Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-01-2011) 04-02-2011, n. 4414 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Napoli si è pronunziata su associazioni a delinquere di stampo mafioso, su associazioni dirette al traffico di stupefacenti, sui connessi delitti di armi, su singoli episodi di spaccio, su ricettazioni e su estorsioni, reati tutti accertati nel (OMISSIS).

2. Contro tale pronunzia, nella parte in cui ha escluso per P. M. e per C.V. il ruolo di promozione, direzione ed organizzazione loro contestato con riferimento ai reati associativi, ricorre il P.G. che si duole dell’erronea applicazione della legge penale.

Osserva infatti che la decisione ha accertato che il P. aveva mantenuto per un certo periodo la gestione del traffico di droga e che il C. aveva curato l’approvvigionamento delle sostanze, cosa che avrebbe dovuto far concludere che entrambi avevano rivestito il ruolo di organizzatori dell’associazione diretta al traffico, nonostante avessero agito in esecuzione delle direttive del capo del clan A.R.. Inoltre la medesima sentenza aveva ritenuto che il P., nei giorni successivi all’omicidio dell’ A., aveva assunto compiti di direzione del gruppo mafioso, cosa che avrebbe dovuto far concludere che il medesimo era stato anche a capo dell’associazione camorrista e della parallela associazione diretta al traffico, irrilevante essendo la durata del periodo di tempo in cui tale funzione era stata svolta.

3. Ricorre A.S., ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa.

Nell’atto di impugnazione a sua firma deduce la mancanza di motivazione della sentenza che non avrebbe fornito risposta alle censure articolate in appello. Ravvisa anche contraddittorietà e difetto di motivazione nella parte in cui non accorda prevalenza alle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate. Assume infine la nullità della pronunzia perchè – sembra doversi intendere – l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado è stato notificato con il rito degli irreperibili senza che fosse emanato un nuovo decreto di irreperibilità a seguito di nuove ricerche nei luoghi indicati nell’art. 159 c.p.p..

Nell’atto a firma del difensore, avvocato Giuseppe Stabile, l’ A. censura di manifesta illogicità la motivazione della sentenza nella parte in cui ha affermato la sua responsabilità ignorando il tenore delle dichiarazioni del D. che contrastano con quelle del M., del quale peraltro non risulta essere stato reso un giudizio di attendibilità intrinseca. Sarebbe stato travisato, inoltre, il senso di una conversazione del D., così conferendosi arbitrariamente un significato ad un incontro tra il ricorrente e il P.. E ancora travisato sarebbe stato il contenuto di altre telefonate da cui si è ricavato che l’ A. aveva messo a disposizione l’auto che sarebbe dovuta servire per l’agguato. Infine l’affermazione del D. per cui il ricorrente si sarebbe adoperato per far recuperare la droga sarebbe rimasta priva di riscontri e anzi a ben leggere gli atti dovrebbe concludersi che il collaboratore era lui già conoscenza del luogo dove la droga era occultata.

Con un secondo motivo l’ A. lamenta la violazione della legge penale nella parte in cui ha affermato sussistere un suo concorso esterno nell’associazione dovendosi ritenere, ad ammettere i fatti per come ricostruiti, che egli abbia fornito l’automobile per vendicare il fratello e abbia consegnato la droga e il denaro per restituirli ai proprietari, ma non per mantenere in vita il clan criminale della cui sorte, a detta della stessa sentenza, egli si era sempre disinteressato. L’ A. ha quindi presentato memoria.

4. Ricorre C.V. ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa e ad associazione diretta al traffico di droga, di episodi di spaccio di hashish e di cocaina nonchè di illecita detenzione e porto di armi.

