d’imputazione, che si limitava ad una mera enunciazione del programma criminoso dell’associazione costituita in banda annata senza che nei confronti del P. fosse individuata una specifica condotta di reato, nè sotto il profilo del concorso materiale nè sotto quello del concorso morale. Peraltro, l’attribuzione del ruolo di rapporto dialettico (una sorta di aspirante brigatista) si sarebbe protratto per ben 13 anni senza che l’indagato fosse mai entrato a far parte dell’organizzazione, il che rivelava l’incongruenza dell’argomento.

Infondatamente, il giudice del rinvio aveva promosso sul campo il P. dal ruolo di soggetto in rapporto dialettico con l’organizzazione (come da ordinanza genetica ed ordinanza del riesame annullata) a soggetto in rapporto organico con la consorteria. Tanto era poi avvenuto sulla base di erronei criteri valutativi, senza tener conto della sostanziale spinta all’omologazione dei parametri di valutazione e di utilizzabilità del materiale probatorio da parte del giudice della cautela e del giudice del merito, secondo la lettura interpretativa delle Sezioni Unite (Sez. Un. 31.10.2006 n. 36267 Spennato e 30.10.2002, Vottari).

Quanto agli incontri ed ai contatti telefonici con la B.M. D., era dato storicamente accertato che gli stessi fossero avvenuti nell’arco di tempo tra il 2001 ed il settembre 2003, anche con utilizzo di schede telefoniche prepagate. Ma il dato era stato irrazionalmente inteso come sintomo di rapporti di organizzazione, dato il legame sentimentale prima e, poi, di intensa amicizia intercorso tra i due. Era stato, inoltre, travisato il dato certo che, talora, i contatti tra i due avvenivano al di fuori delle regole di condotta imposte dallo statuto, circostanza sbrigativamente liquidata dal giudice del rinvio con riferimento a trasgressioni poste in essere anche da altri militanti. Era stato travisato il contenuto delle deposizioni dei testi di accusa M., all’udienza dibattimentale del 6.5.2010, e G., all’udienza del 22.3.2010, da cui emergeva che le modalità di contatto tra gli associati erano diverse, il che metteva in crisi il processo inferenziale fondato sulle particolari modalità dei contatti P. – B.M.D.. In questo caso, si era, infatti, verificata non un’eccezionale deroga alle prescrizioni statutarie, ma una sistematica modalità di contatto (telefonate effettuate da cabine telefoniche nei pressi di casa o vicino al luogo di lavoro).

L. la sistematicità delle deroghe dimostrava che il P. non faceva parte dell’organizzazione. Anche il dato asseritamente indiziario della coincidenza dei contatti telefonici con momenti ritenuti topici della vita dell’organizzazione era destinata a perdere ogni significatività non appena si rapportasse il numero dei contatti (62) rispetto al totale complessivo (234). Anche i cinque contatti telefonici dalla Bulgaria costituivano un dato ambivalente, posto che, in una logica di organizzazione criminale, sarebbe stato assolutamente imprudente un contatto tra due militanti in coincidenza di fatti sicuramente rilevanti per la vita della stessa organizzazione, come l’arresto di alcuni militanti; il dato era, invece, interpretabile per quello che realmente era, ossia in termini di contatti telefonici amicali per assumere informazioni sugli arresti di comuni amici.

Altro dato era rappresentato dal ritenuto passaggio del P., affermato sulla base del cellulare in suo possesso, dalla zona di stazione (OMISSIS) nella serata del 20.3.2002, prima dell’invio telematico, da quella stessa zona, della rivendicazione dell’omicidio B. da parte di militanti brigatisti. Ma la successione dei contatti telefonici di quella giornata, in rapporto anche agli spostamenti della B.M.D., non poteva essere significativa nel senso ritenuto dall’accusa. Ancora una volta l’esistenza di contatti proprio a ridosso dell’omicidio B. era elemento equivoco, proprio perchè, secondo la stessa logica dell’organizzazione, simili contatti erano vietati.

