Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-11-2010) 03-02-2011, n. 4101 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.G., minore d’età all’epoca dei fatti, era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale per i minorenni di Palermo, del reato di cui agli artt. 110 e 575 c.p. e art. 577 c.p., n. 3 per avere, in concorso con i maggiorenni B.S. e G. V., in qualità di mandanti, nonchè, unitamente a G. A. di G., F.A., G.V. di V., C.D. ed O.F., in qualità di esecutori materiali, agendo con premeditazione, cagionato la morte di Ga.Fr.Pa., contro cui esplodevano diversi colpi di arma da fuoco.

Il fatto di sangue era avvenuto, a (OMISSIS), attorno alla mezzanotte. Da un’autovettura in corsa erano stati esplosi diversi colpi di arma da fuoco all’indirizzo di Ga.

F.P..

Le ragioni e la genesi dell’omicidio erano emerse solo a distanza di qualche anno, in esito alle dichiarazioni di O.F., già appartenente alla famiglia di Partanna Mondello di Cosa Nostra e divenuto, a partire dal 1996, collaboratore di giustizia. In particolare, l’ O. aveva riferito che la decisione di sopprimere il G. era stata presa dai vertici della famiglia mafiosa dell’Acquasanta perchè lo stesso aveva iniziato a spacciare stupefacenti nella zona di loro competenza (così determinando un più intenso controllo delle forze dell’ordine), aveva commesso una rapina ai danni di un commerciante del posto (ferendolo a una gamba) e sparlava di Ca.An. (componente della famiglia anzidetto), accusandolo di far uso di droga. Sempre secondo il racconto dell’ O., i mandanti dell’omicidio erano stati B.S. e G.V. e gli esecutori materiali, unitamente ad esso O., Ca.An., G.V., C.D., F.A. e, per l’appunto, il minore F.G..

Con sentenza del 22 aprile 2004, il Tribunale dichiarava il F. colpevole del reato ascrittogli e, applicata la diminuente della minore età e concesse le attenuanti generiche prevalenti all’aggravante ed alla premeditazione, lo condannava alla pena di anni sette di reclusione.

Ad avviso del Tribunale, le circostanziate dichiarazioni dell’ O. in ordine alla partecipazione del minore all’omicidio (presenza con i sicari prima dell’agguato mortale, verosimile prelievo – unitamente al C. – della Fiat Uno utilizzata in occasione dell’omicidio, precedenti tentativi di attirare la vittima in un agguato, pattugliamento della zona a bordo di una Peugeot 205 con ruolo di copertura dei componenti del gruppo di fuoco) avevano trovato solidi elementi individualizzanti di riscontro:

a) nelle dichiarazioni dei testi Ch., Fi. e P. di avere visto, appena un’ora prima dell’omicidio, il F. in compagnia dello zio A. (condannato per l’omicidio con sentenza passata in giudicato) accanto a una Fiat Uno bianca (corrispondente al tipo dell’auto usata per l’omicidio e della quale gli imputati non avevano saputo indicare la provenienza);

b) nella mancanza di un alibi dello stesso F. per l’ora dei delitto (in corrispondenza della quale, anzi, egli aveva mancato senza alcuna spiegazione un appuntamento con la fidanzata);

c) nel brindisi (confermativo di un evento da celebrare) effettuato in discoteca dai due F. (ancora insieme) poco dopo il fatto;

d) nella circostanza, confermata dai testi escussi, che il F., sebbene minorenne, guidava spesso, all’epoca del delitto, una Peugeot 205;

e) nel comportamento dell’imputato nel corso delle prime indagini (caratterizzato da ingiurie, minacce e pressioni nei confronti dei citati testi Ch., Fi. e P. per indurli ad astenersi dal deporre od a rendere dichiarazioni a lui favorevoli).

Pronunciando sul gravame proposto in favore dell’imputato, la Corte di Appello – sezione minorenni di Palermo, ha ribaltato il giudizio di prime cure, assolvendo il F. per non aver commesso il fatto.

Pur confermando la piena credibilità del collaboratore di giustizia ed il valore probatorio delle sue propalazioni ha nondimeno ritenuto insufficienti i riscontri (anche se in fatto pacifici) considerandoli suscettibili, singolarmente considerati, di spiegazioni alternative a quella del coinvolgimento del F. nel fatto omicidiario.

Avverso la decisione anzidetta, il Procuratore Generale di Palermo ha proposto ricorso per cassazione e questa Suprema Corte, Prima Sezione Penale, con sentenza n. 87/2006 del 26 gennaio 2009, ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Caltanissetta.

Riteneva questo Giudice che fossero fondate le censure del PG ricorrente in ordine alla valutazione dei riscontri, con riferimento sia alla prospettata violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, per avere il giudice di merito considerato i riscontri come autonomi elementi di prova del fatto-reato e della responsabilità del chiamato sia alla valutazione frazionata degli stessi riscontri, anzichè considerare il significato della loro compresenza.