Nel ricorso a firma dell’avvocato Giovanni Cantelli, si duole in primo luogo che non sia stato reso un valido giudizio di attendibilità soggettiva dei collaboranti B., D. e G., sulle cui dichiarazioni si basa l’affermazione della sua responsabilità. Tale dichiarazioni, per di più, sarebbero prive di qualunque riscontro estrinseco e non sarebbero state considerate le circostanze favorevoli all’imputato messe in evidenza nell’atto di appello. In particolare non si sarebbe dato peso al fatto che nessuna delle numerose conversazioni intercettate ha confermato l’esistenza e l’operatività del clan Castaldo di cui parlano i collaboratori e inoltre che in nessuna telefonata il ricorrente appare come aderente al sodalizio. Le censure avanzate in appello sarebbero state del tutto trascurate, così in relazione al fatto che il G. non è in grado di indicare quali sarebbero state le vittime delle estorsioni se non per un certo Ce., circostanza tuttavia smentita dal D. e dal Ce. medesimo. Ulteriori incongruenze nelle dichiarazioni del D. e del Ba. sarebbero egualmente rimaste prive di risposta, mentre mancherebbe ogni cenno alle dichiarazioni del M. favorevoli all’imputato.

Con un secondo motivo il ricorrente afferma che aldilà dell’accertamento di episodi di spaccio la sentenza non ha dimostrato in alcun modo la sussistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti nè ha potuto accertare quale sia stato il contributo oggettivo fornito dal C. a tale associazione.

Patimenti prive di riscontri sarebbero rimaste le affermazioni dei collaboratori sui reati di armi.

Con ulteriore censura il ricorrente deduce violazione di legge in ordine alla confisca disposta D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies.

Lamenta infine vizi di motivazione nella determinazione della pena specie con riferimento agli artt. 62 bis e 114 c.p..

Nel ricorso a firma dell’avvocato Aricò, il C. sostiene che nel caso di specie, data anche l’identità soggettiva dei partecipanti, il traffico di stupefacenti era uno dei reati fine dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, con la conseguenza che non potrebbe ritenersi sussistente l’ulteriore associazione per delinquere prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74. In ogni modo non vi sarebbe adeguata motivazione circa la presenza degli elementi costitutivi di quest’ultima associazione diversi e autonomi rispetto alla prima e dell’elemento soggettivo necessario.

5. Ricorre C.G., ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa e ad associazione diretta al traffico di droga, di episodi di spaccio di hashish e di cocaina nonchè di illecita detenzione e porto di armi.

Nel ricorso a firma dell’avvocato Giovanni Cantelli, anch’egli, come C.V., si duole in primo luogo che non sia stato reso un valido giudizio di attendibilità soggettiva dei collaboranti Ba., D. e G., sulle cui dichiarazioni si basa l’affermazione della sua responsabilità. Lamenta ancora la mancata valutazione delle censure avanzate in appello circa le incongruenze che rendono non sovrapponigli le varie chiamate in correità che lo riguardano e l’omessa considerazione delle dichiarazioni favorevoli di Ma.Gi..

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente, al pari di V., afferma che la sentenza non ha dimostrato in alcun modo la sussistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti nè ha potuto accertare quale sia stato il contributo oggettivo fornito dal C. a tale associazione. Al riguardo palesemente inaffidabili sarebbero le dichiarazioni del M., fatte in appello quando il collaboratore era a conoscenza di tutte le risultanze processuali acquisite. In correlazione a tutto questo non sarebbe stato nemmeno correttamente accertato l’episodio di spaccio di stupefacenti attribuito al C. la cui prova è stata ricavata della presunta adesione all’associazione.

L’affermazione di responsabilità per i delitti di armi si basa su chiamate prive di riscontri.

Con ulteriore censura il ricorrente deduce violazione di legge in ordine alla confisca disposta D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies.

Lamenta, infine, vizi di motivazione nella determinazione della pena specie con riferimento agli artt. 62 bis e 114 c.p..

Nelle note successivamente pervenute il ricorrente fa proprie le censure avanzate per C.V. dall’avvocato Aricò riguardanti la configurazione dell’associazione per delinquere diretta al traffico di droga.