Ingiustificatamente, era stato ritenuto che i contatti anzidetti, anche se inidonei a dimostrare un coinvolgimento del P. nell’omicidio B., erano nondimeno significativi del ruolo di copertura e/o di appoggio della B.M.D. (ritenuta sua referente) nel c.d. spostamento delle forze impegnate nella trasmissione telematica del documento di rivendicazione. Attività di copertura inesistente, perchè, diversamente, il P. avrebbe dovuto scortare la B.M.D. sino alla sua abitazione in piazzale del (OMISSIS), ove invece lo stesso, alle ore 20,40, si trovava lontano dalla stazione (OMISSIS) e, alle 21,13, era già a casa sua. Del resto, la presenza dell’indagato nei pressi della stessa stazione, in via (OMISSIS), era tutt’altro che accertata, nessun affidamento poteva riporsi sulla circostanza che il suo telefono portatile avesse agganciato la cella di zona, essendo notorio che quando una cella è sovraccarica il traffico telefonico viene automaticamente dirottato a quella più vicina: l’abitazione del P. in (OMISSIS) distava appena sei chilometri dal luogo ove sarebbe transitato, a parte che quel luogo costituiva, notoriamente, uno snodo viario di intenso traffico.

Impropriamente, era stato valorizzato l’altro elemento costituito dal materiale documentale ed informatico sequestrato presso l’abitazione di P. il 9.3.2004, ossia il Manuale del combattente redatto dallo Stato Maggiore dell’Esercito ed il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità allegato al periodico Panorama; ed un documento nascosto in una fotografia del computer relativo agli organismi rivoluzionari di Fallico. Tali documenti erano semmai dimostrativi dell’estraneità del P. all’associazione sovversiva costituita in banda armata, tant’è che gli stessi documenti non erano stati sequestrati ad altri appartenenti delle BT-PCC nè erano stati rinvenuti nel covo di via (OMISSIS). Quanto al documento asseritamente nascosto in fotografia, il teste ispettore V., all’udienza dell’1.6.2010, aveva riferito che il documento in questione era stato scoperto in una foto rinvenuta nel computer di M. e non di P.. Erroneamente, era stato poi valorizzata la circostanza che quest’ultimo non avesse inteso indicare le chiavi di accesso a dati criptati, in quanto l’asserita reticenza dell’indagato avrebbe, semmai, potuto dimostrare egli avesse solo la mera detenzione di materiale dell’organizzazione, che, però, non poteva consultare. Arbitrarie erano pure le conclusioni sul contenuto dei supporti informatici in sequestro. Era vero, piuttosto, che il pv del P. fosse andato in eros ed egli avesse chiamato la B.M.D. per essere aiutato;

nell’occasione, la stessa aveva portato a casa sua dei floppy, come risultava dal rinvenimento di un floppy disck recante l’etichetta disco ripristino 24.3.02.

A tutto concedere, il materiale investigativo anzidetto poteva dimostrare mera adesione ideologica, ma giammai avrebbe potuto ritenersi sintomatico di appartenenza o di partecipazione anche solo programmatica e preparatoria, come, peraltro, riconosciuto da precedenti sentenze della Corte di Assise di Roma e della Corte di Assise di Appello di questa stessa città.

Erronea, poi, era la valutazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali in atti, in contrario avviso peraltro rispetto al parere del GIP, trattandosi di comunicazioni con altri soggetti, peraltro neppure indagati in questo od in altri procedimenti relativi all’attività delle BR-PCC, come C. V., D.S.M. e R.G..

In conclusione, gli elementi investigativi utilizzati nascevano da mere illazioni o congetture, frutto di pregiudizio nei confronti del P., ritenuto, a forza, brigatista ed erano, dunque, inidonei a dimostrare con grado di elevata probabilità il collegamento tra il delitto ipotizzato e la persona dell’indagato. Il processo inferenziale seguito dai giudici del riesame era, peraltro, lesivo della regola iuris fissata da questa Corte di legittimità in ordine alla necessità che ogni indizio fosse dapprima valutato singolarmente e poi inserito in prospettiva globale ed unitaria.