In ordine al primo profilo, era pacifico in giurisprudenza – alla stregua della lettera e della ratio dell’anzidetta norma processuale – che i riscontri (consistenti in qualsiasi elemento o dato probatorio, non predeterminato nella specie e qualità, e quindi in elementi di prova sia rappresentativa che logica) non devono avere, necessariamente, lo spessore di una prova autosufficiente, perchè, diversamente, la chiamata cui si riferiscono non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata in correità. In altri termini, ciò che si richiedeva per i riscontri non era – a differenza di quanto mostrava di ritenere il giudice a quo – l’univocità dimostrativa del fatto da provare ma la conferma del contenuto della chiamata (o di suoi specifici aspetti).

Quanto al secondo profilo di doglianza, la Corte di merito aveva limitato il proprio esame critico a ciascun elemento di riscontro singolarmente e separatamente considerato. Si trattava di un metodo doveroso ma insufficiente, in quanto, per giurisprudenza consolidata (relativa alla valutazione della prova indiziaria ma, a maggior ragione, estensibile ai riscontri) il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, ma tale analisi deve poi essere "valorizzata in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo" (Sez. Un. 12 luglio – 20 settembre 2005, Mannino, rv.

231678).

Pronunciando come giudice di rinvio, la Corte di Appello di Caltanissetta – sezione penale per i minorenni, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la sentenza del Tribunale per i minorenni di Palermo del 22 aprile 2004, dichiarando condonata la pena nella misura di anni tre.

Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell’imputato ha proposto nuovo ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in epigrafe.
Motivi della decisione

1 – Con unico, articolato, motivo di ricorso l’Avv. Impellizzeri denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) in relazione all’art. 110 e 575 c.p. e art. 5775 c.p., n. 3 e art. 192 c.p.p..

Si duole, in particolare, che i giudici di merito abbiano ritenuto credibili le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, senza considerare – o sottovalutandola – la circostanza che le stesse fossero animate da spirito di vendetta nei confronti dell’imputato.

Era emerso, infatti, che F.A., zio dello stesso ricorrente, era stato accusato, anche se poi assolto, dell’omicidio in danno di O.A., nipote del collaboratore di giustizia. Tale circostanza, decisiva ai fini della necessaria delibazione di attendibilità del propalante, era stata sbrigativamente liquidata dalla Corte di merito con il rilievo che si trattava di vicende processuali del tutto diverse. Inoltre, pur essendosi dichiaratamente attenuto alle prescrizioni dell’art. 192, comma 3, in sede di valutazione delle dictum del collaboratore, lo stesso giudice di appello non aveva reso una motivazione congrua, valorizzando elementi esterni (quali la conoscenza delle attività svolte dalla vittima o la posizione assunta dalla stessa dopo l’omicidio) che avrebbero ben potuto essere appresi da chiunque in tempi e modi che nulla avevano a che vedere con l’omicidio. Inoltre, la motivazione addotta dalla Corte distrettuale era affetta da manifesta illogicità nel recepire acriticamente il narrato del propalante e nel non ravvisarne l’incompatibilità logica con quanto riferito dai testimoni in ordine alla presenza dell’imputato, in compagnia dello zio A., accanto ad una Fiat Uno di colore bianco, particolare non coincidente con la sistemazione dei killer a bordo delle autovetture, come riferita dal collaborante. Questi aveva, infatti, riferito che, nell’occasione, i colpi erano stati esplosi da F.A. e C.M. che costituivano il gruppo di fuoco a bordo di una Fiat Uno bianca, mentre F. G. sarebbe salito da solo a bordo di una Peugeot 205 di colore grigio, per fare da vedetta o battistrada.

Vi era, poi, discordanza sul punto delle dichiarazioni del collaboratore – secondo cui, giunto a Palermo nel tardo pomeriggio da una vicina località di villeggiatura, si era incontrato con i complici in (OMISSIS), da dove alcuni si erano, poi, allontanati per andare a prelevare l’auto rubata che sarebbe stata utilizzata per l’omicidio, ossia la Fiat Uno bianca, custodita in un garage di vicolo (OMISSIS) – in rapporto a quanto riferito dai testi che avevano visto i due F., in compagnia di tale Pi., risultato estraneo all’omicidio, accanto alla Fiat Uno.

Un unico motivo è dedotto anche nella memoria difensiva depositata dall’Avv. Vianello e riguarda violazione ed inosservanza dell’art. 192 c.p.p. nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e).