Con un secondo atto di ricorso a firma dell’avvocato Vittorio Giaquinto, il ricorrente deduce l’illogicità della sentenza nella parte in cui svaluta l’assenza di riferimenti alla sua posizione nelle numerose intercettazioni intercettate, specie con riguardo al contributo causale che gli è stato addebitato il quale non potrebbe in alcun modo qualificare il suo ruolo come quello di un defilato, prospettato dai collaboranti. L’illogicità si propagherebbe dunque sulla valutazione dell’attendibilità dei chiamanti e non tien conto delle dichiarazioni del Ma..

Circa i reati di armi e di droga non si sarebbe avvertito che la sporadica partecipazione del ricorrente escludeva un possibile vincolo associativo. Generica poi sarebbero le dichiarazioni riguardanti le armi.

La determinazione della pena non sarebbe adeguata, specie con riguardo alla valenza delle attenuanti generiche.

6. Ricorre C.F., ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa e ad associazione diretta al traffico di droga nonchè di episodi di spaccio di hashish e di cocaina.

Anch’egli, come i fratelli e con riferimento alla sua posizione, deduce vizi di motivazione e violazione di legge nell’accertamento della sua responsabilità operato senza un congruo giudizio di affidabilità dei chiamanti e in base ad accuse prive di riscontri.

Analogamente ai fratelli, con il motivo di ricorso riguardante i reati di droga, afferma che la sentenza, pronunciata in base alle generiche dichiarazioni dei collaboranti, non ha potuto accertare quale sia stato il contributo oggettivo fornito dal C. all’associazione nè quale ruolo ricoprisse all’interno della stessa.

Anche per il ricorrente sarebbero state trascurate le dichiarazioni favorevoli del M.. Il reato di detenzione di droga sarebbe stato ritenuto provato solo perchè è stata affermata la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico.

Con ulteriore censura il ricorrente deduce violazione di legge in ordine alla confisca disposta D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies.

Lamenta, infine, vizi di motivazione nella determinazione della pena, specie con riferimento agli artt. 62 bis e 114 c.p..

Nelle note successivamente pervenute il ricorrente fa proprie le censure avanzate per C.V. dall’avvocato Aricò riguardanti la partecipazione e la configurazione dell’associazione per delinquere diretta al traffico di droga.

7. Ricorrono, con unico atto sottoscritto dall’avvocato Sperlongano, E.A., F.A., Pa.Eu. e P. M..

Tutti i ricorrenti premettono considerazioni circa il fatto che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di valutare con il dovuto rigore le chiamate dei collaboratori D., Ma., G., Ba. e M.. L’ E., ritenuto responsabile di associazione finalizzata al traffico e di episodi di spaccio, passa in rassegna gli elementi probatori che lo riguardano e in base a tanto deduce l’illogicità della ricostruzione della sentenza impugnata, anche con riferimento alla ritenuta aggravante di agevolazione della consorteria mafiosa, incompatibile con l’imputazione di associazione mafiosa.

Il F., ritenuto responsabile di associazione mafiosa, associazione dedita al traffico di droga, spaccio di stupefacenti ed estorsione, deduce l’inattendibilità dei chiamanti che l’accusano e l’assenza di riscontri a tali accuse, che, inoltre, non sono convergenti perchè si riferiscono a periodi diversi. Aggiunge che la riconosciuta aggravante dell’aver agevolato un’associazione mafiosa è incompatibile con la partecipazione al sodalizio della quale è stato ritenuto responsabile. In ogni modo non sarebbe stato motivato l’elemento psicologico della detta aggravante.

Il Pa., ritenuto responsabile di associazione mafiosa, contesta la congruità e la convergenza delle accuse del D. e del G., intrinsecamente inaffidabile.

Il P., ritenuto responsabile di associazione mafiosa, associazione dedita al traffico, reati di armi, spaccio di stupefacenti, ricettazione ed estorsione, contesta la congruità e la convergenza delle accuse, osservando come non sia emerso alcun suo contributo all’associazione diretta al traffico di droga, mentre per quanto riguarda quella mafiosa la sua posizione sarebbe piuttosto quella di un amico dei sodali. Assume infine come gli altri ricorrenti l’incompatibilità dell’aggravante dell’agevolazione con la partecipazione alla consorteria mafiosa.