Nel provvedimento impugnato mancava la dimostrazione dell’effettivo inserimento del P. nella struttura organizzata e del perseguimento, da parte sua, delle finalità terroristiche.

Non era stata, per altro verso, valutata la significativa e decisiva valenza favorevole all’indagato di precisi elementi offerti dalla difesa: la lettera di saluto dell’ottobre 2003 e le altre sequestrate al P. al momento dell’arresto; il contenuto dell’interrogatorio di B.M.D.; le telefonate intercettate nel 2009; le dichiarazioni rese da B.M.A., sorella di D.. Elementi questi ultimi significativi in favore dell’estraneità del P. alle accuse a suo carico. Donde la richiesta di annullamento del titolo custodiale per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. 2. – La diffusa esposizione del compendio investigativo e delle copiose doglianze difensive consente una visione d’assieme della complessa vicenda in esame, quanto meno nei suoi tratti essenziali, certamente certo utili anche ai fini di una compiuta delimitazione del thema decidendum.

Trattandosi di impugnativa di provvedimento emesso in sede di rinvio, il perimetro dell’indagine devoluta al giudice di merito, che si riverbera poi sull’ambito di cognizione di questo Collegio, è – ovviamente – quello tracciato dalla sentenza di annullamento.

L’individuazione del relativo contenuto, utile per coglierne appieno la ratio decidendi, è naturalmente funzionale alla verifica se il giudice a quo si sia attenuto al dictum di questo Giudice di legittimità ovvero se ne abbia travalicato i limiti, così come opina parte ricorrente.

Dalla superiore narrativa risulta che l’errore di giudizio che aveva inficiato il precedente provvedimento del giudice del riesame consisteva nell’omessa valutazione degli elementi accusatori in una prospettiva globale ed unitaria, da correlare necessariamente alla specificità del gruppo terroristico denominato brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente, ai rapporti intercorsi tra il P. ed il predetto sodalizio, all’apporto causalmente rilevante fornito dallo stesso indagato, alla condivisione da parte sua delle finalità perseguite dall’associazione terroristico – eversiva costituita in banda armata.

Un deficit di motivazione era poi, dovuto al mancato esame del contenuto dei documenti racchiusi, in parte, nel file, protetto con il sistema di captazione pretty good privacy, esistente nel cd rom e, in parte, in vai file cifrato cancellato (e recuperato dagli esperti mediante il c.d. sistema encase) presente in un floppy disk, entrambi sequestrati al P.. La valutazione del materiale informatico sarebbe stata necessaria anche nell’ottica del doveroso distinguo tra le ipotesi di mera adesione psicologica ad un’ideologia, seppur eversiva, e contributo consapevole e volontario alla vita di un sodalizio terroristico. Senza poi trascurare la gradata ipotesi della configurabilità – riaffermata, in linea teorica, dal Supremo Collegio – della fattispecie (di coniazione pretoria) del concorso esterno anche nelle fattispecie delittuose in esame, mutuando all’uopo la nozione giurisprudenziale elaborata in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso.

Orbene, l’esame dell’insieme motivazionale del provvedimento impugnato rivela che il giudice del rinvio si è scrupolosamente attenuto al principio di diritto enunciato da questa Corte regolatrice, emendando l’errore d’impostazione che aveva inficiato il precedente provvedimento. Insomma, quel giudice ha diligentemente proceduto alla valutazione globale dei copiosi elementi di accusa e, in esito al relativo apprezzamento, ha rappresentato, con motivazione congrua e pertinente, una piattaforma indiziaria argomentatamente – e plausibilmente – ritenuta di gravità tale da legittimare il titolo custodiale. Tale epilogo valutativo, proprio perchè immune dal vizio in precedenza rilevato e proprio perchè espressione di apprezzamento di merito adeguatamente giustificato, si sottrae alle critiche difensive, superando pienamente il nuovo scrutinio di legittimità.

