Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-03-2011, n. 5611 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 2.750 per anni quattro e mesi sette di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Sicilia, sez. Catania, dal 9.10.2000 al 4.6.2008.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.
Motivi della decisione

Il primo motivo con i quali si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 600 per ogni anno eccedente il periodo di tre anni ritenuto ragionevole è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000 ed Euro 1.500 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

Da tali principi consegue che non è giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il solo riferimento alla modestia della posta in gioco.

Il secondo motivo con cui si censura l’impugnata decisione per non aver riconosciuto la rivalutazione e gli interessi sull’importo liquidato a titolo di indennizzo è in parte fondato, avendo la Corte già affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui "L’obbligazione avente ad oggetto il pagamento dell’equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, essendo destinata a procurare al danneggiato una quantità di denaro correlata all’entità del pregiudizio, da lui subito, per effetto dell’irragionevole durata del processo, e quindi ad un determinato valore intrinseco, non può essere assimilata ai cosiddetti debiti di valuta; pertanto, non incorre in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la corte territoriale che, sulla somma riconosciuta a titolo di equa riparazione, liquidi gli interessi pur in assenza di domanda della parte interessata, atteso che il principio secondo cui gli interessi possono essere attribuiti solo su domanda della parte interessata vale per le obbligazioni pecuniarie in senso stretto, ossia per quelle aventi ad oggetto fin dall’origine un importo nominale di denaro (i cosiddetti debiti di valuta), ma non anche per quelle (i cosiddetti debiti di valore) in cui l’entità della prestazione è determinata in funzione di un valore diverso (Sez. 1, Sentenza n. 6939 del 8/04/2004; conforme Sez. 1, Sentenza n. 7389 del 11/04/2005) nonchè quello a mente del quale detti interessi decorrono dalla data della domanda (Sez. 1, Sentenza n. 8712 del 13/04/2006).

Non è invece fondato per quanto attiene alla richiesta rivalutazione, in considerazione del carattere indennitario dell’obbligazione (Cassazione civile, sez. 1^, 13/4/2006, n. 8712).

Le ulteriori censure relative alla regolamentazione delle spese sono assorbite, dovendosi procedere a nuova liquidazione sul punto.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere condannato al pagamento di Euro 3.840 a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni quattro e mesi sette di irragionevole ritardo quale determinato dal giudice del merito.

Tenuto conto dell’accoglimento solo parziale del ricorso, le spese del giudizio di legittimità possono essere compensata per un mezzo e poste a carico per la differenza dell’Amministrazione resistente che deve essere condannata altresì al rimborso della metà di quelle del giudizio di merito, compensato il residuo in considerazione del consistente ridimensionamento della domanda.
P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 3.840, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione della metà delle spese del giudizio di merito che liquida, per l’intero, in complessivi Euro 873, di cui Euro 378 per diritti, Euro 445 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo; compensa per un mezzo le spese del giudizio di legittimità e condanna l’Amministrazione alla rifusione in favore del ricorrente del 50% delle spese che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 800, di cui Euro 700 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

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