8. Ricorre A.A. ritenuto responsabile di estorsione.

Afferma che la sua responsabilità in ordine a tale reato è stata ritenuta in base alle inattendibili dichiarazioni del Ba., prive peraltro di riscontri. Con travisamento del fatto si sarebbe inoltre negato che il Ba. fosse teste de relato e non si sarebbe sciolta alcuna delle contraddizioni del racconto, rilevate dalla difesa.

Ulteriore motivo di ricorso riguarda la determinazione della pena che non avrebbe tenuto conto della riconosciuta non partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa.

9. Ricorre Ar.Ca. che lamenta di essere stato ritenuto responsabile di partecipazione all’associazione mafiosa e a quella diretta al traffico in base a chiamate inattendibili, generiche e non riscontrate. Deduce ancora l’incompatibilità della partecipazione mafiosa con l’aggravante dell’agevolazione dell’associazione.

10. Ricorre M.G. che lamenta che le attenuanti generiche gli siano state negate in violazioni di legge, essendosi in primo luogo erroneamente ritenuto che esse non potevano basarsi sugli stessi elementi che avevano portato a riconoscere l’attenuante della collaborazione. Attenuanti che sarebbero state anche illogicamente negate per la mancata considerazione ai fini della pericolosità della dissociazione dal crimine e per l’equiparazione, sempre ai fini della pericolosità, della posizione del ricorrente a quella dei coimputati.

11. Ricorre B.F. che si duole di essere stato ritenuto partecipe dell’associazione diretta al traffico di droga, essendo stata la sua posizione confusa con quella dei fratelli.

12. Ricorre infine Ma.An. che lamenta la mancata rinnovazione del dibattimento e il vizio nell’accertamento della sua responsabilità, fatta senza tener conto della mancata indicazione del nome del ricorrente da parte del D. e sulla base delle dichiarazioni di altri collaboratori contraddette dall’assoluzione del ricorrente per altri reati di cui era stato accusato.

Inattendibile ancora sarebbe l’accusa concernente le armi e la droga.
Motivi della decisione

1. Va in primo luogo respinto il ricorso del P.G. circa il ruolo da assegnare a P.M. e a C.V. nell’ambito dell’associazione mafiosa e di quella diretta al traffico di droga.

Ciò nella considerazione, sottolineata nella pronunzia in esame, che, dopo la morte di C.P., A.R. venne chiamato a ricoprire formalmente il grado di capo di entrambi i sodalizi e che le iniziative dei due imputati, sebbene connotate da autorevolezza, non appaiono aver condizionato le decisioni del capo formalmente riconosciuto.

La sentenza, d’altra parte, ponendosi sul piano probatorio, esclude che sia possibile ricostruire una precisa posizione di P.M. e di C.V. nella gestione del traffico e nell’approvvigionamento della droga, anche per la pluralità dei soggetti tra cui questi compiti erano distribuiti. Osserva infine, quanto alla situazione successiva all’omicidio di A. R., che l’iniziativa della risposta "militare" non vale ad attribuire al P. una carica di direzione, con riguardo all’effettività della funzione. E ciò non tanto per la brevità del periodo da considerarsi, quanto per il contrasto che il riconoscimento di una preminenza del P. aveva subito suscitato.

Si tratta dunque di un articolato discorso, aderente alla risultanze probatorie, il cui tenore è immune da censure sotto il profilo logico.

2. Passando ai ricorsi degli imputati, una prima doglianza comune è quella relativa al giudizio sul valore delle dichiarazioni dei propalanti, che si vuole essere mancante o viziato.

Il motivo, sovente avanzato in modo soltanto generico, non ha comunque alcun fondamento.

In primo luogo, il tema della credibilità soggettiva appare ampiamente trattato e correttamente risolto dalla decisione in esame.