D’altro canto, è risaputo che il controllo devoluto a questa Corte regolatrice deve arrestarsi al collaudo estrinseco del tessuto motivazionale, al fine di saggiarne coerenza e congruità sul piano logico – inferenziale, senza poter spingersi a soppesare il reale spessore indiziario dei singoli elementi di accusa, che è attività concettuale di esclusiva pertinenza del giudice di merito.

Per quanto concerne l’omesso esame dei documenti informatici, il giudice del riesame ha precisato che, a tutt’oggi, non ne era stata possibile la lettura, in quanto l’accesso ad essi è protetto da una password, conosciuta dal solo P., che ha dichiarato di non ricordarla più. Nondimeno, con convincente argomentazione, il giudice a quo ha segnalato alcune particolarità che consentono di attribuire, comunque, rilevanza indiziaria al possesso degli stessi documenti, ancorchè di ignoto contenuto. Ed infatti, il file mail zi pgp, prodotto da software PGP, prevede per il suo utilizzo una doppia chiave di accesso: una pubblica, necessaria per cifrare il contenuto, ed una privata mediante la quale il destinatario del contenuto protetto provvede alla decifratura dello stesso e che deve essere mantenuta segreta dall’utente che la possiede. Ad ogni chiave pubblica corrisponde una determinata chiave privata e viceversa. La chiave privata può, a sua volta, essere cifrata mediate algoritmo che interagisce con una password o una passphfrase (insieme di parole o di stringhe alfanumeriche), senza la quale anche il possesso della chiave privata non consente la cifratura. Orbene la doppia chiave pubblica e privata è risultata identica a quella in uso alla B.M.D. ed utilizzata per cifrare sei documenti, uno dei quali contenente la rivendicazione dell’omicidio B.. La circostanza anzidetta è stata, plausibilmente, ritenuta di formidabile valenza indiziaria, stante la pratica impossibilità, in termini matematici (rectius, di probabilità statistica), che due soggetti possano disporre, l’uno ad insaputa dell’altro, in modo affatto casuale ed autonomo, di chiavi di accesso identiche, dotati della stessa lunghezza e sequenza in bits, con la conseguente, logica, conclusione che tale eccezionale coincidenza valesse a dimostrare uno scambio di informazioni segrete tra il P. e la B.M.D. ed inoltre tra gli stessi ed altri militanti aventi disponibilità di identici supporti informatici rinvenuti nel covo di via (OMISSIS). E la valenza indiziaria è, ovviamente, enfatizzata dallo specifico riferimento alle qualità personali ed all’attività lavorativa dell’indagato, non essendo emersa alcuna plausibile spiegazione dei motivi per i quali un operatore cinematografico debba avvalersi di tale sofisticato sistema di rifrazione e decriptazione di file, corrispondente a quello usato da conclamati brigatisti, ed essendo certamente inusuale che nel rapporto tra amici, sia pure ex amanti, si ricorra a siffatto, complicato, sistema di protezione del flusso di reciproche comunicazioni. Dunque, sul versante squisitamente indiziario non è affatto illogico il conferimento di capacità dimostrativa alla mera circostanza della protezione di dati informatici effettuata mediante programmi di captazione e uso di programmi atti all’automatica, definitiva, cancellazione di files mediante sovrascrittura. Così come è frutto di insindacabile apprezzamento di merito, fondato su non illogica inferenza, il riconoscimento di rilievo indiziario all’intrattenimento di intensi rapporti con la brigatista B.M. D..