Si duole, in particolare, della valutazione delle risultanze di causa, tutt’altro che connotate da univocità e convergenza, tanto da determinare giudizi divergenti da parte dei giudici di merito. Posto che il compendio accusatorio si fondava sulle dichiarazioni di un solo collaboratore di giustizia, O.F., l’esame degli elementi di prova avrebbe dovuto essere quanto mai rigoroso, occorrendo verificare, secondo pacifica elaborazione giurisprudenziale, l’esistenza di ulteriori, specifiche, circostanze di carattere individualizzante atte a riferire direttamente al chiamato il fatto in contestazione. Infondatamente, era stato ravvisato un momento di significativa conferma nelle dichiarazioni dei testi Ch., Fi. e P. in ordine ad un incontro con i due F. ed un loro amico Pi.Ca. accanto ad una Fiat Uno bianca poco prima dell’omicidio, senza considerare – ed anzi mimetizzandole – le incongruenze logiche del racconto proprio nella parte in cui si diceva della presenza di un terzo estraneo alla vicenda, il Pi., mai indicato dal collaboratore di giustizia. La presenza del terzo era stata spiegata in modo arbitrario dal giudice di merito, con l’intendimento dei F. di informarsi della presenza in zona della vittima designata; ma soprattutto quella circostanza collideva con la ripartizione dei compiti indicata dall’ O. nella fase esecutiva, nel corso della quale i due F. avrebbero agito in diverse autovetture, accanto ad altri soggetti stranamente in quel momento assenti. Incongruamente, un altro elemento di riscontro sarebbe stato ravvisato nell’episodio del brindisi effettuato in locale notturno da F.A., F.G. e P. C., ancora una volta con l’anomalia della presenza di un terzo estraneo e l’assenza di altri che secondo il propalante avrebbero partecipato all’azione omicidiaria. In ogni caso, gli elementi offerti non avevano carattere individualizzante e non potevano fungere da validi momenti di riscontro della propalazione accusatoria, siccome rivi dei caratteri che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, devono assumere allo scopo. Il giudice del rinvio, eludendo il dictum del Supremo Collegio che aveva richiesto una valutazione unitaria degli elementi di riscontro, si era limitato ad una mera sommatoria dei diversi elementi senza procedere nè alla valutazione di ogni elemento preso singolarmente nè ad una analisi delle deduzioni difensive che segnalavano elementi di segno opposto.

Deduceva, infine, il fatto nuovo che, nel corso dell’udienza del 13.10.2009 innanzi al tribunale di Palermo, procedimento penale n. 334/09, il collaboratore di giustizia F.A. avesse escluso che F.G. avesse partecipato all’omicidio, in ordine al quale il solo correo, oltre allo stesso dichiarante, era G. A.. La circostanza, comunque utilizzabile per una successiva richiesta di revisione, era ad ogni modo significativa per confermare l’incertezza del quadro probatorio che aveva determinato non solo difformità di pronunce, ma anche difformi pareri, nelle diverse sedi di merito, dei rappresentanti dell’accusa.

3, – La diffusa esposizione delle ragioni di doglianza vale ad evidenziarne, già in sè, l’infondatezza, a parte i pur vistosi profili di inammissibilità che le caratterizzano, nella parte in cui afferiscono a profili di fatto, che, come è risaputo, sono improponibili in questa sede di legittimità.

Ed invero, la decisione impugnata si sottrae ai rilievi critici di parte ricorrente, avendo pienamente ottemperato al dictum del Supremo Collegio, offrendo un percorso motivazionale che da conto della compiuta rivisitazione delle risultanze di causa senza incorrere nei profili di illegittimità e nelle incongruenze motivazionali che avevano dato causa all’annullamento della precedente sentenza di appello.

In particolare, è ineccepibile l’esame critico delle propalazioni del collaboratore di giustizia O., prudentemente vagliate secondo i canoni valutativi fissati da indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice. Ed infatti, ad uno scrupoloso vaglio di credibilità intrinseca, positivamente compiuto anche alla luce di quanto eccepito dalla difesa su asserite ragioni di risentimento del propalante nei confronti dei F., il giudice a qua ha valutato l’attendibilità intrinseca ed estrinseca del narrato accusatorio, apprezzando le risultanze di causa addotte come elementi di conferma nella corretta logica indicata da questo Giudice di legittimità, ossia come dati di mero riscontro e non già come elementi probatori astrattamente dotati di autonoma capacità dimostrativa. Il positivo apprezzamento della piena idoneità delle menzionate emergenze processuali a fungere da momento di conferma costituisce espressione di apprezzamento squisitamente di merito, che, proprio in quanto adeguatamente argomentato, si sottrae al sindacato di questa Corte regolatrice. In siffatta valutazione il giudice a quo non è incorso in alcuna contraddizione o sbavatura in rapporto alla dinamica dei fatti ricostruita dal dichiarante, posto che la riferita presenza dei due F. accanto ad un’autovettura dello stesso tipo di quella usata nell’omicidio è significativa della disponibilità di un automezzo siffatto, da parte loro, poco prima dell’accaduto, senza poter in alcun modo risultare indicativa della diversa collocazione che gli stessi avrebbero poi assunto nel corso dell’impresa omicidiaria: F.G. a bordo di una Peugeot, e F. A. a bordo della Fiat Uno. Nè la presenza, nella prima occasione, di una terza persona che, secondo la versione del collaboratore, non avrebbe poi partecipato alla stessa missione di morte può mai assumere alcun significato o rappresentare elemento di distonia nella ricostruzione della vicenda, non significando ovviamente che quella stessa persona avrebbe poi dovuto, necessariamente, prendere parte all’impresa omicidiaria.

4. – Per quanto precede le censure oggetto d’impugnativa ed i nuovi motivi presentati sono destituiti di fondamento, sicchè il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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