Essa esclude che l’interesse a fruire di benefici premiali, dato anche il suo carattere neutro (spinta, da un lato, ad accusare, ma anche, dall’altro, alla veridicità dell’accusa, pena la revoca del beneficio), abbia avuto nella specie un maggior rilievo di quello già supposto dal legislatore col richiedere il conforto di riscontri esterni, per conferire alla chiamata rilievo probatorio. A questo riguardo la decisione si fa carico di considerare partitamente la posizione dei singoli collaboratori e dei loro possibili moventi a rendere false dichiarazione. Gli argomenti che negano intenti menzogneri si valgono dell’impiego di comuni massime di esperienza e non sono oggetto di specifica confutazione.

Da un punto di vista oggettivo, poi, la pronunzia correttamente si basa sulla regola che il riscontro incrociato di dichiarazioni accusatorie convergenti equivale al riscontro esterno richiesto dalla legge, quando non si possano ravvisare elementi di sospetto in ordine a collusioni, suggestioni o condizionamenti tra i singoli chiamanti.

Nè manca la presa in esame delle pretese dichiarazioni favorevoli agli imputati e la considerazione dialettica di tali risultanze, diretta al superamento di apparenti contraddizioni.

3. Altro motivo comune ai ricorrenti riguarda la compatibilità dell’aggravante prevista dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 con l’imputazione e l’accertamento del reato di partecipazione ad associazione mafiosa.

La risposta positiva data dalla sentenza impugnata corrisponde alla giurisprudenza di questa Corte. Infatti l’unica obiezione che si oppone a tale conclusione e che oggi è ripetuta nei ricorsi in esame è quella dell’inglobamento della circostanza nella fattispecie del reato associativo e quindi della duplicazione punitiva che si opererebbe con la congiunta applicazione delle norme. Ma tale obiezione si rivela inconsistente quando si considera, come ben fa la sentenza impugnata, che non ogni reato commesso da appartenente ad un clan, ancorchè tale reato sia riconducibile ai programmi del sodalizio, deve necessariamente essere connotato dall’avvalersi della condizione di assoggettamento derivante dalla presenza dell’organizzazione criminale nè, tantomeno, ogni reato di questo genere deve avere la finalità di agevolare l’attività dell’organizzazione mafiosa. Ne discende che l’aggravante in parola, in entrambe le forme previste dalla legge, può concorrere con il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

4. Terzo motivo che potrebbe estendersi a più posizioni è quello della pretesa insussistenza dell’associazione diretta al traffico di stupefacenti, in realtà ipostasi dell’organizzazione mafiosa, da considerarsi unica per identità di soggetti e di strutture e per aver tra i propri fini anche lo spaccio di stupefacenti.

Il motivo cosi esposto confligge tuttavia con gli accertamenti in fatto delle sentenze di merito che illustrano la presenza di soggetti, appartenenti al sodalizio dedito al commercio criminale, non affiliati al clan mafioso, e viceversa di soggetti mafiosi non dediti al traffico. Parallelamente appare anche sussistere un substrato patrimoniale e per così dire di avviamento, proprio dell’organizzazione di cui all’art. 74 L.S., distinto da quello specificamente pertinente all’altro clan. L’innegabile raccordo tra le due associazioni non comporta perciò l’esclusione della loro autonoma esistenza e rilevanza ai fini penali.

5. Venendo quindi ai singoli ricorrenti, è infondato il ricorso di A.S..

Generica è la doglianza di omessa risposta ai motivi dedotti con l’appello ed egualmente quella riguardante la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, fatta senza alcun riferimento al fascicolo processuale (e la cui deducibilità sarebbe comunque preclusa dalla avvenuta impugnazione in appello della sentenza indicata).

Le censure sull’accertamento del fatto sono ancora inammissibili perchè dirette ad una terza lettura degli atti, fermo restando che non manca la valutazione di credibilità del collaborante M., le cui dichiarazione sono state del resto ritenute perfettamente coerenti con le ulteriori dichiarazioni, le intercettazioni telefoniche e le indagini degli operanti nei confronti del ricorrente.