Tale circostanza tende, infatti, a perdere ogni carattere di neutralità od indifferenza – all’apparenza connesso alla pregressa storia sentimentale tra i due ed al mantenimento di un rapporto amicale – in considerazione delle inusuali modalità con le quali avvenivano le comunicazioni telefoniche, mediante uso di carte prepagate, corrispondente a quello che, nella prassi ordinaria dei rapporti tra i militanti brigatisti, costituiva il sistema privilegiato di comunicazione, al fine – quanto meno all’inizio, quando si ignorava l’intercettabilità anche di siffatta comunicazione – di tutelare la segretezza del contatto e, comunque, di evitare i rischi connessi ad un uso promiscuo della scheda prepagata, per la possibile tracciabilità dei contatti telefonici con altri sodali.

Non solo, ma la valenza indiziaria degli accertati contatti finisce con l’essere potenziata dal riscontro della loro intensificazione in coincidenza di momenti definiti topici della vita dell’organizzazione e della sua attività criminale.

Le deduzioni difensive che sostanziano l’impegnato ricorso in favore del P. ed i motivi nuovi di cui alla memoria indicata in epigrafe, sono essenzialmente volti a prospettare una diversa chiave di lettura degli elementi accusatori, alternativa a quella argomentatamente offerta dal giudice a quo, e come tali sono improponibili in questa sede di legittimità, dovendo il sindacato richiesto a questo Giudice limitarsi alla verifica esterna di cui si è detto. L’esame funditus degli elementi di accusa, che i difensori ricorrenti sembrano sollecitare a questa Corte, è di esclusiva pertinenza del competente giudice di merito (ossia, della Corte di Assise di Roma), innanzi al quale, peraltro, il P., nelle more, è stato chiamato a rispondere dei reati in contestazione. Di tale evento non può non tenersi conto in questa sede, pur se, per indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice, il rinvio a giudizio non preclude la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza al giudice investito della richiesta di riesame di una misura cautelare personale, in ordine al reato per il reato in ordine al quale tale misura è stata applicata (cfr: Cass. Sez. Un. 30.10.2002, n. 39915, rv. 222602). Ed infatti, al di là della tendenziale omologazione dei canoni valutativi del giudizio cautelare e del giudizio di merito, richiamata dai difensori (si pensi ai criteri di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia) resta pur sempre netta la differenza, sul piano concettuale ed ontologico, tra i due giudizi, vuoi per il differente grado di cognizione richiesto da ciascuno di essi vuoi per il differente oggetto, essendo l’uno volto a verificare il coefficiente di gravità degli elementi indiziali in funzione del mantenimento di uno stato di custodia cautelare, l’altro a verificare la valenza probatoria di quegli stessi elementi in funzione dell’affermazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Insomma, l’approfondimento cognitivo oggi reclamato da parte ricorrente – anche in rapporto a circostanze ritenute favorevoli – è proprio della fase di cognizione di merito, nella quale, per quanto si è detto, il P. già si trova.

Resta da dire della censura che, nella gamma delle plurime contestazioni difensive, si pone come momento centrale, ossia la mancata specificazione, nell’imputazione, di una concreta condotta di reato a carico del P., tale da concretizzare un apporto casualmente rilevante per l’associazione, nella piena consapevolezza delle relative finalità, apprezzabile sotto il profilo del concorso materiale o anche solo morale. L’imputazione formulata in rubrica consisterebbe, infatti, nella mera parafrasi del dettato normativo, senza specificazione alcuna.

Anche tale censura è destituita di fondamento.

Ed invero, l’ipotesi di reato formulata a carico del P. è quella della partecipazione ad associazione terroristica-eversiva costituita in banda armata. Il giudice a quo sulla base delle risultanze investigative e delle acquisizioni probatorie di altri procedimenti a carico delle BR, ha riferito della struttura piramidale dell’associazione, connotata da rigida compartimentazione e gradata articolazione, ad evidenti fini di tutela dello stesso sistema organizzativo, al punto da non consentire neanche la personale conoscenza tra militanti collocati in ambiti e settori diversi.

