Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-10-2010) 03-02-2011, n. 3875 Attenuanti comuni generiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 19.6.2009, confermava la sentenza 16.3.2007 del Tribunale di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di C.G. in ordine ai reati di cui:

– al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) per avere realizzato – in zona soggetta a vincolo paesaggistico istituito con D.M. del 10 ottobre 1964 – senza il prescritto permesso di costruire, le seguenti opere edilizie:

– n. 6 nuove unità immobiliari abitative, ricavate in un unico corpo di fabbrica in muratura;

– un edificio monoplano in muratura avente superficie di circa 70 mq.;

– un’area adibita a parcheggio;

– n. 2 autorimesse in muratura, completamente interrate, della superficie di circa 25 mq. Ciascuna – in (OMISSIS);

– al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per avere realizzato le opere edilizie anzidette in assenza della prescritta autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico;

– all’art. 483 cod. pen. poichè – nella domanda di condono edilizio presentata al Comune di Fiesole ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32 – attestava falsamente che le opere di cui veniva richiesta la sanatoria erano state ultimate entro il 31 marzo 2003, mentre le opere medesime erano ancora in fase di costruzione nel gennaio 2004, epoca in cui era in atto l’apposizione della copertura – in (OMISSIS) e lo aveva condannato alla pena di anni uno di arresto ed Euro 30.000,00 di ammenda per le contravvenzioni (unificate nel vincolo della continuazione) ed a quella di mesi sei di reclusione per il delitto di falso, ordinando la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

La Corte territoriale confermava altresì le statuizioni risarcitorie disposte dal primo giudice in favore del Comune di Fiesole, costituitosi parte civile.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il C., il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione:

– la illegittimità della disconosciuta possibilità di sanatoria in relazione alla procedura di condono edilizio esperita ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, anche per la erroneità dell’asserito presupposto secondo il quale i lavori edilizi erano continuati dopo il 31 marzo 2003 (cioè dopo il termine utile di sanabilità fissato dallo stesso D.L. n. 269 del 2003);

– la già maturata prescrizione dei reati contravvenzionali;

– la insussistenza del delitto di falso, stante la veridicità delle attestazioni riferite alla data di completamento dei lavori al rustico;

– la incongruità del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poichè manifestamente infondato.

1. Quanto alla ritenuta inapplicabilità della normativa di "condono edilizio", posta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 35 convertito dalla L. n. 326 del 2003, e dalla L. n. 47 del 1985, art. 35 e segg. deve rilevarsi che – secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema – spetta al giudice penale verificare la sussistenza dei presupposti affinchè possa essere applicata la speciale causa di estinzione per oblazione.

L’ambito di tale potere di controllo è strettamente connesso all’esercizio della giurisdizione penale, sicchè il giudice – nell’eseguire l’indispensabile verifica degli elementi di fatto e di diritto della causa estintiva – deve accertare:

– il tipo di intervento realizzato e la sua riconducibilità agli schemi dell’art. 35 del convertito D.L. n. 269 del 2003;

– le dimensioni volumetriche dell’immobile;

– la "ultimazione" dei lavori (secondo la nozione fornita dalla L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 2) entro il termine previsto del 31 marzo 2003;

– la tempestività della presentazione, da parte dell’imputato (o di eventuali comproprietari) di una domanda di sanatoria riferita puntualmente alle opere abusive contestate nel capo di imputazione;

– l’avvenuto "integrale versamento" della somma dovuta ai fini dell’oblazione, ritenuta congrua dall’Amministrazione comunale.

Trattasi di compiti propri dell’autorità giurisdizionale – conformi al dettato dell’art. 101 Cost., comma 2, dell’art. 102 Cost., dell’art. 104 Cost., comma 1, e dell’art. 112 Cost. – che non possono essere demandati neppure con legge ordinaria all’autorità amministrativa in un corretto rapporto delle sfere specifiche di attribuzione.

Il giudice penale, nell’eventualità in cui i presupposti anzidetti (o anche uno solo di essi) siano inesistenti, deve dichiarare non integrata la fattispecie estintiva ed adottare le conseguenti determinazioni.

1.1 Nella fattispecie in esame – premesso che il Comune di Fiesole ha denegato la richiesta sanatoria edilizia – va ribadito l’orientamento costante di questa Corte Suprema secondo il quale non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32 le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici (vedi, tra le molteplici decisioni in tal senso, Cass., Sez. 3^ 12.1.2007, n. 6431; Sicignano ed altra; 5.4.2005, n. 12577, Ricci; 1.10.2004, n. 38694, Canu ed altro; 24.9.2004, a 37865, Musio).

Altro elemento di ostatività risulta razionalmente individuato nell’esecuzione dei lavori in epoca successiva al 31 marzo 2003.

I giudici del merito, invero, hanno accertato, in punto di fatto, che lavori di copertura dei manufatti abusivi erano ancora in corso nel febbraio del 2004, sicchè, con deduzione logica e corretta, hanno desunto che gli immobili, alla data del 31 marzo 2003, non erano "ultimati" secondo la nozione fornita dalla L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 2.

A fronte dell’anzidetto accertamento fattuale, l’imputato non ha fornito alcuna risolutiva prova contraria e le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Devono respingersi, pertanto, anche le correlate eccezioni svolte in ricorso circa la pretesa insussistenza di una falsa rappresentazione dei fatti nella domanda di condono edilizio.

2. Le contravvenzioni non erano prescritte all’epoca della pronuncia della sentenza impugnata (19.6.2009).

Le opere sono state sequestrate il 7.4.2004, allorquando i lavori di rifinitura non erano ancora ultimati, e la scadenza del termine ultimo di prescrizione, per le fattispecie contravvenzionali, coinciderebbe pertanto con il 7.10.2008.

Va computata, però (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della prescrizione per complessivi mesi 11 e giorni 6, in seguito a rinvii disposti su richiesta del difensore dal 18.7.2005 al 16.11.2005; dal 16.1.2006 al 22.2.2006; dal 19.7.2006 al 19.3.2007, non per esigenze di acquisizione della prova nè a causa del riconoscimento di termini a difesa.

Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 13.9.2009.

La inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).

3. Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di delinquere dell’imputato.

Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sta, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.

Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge – in carenza di congrui elementi di segno positivo – ha dato rilevanza decisiva alla gravità del fatto (realizzazione di un cospicuo insediamento residenziale, ad evidente scopo di speculazione edilizia, in conflitto con le prescrizioni pianificatorie del contesto agricolo di incidenza), deducendo logicamente prevalenti significazioni negative dalla particolare intensità del dolo, sui rilievi che l’imputato ha tentato pervicacemente di nascondere l’attività edilizia abusiva occultando il luogo di intervento con teloni, ed ha poi perseguito il disegno di ottenere fraudolentemente la sanatoria di quanto realizzato, sì da poterne impunemente godere gli ingiusti profitti.

4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00. 5. Il C. deve essere condannato, infine, alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune di Fiesole, costituita parte civile: spese che vengono liquidate in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile, liquidate in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.

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