Il motivo sulla configurazione del concorso esterno in associazione mafiosa va respinto, data la rilevanza primaria dell’apporto causale offerto dall’ A. agli associati per il mantenimento in vita dell’ organizzazione (recupero della droga e dei fondi del sodalizio criminale). Di tale rilevanza l’ A. era ben conscio e in ciò ben si è ritenuto sussistere l’elemento soggettivo del reato, irrilevante essendo la compresenza di un ulteriore movente nutrito dall’imputato di vendetta per l’omicidio del fratello. Poichè la sentenza impugnata, senza incorrere in arbitrarietà manifesta, da conto dell’avvenuta ponderazione delle circostanze, attiene infine alla valutazione di merito la valenza assegnata alle attenuanti rispetto alle aggravanti.

6. E’ infondato il ricorso di C.V..

Dell’attendibilità soggettiva dei collaboranti si è già detto, come pure si è detto del riscontro incrociato tra dichiarazioni convergenti. Nel resto il motivo sull’associazione mafiosa è di merito poichè la sentenza da conto di conversazioni intercettate, riguardanti l’esistenza del sodalizio e la partecipazione ad esso del ricorrente, e le osservazioni dedotte sulle estorsioni e sulle incongruenze tendono in realtà ad una nuova valutazione probatoria.

Non è poi vero che manchi la considerazione delle dichiarazioni del Ma., il cui silenzio sul ricorrente è invece ragionevolmente spiegato con il fatto che il dichiarante era in stato di detenzione nel periodo di attività di C.V..

Quanto all’associazione diretta al traffico e alla partecipazione del C. i motivi diretti a metterne in dubbio la sussistenza non si confrontano con l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata, fermo ciò che si è già detto sull’autonomia di tale sodalizio.

L’allegazione che il C. svolgesse un ruolo autonomo di spaccio perchè autorizzato dagli altri associati mafiosi e che tale ruolo avesse continuato a svolgere anche a seguito della costituzione dell’associazione diretta al traffico, è affermazione di fatto che non riflette deduzioni già svolte in sede di merito.

Le convergenti dichiarazioni dei collaboranti correttamente sono state ritenute dimostrative della sussistenza dei reati di armi.

Generica è la doglianza sulla confisca, non essendosi adeguatamente replicato alla valutazione di sproporzione del valore del compendio sequestrato con i redditi leciti del ricorrente.

Di merito infine è la doglianza sulla pena, per le stesse ragioni già dette a proposito dell’ A..

5. Infondato è il ricorso di C.G..

Circa l’attendibilità dei chiamanti, il ricorrente ripropone gli argomenti del fratello V. e come questi in modo implicito invita ad una terza – inammissibile – lettura degli atti circa la sussistenza delle associazioni per delinquere, la responsabilità per singoli episodi di spaccio e per i reati di armi. Analogamente a quanto rilevato per V., generica è la doglianza sulla confisca e di merito è quella sulla pena.

6. Infondato è il ricorso di C.F. che ripropone, con i medesimi argomenti dei fratelli, le doglianze sull’attendibilità dei chiamanti e sull’inesistenza di riscontri alle loro dichiarazioni.

La posizione del ricorrente nella compagine associativa e i singoli episodi di spaccio a lui attribuiti sono oggetto di accurata disamina nella sentenza impugnata, che conferma la responsabilità del C. con motivazione che il ricorso sostanzialmente ignora, invitando invece ad una terza lettura degli atti, in questa Sede impraticabile.

Gli ulteriori motivi in ordine alla sussistenza dell’associazione diretta al traffico, alla pena e alla confisca, ricalcano quelli già respinti, avanzati da V. e C.G..

7. Ancora privi di fondamento sono i ricorsi contestualmente presentati da E.A., F.A., Pa.

E. e P.M..

Deve al riguardo osservarsi che, contrariamente a quanto si assume, le chiamate dei collaboranti D., Ma., G., Ba. e M. sono state analizzate col massimo rigore critico e che con altrettanto rigore è stata valutata la loro convergenza ai fini del riscontro reciproco.