In particolare, l’organizzazione, rigidamente verticistica, si articolava in tre distinti livelli, ricostruiti sulla base del documento statutario attosta, facente parte dell’archivio rinvenuto nel covo di via (OMISSIS); e precisamente: forze militanti o regolari; forze in rapporto organico od irregolari e forze in rapporto dialettico o contatti esterni. In quest’ultimo, nel quale risulta inserito il P., operano quanti sono in contatto con un singolo militante e possono fornire un contributo in ragione della situazione contingente entrando solo in tal caso in rapporto di disciplina con l’organizzazione; compito precipuo dei militanti c.d. irregolari è di coltivare i rapporti con le forze in rapporto dialettico e fare avanzare la loro militanza.

Nel ventaglio degli elementi indiziali, l’intrattenimento di rapporti stabili e continui con la B.M.D., militante di livello superiore, può assumere particolare pregnanza e, giustamente è stato valorizzato dal giudice del riesame, proprio in quanto la collocazione in quel livello di base postulava un contatto costante con un solo militante sovraordinato.

Orbene, il compendio indiziario ritenuto valido a sostegno dell’inquadramento del P. nel livello di base è stato ritenuto, al tempo stesso, idoneo in funzione dell’ipotesi accusatoria. Ed infatti, come sottolineato dal giudice a quo, nel richiamare la pertinenti osservazioni del GIP, il rapporto dialettico o di esternità non significa affatto estraneità rispetto all’organizzazione od al progetto criminoso, ma esprime, significativamente, la collocazione dell’indagato alla base della piramide organizzativa, in un livello caratterizzato da totale disponibilità ad offrire un contributo fattivo a seconda delle contingenze, con la mediazione del referente responsabile. E già questo può costituire segno di militanza, di condivisione e di consapevole adesione al programma associativo. D’altronde, la partecipazione, integrante gli estremi del reato associativo in contestazione, è organico inserimento che non postula, di necessità, il positivo esperimento e, dunque, l’individuazione di una specifica condotta spiegata a sostegno del sodalizio, in chiave dì attuale e specifico contributo causale al suo mantenimento o rafforzamento. A parte il rilievo che si tratta di fattispecie a forma libera, potendo la partecipazione estrinsecarsi con qualsivoglia modalità, la relativa contestazione in fase cautelare ha pur sempre carattere fluido e provvisorio, suscettibile di ulteriori specificazioni.

Al di là di tale considerazione di fondo, già il mero inserimento nell’organigramma dell’associazione può costituire prova di partecipazione, la cui nozione va rapportata alla natura ed alle caratteristiche strutturali del sodalizio (cfr. per la nozione di partecipazione in riferimento ad analoga situazione di permanente disponibilità al servizio dell’organizzazione mafiosa, Cass. sez. 5,21.11.2003, n. 228058, rv. 228058). In un’organizzazione quale quella in esame, l’inquadramento in un livello seppur basilare può sostanziare la ritenuta partecipazione, come sintomo pregnante di appartenenza o militanza. Il contributo causale è, del resto, immanente al mero inserimento organico nella struttura associativa, specie sotto il profilo che l’affidamento sulla persistente disponibilità di adepti, che rimangano mimetizzati nel tessuto connettivo della società (a fianco ed a sostegno di quanti si erano dati alla clandestinità), è tale da rafforzare e consolidare il vincolo associativo, concorrendo a costituire l’elemento di coesione del gruppo, al pari della consapevolezza della comune militanza e della condivisione dell’idea rivoluzionaria.

In conclusione – e con formulazione di sintesi di quanto si è detto – la motivazione del provvedimento in esame da ampio conto della ritenuta gravità degli elementi indiziari in funzione della contestata partecipazione e tale giudizio, dimensionato nella peculiare fase cautelare in cui è inserito, appare corretto e del tutto plausibile, salvi ovviamente gli ulteriori sviluppi delle risultanze acquisite o da acquisire in sede dibattimentale e della penetrante verifica propria della fase di cognizione piena.

3. – Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria di provvedere ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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