Ciò detto, l’impostazione dei ricorsi di confrontare le conclusioni della sentenza d’appello con gli atti processuali, per trarre da tale confronto pretese incongruenze denominate "vizi di motivazione" della sentenza impugnata, mostra palesemente l’intento di chiedere a questa Corte non un controllo sulla logicità della decisione adottata, ma una terza valutazione di merito. E poichè in questo si sostanziano le censure dei ricorrenti in ordine all’accertamento delle loro rispettive responsabilità, tali censure devono ritenersi inammissibili.

Quanto infine alla circostanza aggravante del metodo mafioso e della finalità di agevolazione del sodalizio, le doglianze riguardanti la compatibilità con l’imputazione di associazione sono già state respinte.

L’applicabilità della circostanza in relazione agli episodi contestati è poi negata dal F. anche sotto il profilo soggettivo, peraltro con argomentazione generica perchè avulsa dalla considerazione del contesto delle condotte addebitate.

8. Il ricorso di A.A. è privo di fondamento.

In primo luogo correttamente il Ba. non è stato ritenuto teste de relato, perchè presente al momento in cui il P. e A. R. versavano al ricorrente le somme estorte al Ce.. In secondo luogo non è vero che le dichiarazioni del Ba. siano rimaste prive di riscontri perchè esse convergono con quelle del D.. Nè – conclusivamente sul punto – è dato comprendere quali contraddizioni dovrebbero rilevarsi nelle narrazioni poste a base dell’affermazione di responsabilità.

Quanto poi alla determinazione della pena per estorsione è mera illazione del ricorrente quella chela determinazione della stessa in primo grado sia stata influenzata dalla ritenuta appartenenza all’associazione mafiosa (appartenenza esclusa in appello). La pericolosità del ricorrente, che la sentenza impugnata ricorda come vecchio elemento della NCO, è stata accertata in base ai precedenti e quindi l’esclusione del reato associativo (e della pena relativa) non comportava di necessità un’ulteriore diminuzione della pena per l’estorsione.

9. Infondato è il ricorso di Ar.Ca. che deduce motivi già respinti sull’attendibilità dei chiamanti e sulla compatibilità dell’aggravante dell’agevolazione dell’associazione con l’imputazione di partecipazione all’associazione medesima.

10. Infondato è il ricorso di M.G., posto che non è vero che le attenuanti generiche gli siano state negate esclusivamente per la ritenuta impossibilità di valutare anche a questi fini la collaborazione da lui prestata. Tali attenuanti invece non gli sono state riconosciute anche in base a un giudizio di congruità della pena inflitta in relazione alla gravità dei fatti e alla personalità del soggetto. Giudizio di merito sorretto da ragionevolezza e perciò incensurabile in questa Sede.

11. Infondato è il ricorso di B.F. dato che la sua posizione è stata oggetto di specifica valutazione da parte della sentenza impugnata. Il ricorrente d’altra parte non indica in cosa la sua posizione si differenzierebbe da quella dei fratelli, anch’essi ritenuti sodali dell’associazione diretta al traffico perchè stabili acquirenti della droga da rivendere al dettaglio. Posizione, questa, non contraddetta da sporadici acquisti fatti altrove, quando l’associazione in esame, per contingenze varie, non era in grado di provvedere alla fornitura.

12. Infondato per ultimo è il ricorso di Ma.An., posto che la rinnovazione del dibattimento è stata negata in base ad una valutazione di inconferenza, derivante dalla certezza della sua identificazione, cui il ricorrente non replica, limitandosi a riproporre gli argomenti addotti per richiedere l’incombente probatorio. D’altra parte non è dato riscontrare alcun vizio nell’accertamento della responsabilità raggiunto anche in base all’analitica revisione critica indotta dai motivi d’appello sull’attendibilità delle dichiarazioni del Ma., del Ba., del G., del D. e del M.. Tali dichiarazioni infine convergono anche in ordine alla responsabilità per i reati di armi e di droga.

13. Al regolamento delle spese processuali si provvede nel dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta tutti i ricorsi e condanna le parti private ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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